Intervista a Giulia Sfredda sociologa forense: Panchina rossa, Orfani speciali, Adescamento di minori, il caso di Caivano

 Intervista a Giulia Sfredda sociologa forense: Panchina rossa, Orfani speciali, Adescamento di minori, il caso di Caivano

di Pier Carlo Lava

Alessandria today, siamo lieti di pubblicare un intervista in esclusiva con la sociologa forense Giulia Sfredda, che ci parla di: Panchina rossa, Orfani speciali, Adescamento di minori e il caso di Caivano

Panchina rossa: storia di un simbolo.

La prima panchina rossa fu installata a Torino nel 2014, per poi essere ripresentata in provincia di Pavia, precisamente a Lomello, due anni dopo.

Dobbiamo queste installazioni agli Stati Generali delle donne, un’ associazione radicata sul territorio nazionale in grado di riunire le donne di ogni realtà sociale, per promuovere la loro identità e i loro bisogni, quali la tutela lavorativa, la maternità, l’emancipazione; tutto quello che in uno stato sociale é diritto delle donne, nonostante ci siano ancora donne che vivono in condizioni di forte disparità e discriminazione, infatti è sufficiente pensare come ad oggi, nel 2020, a parità  di collocazione lavorativa, un uomo percepisca uno stipendio maggiore rispetto a quello di una persona di sesso femminile. 

Esiste difatti, un patto, detto Patto delle Donne, firmato appunto dagli Stati Generali, contenente delle linee guida per la tutela femminile nelle realtà sociali di ogni comune: ognuno di essi, adottando questo patto, si fa promotore di iniziative volte a favorire la sensibilizzazione al tema.

Tornando alla panchina, è stato proprio grazie agli Stati Generali, tra le altre cose, che essa ha moltiplicato la sua presenza in tutto lo Stato Italiano: ne esistono infatti circa duecento, ed  è arrivata addirittura oltre oceano; è stata infatti portata in Argentina, dove ha deciso di trasferirsi, portando con sé questo simbolo, una donna Italo-Americana, originaria di Lomello.

La donna, in seguito ad una visita ai parenti, nel 2017, è rimasta affascinata dalla vista di questa panchina nella piazza centrale del paese, e, dopo aver chiesto informazioni in merito, ha fatto proliferare la presenza della panchina, nella sua stessa terra, dove si è diffusa a macchia di leopardo. 

Storicamente, la panchina assurge a punto di incontro e di scambio, un po’ come, nelle piazze principali, si univano e interagivano comunità e culture diverse. 

La panchina è presente anche al Senato : è conosciuta col nome “Posto occupato” l’iniziativa di contrasto alla violenza sulle donne, che si è vista ricevere tra l’altro un prestigioso premio da Amnesty International. 

Tale iniziativa è nata dalla nostra celebre connazionale Franca Viola, la prima donna italiana a rifiutare il matrimonio riparatore e simbolo dell’ emancipazione delle donne italiane nel secondo dopoguerra. Il “posto occupato” prevede che ogni canale di aggregazione (cinema, bar, teatro, ecc) possa rappresentare e fornire un posto che avrebbe potuto essere occupato da una donna che però non può più farlo, essendo caduta vittima di femminicidio. 

In molti comuni, nella giunta, questo posto vuoto è presente, rappresentato da una sedia rossa, nel rispetto di coloro che non sono più in vita. Sia la panchina che la sedia rossa vanno a concretizzare dei tentativi di dare una presenza fisica a quella mancanza che si crea quando una donna viene uccisa. 

Ma per quanto ancora siamo costretti a parlare e a rimettere mano a leggi e mezzi ancora troppo carenti per impedire che una donna non veda più il mondo come uno spettro da cui difendersi, ma come un universo da esplorare serenamente ?

“Una donna può cercare di nascondersi le devastazioni della sua esistenza, ma l’emorragia, la perdita dell’energia vitale, continuerà finché non riconoscerà il predatore per quello che è e non lo controllerà” Clarissa Pinkola Estes.

Orfani speciali: normativa vigente e risultati ottenuti.

