Scoprire l'orrore sotto (e dentro) casa: "La figlia femmina" di Anna Giurickovic Dato
di Mattia Nesto
La figlia femmina di Anna Giurickovic Dato
Fazi, 2017 pp. 192 € 16
Per un dramma borghese servono pochi ma ben calibrati elementi, i quali debbono essere sapientemente miscelati senza l'ansia di voler strafare ma senza neppure avere timore di scavare nel profondo della psiche umana. Grosso modo gli elementi sono la famiglia, colta nel suo lato più oscuro, misterioso ed inquietante, le pulsioni naturali/biologiche, ora represse con rabbia, ora esplosive con forza bestiali e le conseguenze che questo coacervo di scenari e sentimenti recano con sé. Un agone tragico che muove dal dramma antico e che trova il suo habitat naturale nelle grandi metropoli dell'Occidente, almeno dal XVIII secolo in avanti. A questa, ormai consolidata tradizione, appartiene anche La figlia femmina di Anna Giurickovic Dato, giovane scrittrice all'esordio per Fazi Editore. La figlia femmina è un dramma borghese da interno, un dramma della gelosia, un dramma della famiglia: insomma è un dramma nella sua accezione più antica e moderna, realizzato con una penna acuminata, urticante e che non ha mai paura di presentare anche la più inquietante delle situazioni. Per tali ragioni il romanzo in questione, seppur ogni tanto tributi pesanti omaggi alle opere a cui si ispira, è un libro che si regge perfettamente sulle proprie gambe: gambe nervose da adolescente, gambe spietate, gambe che, lo sappiamo già, non faranno che, inesorabilmente, portarci a fondo.
Ambientato tra Roma, che Anna Giurickovic Dato conosce a menadito (vivendoci da sempre, anche se è originaria di Catania) e Rabat, La figlia femmina anche per questo si colloca nel filone dei romanzi borghesi. Come detto prima, un romanzo, un dramma borghese ha bisogno di una grande città, o di più grandi città, per poter mettere in scena le proprie tragedie. Spesso e volentieri, ed è così anche in questo caso, poi necessita di un forte elemento famigliare. In questo caso la vicenda ruota attorno a due donne, una madre, Silvia, ed una figlia, Maria: due elementi quanto mai archetipi della famiglia, ovvero madre e figlia che si trovano, loro malgrado, a sfidarsi, in un gioco al massacro, nell'arena per contendersi le attenzioni e gli amori di Giorgio, il marito-patrigno, l'emblema dell'elemento maschile. Giorgio, è bene dirlo subito, rimarrà comunque costantemente in secondo piano, significando come, e in un dramma borghese e in una scena famigliare come è questa, l'uomo sia solo un elemento accessorio, più uno strumento scatenante effetti che una causa specifica: il mondo de La figlia femmina è un mondo, per forza di cose, femminile.
«A scuola non ci vado più, ho tredici anni e mi sono presa una pausa. Leggo molto però, se mi stai chiedendo come passo il tempo», gli dice con voce pacata e gli lancia lo sguardo sereno e vivace di chi ha appena parlato con orgoglio. Nessuna ombra di insicurezza nei suoi occhi, nessun timore, nessuna vergogna. Mai che, per un solo secondo, abbia spostato il suo sguardo in cerca del mio per un aiuto. «La verità, di’ soltanto la verità», avrei sussurrato volendola rassicurare. Ma sì, che dica pure che non fa proprio un bel niente. Non studia, non lavora, e solo quando fra i pianti e le urla trova uno spazio, allora sì, legge. Ma i libri le fanno male
Maria è l'avversario, diciamo così, ideale, la perfetta nemesi e il nemico imbattibile per una donna, per una madre, come Silvia. Infatti è più giovane, più bella e più intrigante, perché ancora "senza peccato" e quindi, in una logica che ricorda molto da vicino Lolita di Nabokov, ancora più stuzzicante per un uomo, per un maschio, nell'accezione più animalesca del termine. Ma laddove il racconto dello scrittore russo si ergeva verso picchi toccati da pochi, questo La figlia femmina insiste su contorni bassi e sotterranei, andando a sondare passioni e pulsioni segrete e vergognose, senza mai però tacere nulla, senza mai smetterne di scrivere, senza mai che la mano della scrittrice si fermi per troppa ritrosia.
La figlia femmina è un romanzo crudo come è la vita, che non risparmia niente e nessuno, neppure una madre e una figlia. Proprio come nei romanzi borghesi fondanti la nostra letteratura, e sto pensando, giusto per fare un nome risonante di storia, a Gli indifferenti di Moravia, il vero orrore, la minaccia incombente, il nemico più prossimo non è quello in divisa da soldato che spunta dal fango delle trincee ma quello in giacca e cravatta che siede a tavola di fianco a noi. La vera (ri)scoperta del libro di Anna Giurickovic Dato è come le più grandi paure ed ansie possano trovare la propria, orrenda, linfa vitale lungo i corridoio dei nostri appartamenti, fra le lenzuola delle nostre camere da letto ed all'interno dei barattoli del caffè delle nostre cucine.
Maria punta ora un piedino sul divano, proprio tra le gambe di Antonio, e continua a tirare, «solo due o tre salti, come prima», e mentre tira, il piedino le scivola sempre più in avanti fino a toccare il cavallo dei pantaloni di Antonio. Lui le afferra la caviglia, la pelle nuda color albicocca, «ora basta davvero Maria», la sgrida con voce calma e ferma, ma ha gli occhi di chi sta combattendo contro se stesso. Nonostante questa giornata sembri infinita, nonostante non immagini nessun epilogo e la testa mi giri, e ciò che ho intorno sembri avvenire e non avvenire affatto, ma soprattutto abbia l’impressione che a ogni male possa seguire un peggio, ho bisogno di afferrare un ricordo felice. Che sia felice solo per me? Mi è così difficile credere che uno stesso evento possa essere divertente o tragico, gioioso o violento perché così si sente chi lo percepisce. Mi risulta impossibile comprendere come persone che condividono lo stesso tetto e abitano dentro comuni abitudini possano effettivamente vivere e sentire in maniera diversa, talvolta opposta, lo stesso identico attimo di vita. Ho la presunzione di individuare una giornata che tutti e tre, anche Giorgio se fosse ancora vivo, ricorderemmo come una giornata felice
La figlia femmina è quindi un testo difficile da leggere, non tanto per il linguaggio, piano eppure senza scampo, ma perché c'è tutto il nero delle nostre vite, lo sporco che vorremmo nascondere, il non detto che vorremmo tacere sino alla tomba. L'archeologia dei sentimenti, di amori vissuti ed ora tramontati ma ancora pulsanti nei nostri ricordi è un leitmotiv che non abbandona mai la madre, Silvia, mentre la figlia, Maria, è come bruciata dall'ansia di vivere e di osare o, per meglio, di sapere osare. Anna Giurickovic Dato per Fazi Editore ha così costruito un dramma borghese perfettamente funzionante che non lascia scampo al lettore: bisogna andare avanti a leggerlo, pagina dopo pagina, in un viaggio al termine della (propria) notte da cui usciremo più forti o più distrutti. Ma in fondo non è la stessa cosa?
Mattia Nesto
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