Una Voce poco fa..
Qui Alessandria ● Dario Fornaro
Geremiadi attendibili filtrate dall’entourage editoriale e soprattutto lo
sfoglio ripetuto del giornale, inducono a dare per probabile che il settimanale
diocesano “La Voce Alessandrina” , che pure vanta ascendenze più che
centenarie, sia giunto “alla frutta”. Coi “mala tempora” che sovrastano, anche
a livelli locali, la stampa quotidiana e periodica, questa quasi-notizia
suscita, prima di ogni altra considerazione, un senso di rammarico, come di
cosa che se cade non si recupera più (malinconie tipiche dei nati sotto il
segno di Gutemberg?).
Per qualche osservatore, poi, di antica consuetudine col giornale
periclitante, il fatto che si tratti di “stampa cattolica” aggiunge al
rammarico qualche interrogativo (irrisolto) sull’ultima fase del declino,
supinamente accettato come un destino inappellabile nell’attuale società della
comunicazione.
Certo reagire è una parola impegnativa e rischiosa, ma defilarsi dalla
“mission” contenuta ab antiquo nella testata (“settimanale di informazione e di
opinione della diocesi di Alessandria”), com’è avvenuto negli ultimi anni –
dopo i fasti, in redazione, del connubio politico forza-leghista ben altrimenti
attivo, determinato ed esclusivo – è una scelta incomprensibile, quand’anche in
forma di non-scelta o di mera stanchezza esistenziale. Reagire abdicando
all’informazione e all’opinione (quali il medio lettore ed anche il pio
cattolico presumibilmente si attendono relativamente al proprio ambiente di
vita), rimpinzando il giornale di comunicati-stampa appartenenti alla categoria
“varie ed eventuali” ovvero rifugiandosi nel devozionismo cerimoniale con foto
di gruppo al seguito, non sembra un modo particolarmente efficace di risalire
nell’attenzione dei fedeli lettori e nella considerazione della società
circostante.
Quanto al prossimo futuro del giornale – e senza minimamente ingerirci – i
casi sono almeno due. O il passaggio a miglior vita di “Voce” è dato , dalla
proprietà “pagante”, spiacevolmente scontato (dopo aver giudicato tropo
aleatori e costosi eventuali tentativi di raddrizzamento con rilancio) e ci si
può anche attendere qualche iniziativa sostitutiva in zona informazione
catolico-diocesana; oppure, in ottica di sopravvivenza, va discretamente posto
in lavorazione qualche progetto di ultimo restyling – grafico, redazionale,
contenutistico – del settimanale.
In questo secondo, ed anche auspicabile, caso, non si tratta tanto di
esplorare i “nuovi gusti” dei lettori-consumatori da sollecitare (non si tratta
di rianimare una gelateria!), ma di formulare una vera operazione
salvataggio-con-rilancio, articolata su uno stretto rapporto fiduciario e di
responsabilità tra committenza e redazione, protetto dalle “influenze
irrituali”, di natura religiosa e/o politica, che affaticano la vita del
giornale quali pure manifestazione di potere personale e senza costrutto
alcuno.
In altri termini, o si tenta un colpo d’ala, a ragion veduta e determinata,
da parte della committenza, nel rispetto della ragionevole autonomia degli
addetti al progetto di ricostruzione, oppure, con pochi ritocchi secondari, è
probabile che si prolunghino solamente, e di poco, i tempi dell’insignificanza
e dell’agonia del giornale. La storia ultracentenaria di VOCE non merita il
silenzio per puro esaurimento delle batterie.
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