Negli ultimi giorni della XVII legislatura è stata promulgata la legge 11 gennaio 2018 n°4, volta a tutelare chi è divenuto orfano in seguito a crimini domestici. Esso riconosce e garantisce tutele economiche e processuali ai figli minorenni e maggiorenni economicamente non autosufficienti della vittima di un omicidio commesso: dal coniuge, anche legalmente separato o divorziato; l’altra parte dell’unione civile, anche se l’unione è cessata; la persona che è o è stata legata da relazione affettiva e stabile convivenza con la vittima. Il provvedimento prevede l’ergastolo in caso di attualità del legame personale. 

Dal punto di vista processuale, la legge intende rafforzare, già dalle prime fasi del processo penale, la tutela dei figli della vittima, modificando il testo unico sulle spese di giustizia, per consentire loro l’accesso al patrocinio a spese dello Stato; la legge intende rafforzare la tutela dei figli della vittima rispetto al loro diritto al risarcimento del danno. A tal fine, il provvedimento modifica l’art. 316 del codice di procedura penale, che disciplina l’istituto del sequestro conservativo, stabilendo l’obbligo per il pubblico ministero che procede per omicidio del coniuge (anche separato o divorziato), della parte dell’unione civile (anche se l’unione è cessata) o della persona legata all’imputato da relazione affettiva o stabile convivenza di verificare la presenza di figli della vittima (minorenni o maggiorenni non economicamente autosufficienti) e di richiedere il sequestro conservativo dei beni dell’indagato in ogni stato e grado del processo a tutela del diritto al risarcimento dei figli della vittima. 

La legge prevede che, quando si procede per omicidio del coniuge (anche separato o divorziato), della parte dell’unione civile (anche se l’unione è cessata) o della persona che sia o sia stata legata all’imputato da relazione affettiva o stabile convivenza, e le prove acquisite nel corso del procedimento penale non consentono la liquidazione del danno, in presenza di figli della vittima che si siano costituiti parte civile, il giudice in sede di condanna – a prescindere dal carattere definitivo della stessa – deve assegnare loro a titolo di provvisionale una somma pari almeno al 50% del presumibile danno, che sarà liquidato poi in sede civile. 

Se già ci sono beni dell’imputato sottoposti a sequestro conservativo, questo si converte in pignoramento con la sentenza di primo grado, sempre nei limiti della provvisionale concessa. Osservando gli aspetti esclusivamente economici, la legge interviene sull’istituto dell’indegnità a succedere con la finalità di renderne automatica l’applicazione in caso di condanna per omicidio in ambito domestico. In particolare, è sospesa la chiamata all’eredità dell’indagato per il delitto, anche tentato, di omicidio del coniuge (anche legalmente separato) o di omicidio dell’altra parte di un’unione civile (è qui omesso il riferimento alla relazione affettiva e alla stabile convivenza), fino al decreto di archiviazione o alla sentenza definitiva di proscioglimento e, sarà lo stesso giudice penale, in sede di condanna ovvero in sede di patteggiamento della pena, a dover dichiarare l’indegnità a succedere, evitando così agli altri eredi di dover promuovere un’azione civile per ottenere lo stesso risultato. 

Stato, regioni e autonomie locali hanno il compito di promuovere e organizzare forme di assistenza delle vittime, servizi informativi, assistenziali e di consulenza e predisporre misure per garantire il diritto allo studio e all’avviamento al lavoro per i figli delle vittime di crimini domestici. I figli delle vittime del reato di omicidio in ambito domestico devono avere diritto all’ assistenza medico-psicologica gratuita ed essere esenti dalla partecipazione alla spesa per ogni tipo di prestazione sanitaria e farmaceutica. Il minore, a seguito della morte del genitore causata volontariamente dal coniuge (anche separato o divorziato), dalla parte dell’unione civile (anche cessata) o da persona legata al genitore da relazione affettiva, deve essere affidato privilegiando la continuità delle relazioni affettive tra il minore e i parenti fino al terzo grado e garantendo, in quanto possibile, in presenza di fratelli o sorelle, la continuità affettiva tra gli stessi. 

