Non per tutti arriva il Natale
Patrizia Gioia Città Futura on-line
Ogni anno, in questo giorno dove la luce riprende vita dalla tenebra non posso non sentire, accanto a questa gioia, anche i molti contrastanti sentimenti, partecipanti anch’essi di quel Presepe che è la nostra umana (e- ahimè - pare sempre meno divina ) Vita. ( Ma questo è un altro discorso che non intendo in questa sede iniziare).
Gli ultimi intensi articoli di Claudio Magris sul “Corriere della sera”, per la morte di due dei suoi amici più cari, Tito Perlini e Giovanni Gabrielli, e in particolare l’ultimo, quello di domenica 8 dicembre, “Siamo liberi ma non padroni della nostra vita” - una profonda riflessione sulla libertà, anche della nostra morte - mi sono molto vicini, così vicini che più volte li ho riletti, come se la difficoltà che insolitamente trovavo nella lettura, mi richiamasse ad una ben più profonda verità, certamente faticosa da accettare e vivere, ma che libera dall’inutile zavorra di tutta quella “pappa misticheggiante” che troppo spesso ci portiamo dietro, imprigionandoci.
Arrivare “poveri, in Spirito” non è un traguardo, ma quel passo quotidiano che ci permette di stare sulla soglia, sorpresi e spaventati anche di quel che siamo, alla Vita, l’altra faccia della Morte che non è né più brutta né più bella: E’ ... e, più che complementare alla Vita, è “implementare”.
Ma perché un cancro dovrebbe commuovere più di un’ossessione che occupa la mente sino alla disperazione?
Quale verità in quel che Magris scrive, e lo si può scrivere ( e lo si può leggere tra le righe) solo se si
porta addosso il buco di quella disperazione - che non è un soprabito che si può togliere o cambiare, ma è un organo straziato del nostro corpo con cui dover convivere, nella buona e nella cattiva sorte, nessun divorzio è possibile e, senza ombra di dubbio, a volte solo la morte ne è la cura.
Senza togliere dignità a nulla e a nessuno, a volte non ci sono parole né pillole, non ci sono medici né terapie, né miracoli né magia, anche ogni Dio è paralizzato di fronte a quel che non ha nome, ma è sostanza, viva e “inter-in-dipendente” e che dà a una vita una Vita dove la resurrezione è in esilio.
Siamo comiche comparse nel teatro del mondo, scrive sempre Magris, sì, e a volte afferriamo “qualcosa” che squarcia aprendo il cielo del teatro e il nostro, a volte anche l’ironia, che pur ci acquieta e ridimensiona, ci appare anche in tutta la sua verità e voracità: credevamo di cantare insieme, credevamo di essere amati, credevamo di avere compreso, “credevamo”, ma sono “senza oggetto alcuno” sia la Fede che la Vita, si possono solo vivere, fino a quando ce la si fa, e non tutti ce la fanno.
Ecco, l’augurio che faccio ad ogni Donna e Uomo di buona volontà è di poter arrivare a quel momento con la naturalezza che ha il fiore che è fiorito, non importa se in un giorno o in cento anni, e si lascia cadere, leggero e s-finito, dove non si sa e nemmeno se lo chiede.
Altrimenti capita che anche la morte, stufa della nostra incorreggibile inettitudine, ci dica:
Dame qua, dame qua, fazzo mi. !
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