Malapolvere “Una città si ribella ai «signori» dell’amianto”
by Silvana Mossano
Nel 1901 l’austriaco Ludwig Hatschek brevetta il cemento-amianto e lo battezza Eternit (dal latino aeternitas, eternità). Fino alla fine degli anni Ottanta è proseguita così la lavorazione dell’amianto che ha provocato in diversi territori italiani un gigantesco disastro ambientale e procurato nella popolazione migliaia di lutti per mesotelioma, asbestosi e tumore polmonare tra gli ex operai e i cittadini.
In particolare Casale Monferrato, dove l’Eternit ha uno degli stabilimenti più grandi che impiegava fino a 2.000 lavoratori, è diventata la città simbolo di una tragedia sociale destinata ancora a durare. Un capitolo triste che gli operai della Eternit e le loro famiglie vogliono risolvere.
Oggi è in corso il processo istituito da Raffaele Guariniello, iniziato il 10 dicembre 2009 a Torino contro due imputati: il barone belga Louis De Cartier de Marchienne e Stephan Schmidheiny, ultima generazione della famiglia che ha posseduto l’Eternit per tre quarti del secolo scorso.
Da quasi trent’anni la giornalista Silvana Mossano vede, vive e annota le storie dolorose di Casale, raccontando la tempesta che si scatena quando arriva addosso «quella» diagnosi, anzi ancor prima, quando sintomi banali e insignificanti sviluppano un irrefrenabile sospetto di malasorte. Sul sospetto, ancora lontano dall’essere confermato e che forse non lo sarà, è costruito il racconto iniziale.
La seconda parte è dedicata alle testimonianze, che riportano storie vere con un denominatore comune: sono di donne
malate, o vedove, o figlie, o sorelle, tutte travolte, in qualche modo, dalla polvere.La seconda parte è dedicata alle testimonianze, che riportano storie vere con un denominatore comune: sono di donne
La terza parte è la cronaca di decenni di rapporto con la lavorazione dell’amianto, di sviluppo economico, di malattie professionali e di battaglie nei luoghi in cui la produzione è stata più radicata, come nel Casalese, ma anche a Cavagnolo, a Rubiera dell’Emilia e a Bagnoli di Napoli.
La conclusione è una lettera aperta ai «signori dell’amianto», una scommessa sulla speranza e la volontà di riscatto, una richiesta precisa e determinata: contribuire alla scoperta di una cura che guarisca dai danni della «malapolvere».
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