La legge incrementa di 2 milioni di euro annui a decorrere dal 2017 la dotazione del Fondo di rotazione per le vittime dei crimini intenzionali violenti, destinandolo anche agli orfani per crimini domestici. In particolare, tale incremento è destinato all’erogazione di borse di studio per gli orfani, al finanziamento del loro reinserimento lavorativo e alla copertura delle spese per l’assistenza psicologica e sanitaria. Illustrata nel dettaglio la legge, il gioco sembra fatto. È davvero così? Purtroppo no, dato che manca il regolamento attuativo che permette alle famiglie di accedere proprio a questi fondi. La legge 4 prevedeva che nei tre mesi successivi alla sua entrata in vigore (e dunque entro maggio 2018) un regolamento congiunto dei Ministeri dell’Economia, delle Finanze, dell’Istruzione, dell’Interno, del Lavoro e della Salute avrebbe dovuto consentire alle famiglie ed agli orfani di accedere al fondo di due milioni di euro. Ad oggi nessuno dei governi succedutisi in questo periodo ha fatto nulla, senza ragione alcuna. 

Quale futuro, è obbligatorio domandarsi, dunque, per questi ragazzi, che rischiano di subire una vittimizzazione duplice, dal momento che si trovano abbandonati dalle stesse istituzioni che invece dovrebbero fare in modo di permettere loro la chance di ricostruire la propria vita ed il proprio futuro? 

Adescamento di minori: legge attuale e interventi del genitore

Chiunque adesca un minore di anni sedici è punito, se il fatto non costituisce più grave reato, con la reclusione da uno a tre anni. Per adescamento si intende qualsiasi atto volto a carpire la fiducia del minore attraverso artifici, lusinghe o minacce posti in essere anche mediante l’utilizzo della rete internet o di altre reti o mezzi di comunicazione. È ciò che prevede l’articolo 609 undecies del Codice penale. Il reato di adescamento di minorenni si configura anche se l’incontro con il minore non avviene: non è necessario, infatti, che l’adescamento vada a buon fine, ma è sufficiente il tentativo, da parte di un adulto, di conquistare la fiducia di un bambino o adolescente per fini sessuali.

La sentenza della Cassazione, n. 19033/2013 ha sancito il principio espresso in forza dell’art. 609-undecies c.p., introdotto dalla Legge n. 172/2012: la condotta incriminata è di “adescamento di minore” e quindi, così come riportato dalla lettera della norma, è punito ogni comportamento finalizzato ad ottenere la fiducia del soggetto d’età inferiore ai 16 anni, realizzando condotte che configurano i reati di pedofilia, pedo-pornografia e riduzione in schiavitù. 

Attualmente il limite di età per poter esprimere validamente un consenso sessuale è di anni 14. Tra i 14 e i 18 anni i ragazzi possono intrattenere relazioni sessuali consensuali non penalmente perseguibili a patto che la differenza di età tra i due non superi nel massimo i tre anni. Destano particolare preoccupazione i dati degli ultimi cinque anni sulla crescita delle forme di abuso sui minori legate a Internet: colpisce soprattutto il costante aumento dei clienti e dei consumatori italiani di pedofilia on line, “consumo” che si attua quotidianamente e diffusamente attraverso lo scambio di immagini e video pedopornografici nei programmi cosiddetti “peer to peer” , quelli cioè che connettono i computer degli utenti direttamente fra loro senza intermediari. 

Emerge tuttavia che i genitori non sempre dispongono delle conoscenze necessarie per accompagnare bambini e ragazzi nell’utilizzo delle nuove tecnologie. Ci sono genitori che affermano di saper utilizzare il pc “poco” o “per niente”, mentre una timida, maggiore percentuale di essi dichiara di saperlo utilizzare “abbastanza”. 

Questa scarsa conoscenza si accompagna ad una evidente sottovalutazione dei pericoli on line, purtroppo molteplici. Il tentativo di arginare la diffusione di Internet e dei social network in nome dei possibili rischi derivanti ai ragazzi da un’eccessiva esposizione alla rete appare impraticabile, oltre che assai poco ragionevole. 

Emerge dunque l’opportunità, per genitori e figli, di osservare alcuni consigli utili per evitare le trappole tese da pedofili e adescatori: non fornire mai informazioni personali a uno sconosciuto, anche se mostra un atteggiamento amichevole (nome, cognome, età, indirizzo, numero di telefono, nome e orari della scuola, nome degli amici, ma anche indirizzo e-mail, proprie foto), per non rendersi facilmente individuabili e raggiungibili; non recarsi mai ad un appuntamento con una persona che non si conosce (incontrare qualcuno che si è conosciuto solo tramite la rete non è una buona idea, dato che le immagini potrebbero essere fasulle); ascoltare e lasciare liberi i propri figli di poter sfogare eventuali disagi o ansie, in modo tale da cogliere i sintomi che possano mettere sull’avviso i genitori; in presenza di bambini più piccoli, usare dei software di protezione per monitorare l’uso che viene fatto di Internet. Inoltre, controllare periodicamente il contenuto dell’hard disk, verificando la “cronologia” dei siti web visitati; assicurarsi che i figli siano consapevoli della circostanza che le persone incontrate on line non sono sempre quelle che dicono di essere; parlare apertamente del rischio di imbattersi durante le attività on line in potenziali malintenzionati; non entrare mai in siti “a pagamento” o dove è scritto “acceso vietato ai minori”; rivolgersi alle Autorità o ad associazioni di tutela dei minori quando si ha anche solo il minimo sospetto che il proprio figlio si trovi in una condizione di pericolo. 

Caivano: analisi e spunti di riflessione. 

È nella notte tra venerdì e sabato della settimana appena trascorsa che il cuore di Maria Paola ha deciso di cessare definitivamente i suoi battiti. Siamo a Caivano, piccola comunità cittadina alle porte di Napoli, già nota alle cronache per numerosi episodi di pedofilia, tossicodipendenza soprattutto tra i giovani, e, ora si aggiunge un’ altra piaga: la transfobia. Sì, perché la “colpa” di Maria Paola è stata quella di innamorarsi di un ragazzo transessuale. 

Un’ onta, a detta del fratello, tanto immensa da scatenare in lui desiderio di vendetta e tentativo di una “rieducazione”. “Volevo solo darle una lezione, era infetta”, si giustifica di fronte agli inquirenti, che lo stanno interrogando dopo l’arresto per omicidio preterintenzionale: ha infatti speronato per diversi minuti sua sorella e il compagno mentre erano a bordo di uno scooter. Evento, questo, che ha portato alla morte della ragazza, dopo che il tubo per l’irrigazione presente sul ciglio della strada, sul quale è caduta, le ha tagliato di netto la gola. 

Sorte migliore, ma non meno atroce, è spettata invece al compagno, che se l’è cavata con dei graffi, ma che ha visto morire l’amore della sua vita. Come dicevamo, specifici termini sono stati utilizzati dal fratello assassino: rieducazione, infezione. 

Ed ecco che si evidenzia, anche qui, il grande fardello del patriarcato: devi stare con chi dico io, devi accettare ciò che dico io. Ma quando l’ accettazione tenta di farsi alibi di eventi cruenti che si sporcano spesso persino di sangue, quale sconfitta peggiore può esserci, in una società che dovrebbe accogliere e tutelare tutte le realtà, anziché nascondere la testa sotto una sabbia di pregiudizi ancora troppo lontani dall’ essere solo cornici di episodi isolati? Appare evidente come quanto lavoro ci sia ancora da fare per evitare, o quantomeno allontanare, il rischio che i nostri figli nascano e crescano in una società sempre più stigmatizzante, dove l’appartenenza non solo ad un genere (casi di femminicidio) ma anche ad un orientamento sessuale sono tuttora denominatori comuni della necessità di tutele e diritti sempre maggiori. 


Commenti

  1. Il riferimento letterario è splendido: Clarissa Pinkola Estés, analista famosissima junghiana e scrittrice assai talentuosa, è stata una gran bella scelta. Complimenti.


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