Devadatta Sk! Valmiki



Un ragazzo che fuma la pipa
Mi chiamo Devadatta. Il mio è un nome sanscrito, datomi da mio padre, che viene dall'India. Mia madre è italiana. 
Frequento l'università a Torino, la magistrale in Lingue Straniere per la Comunicazione Internazionale. Ho fatto la mia triennale a Milano, in Scienze Linguistiche e Relazioni Internazionali. Prima ancora ho fatto il Liceo Linguistico in Alessandria.
Ho molte passioni, fra le quali il disegno, la pittura, le lingue e le passeggiate nella natura, possibilmente con una pipa fra i denti e la musica nelle orecchie. Fra queste passioni spicca la scrittura, nella quale mi cimento fin dall’infanzia. Ho scritto una lunga serie di poesie, evolvendo negli anni e sperimentando sul mio stile, dal verso libero alla metrica. Ho anche scritto appassionate prose ed alcuni brevi racconti, nei quali sto concentrando ora i miei pensieri.
Nella speranza che possiate gioirne,
Deva, Sk!



Verde e blu
by Devadatta Sk!Valmiki
Venero i colori, ma mi tingo di nero, perché con le crepe del catrame convivo, e mi sdraio, nero nella notte, ad osservare e poi immortalare, seppur sia impossibile, i colori che venero. 
Solo la ghiandola secerne queste tinte, che rimiro con inconscia coscienza , e vorrei unirmi infinitamente a questo cielo, che così banalmente posso solo descrivere in blu. 
Ma occhio non può che amarlo, come si stinge cupo a chiaro da un astro all’altro, in sfumature inesistenti se non negli occhi degli amanti. 
Luna è solo un truciolo iridescente energia ultraterrena, ed io sotto questo frassino mi sciolgo all’amare il suo contrasto verde brillante saettare in fogliame venato, lontano, ma ancora dentro al blu agognato e così malamente decantato. 
E mi spendo e muoio per il cielo che non posso che osservare, ed anche volandoci dentro, mai toccare, e quindi amo l’aria e questo vento che sospinge con sussurri il ramificarsi del mio amore in molte parole indicibili, e dolorante per questa cattiveria costante, solo amare e cercare, per quanto possibile, di ricordare. 
Devadatta Sk!Valmiki



QUATTRO FIORI BIANCHI
by Devadatta Sk! Valmiki
Quattro margherite accanto stanno
dentro le nere lingue dell’uomo 
che si crepano di anno in anno

e verdi ciuffi d’acuto suono
si propagano nel mio affanno
e sono fulmini senza tuono  

che accendono velocemente 
proliferanti pensieri d’arte,
radici cineree a mente, 

seppure mancanti d’una parte
che mi fiorirebbe sconvolgente,
parole pesanti sulle carte.

Restan pensieri senza proseguo,
boccioli della mia lingua nera,
mentre zoppicando li inseguo,

immerso nella sospesa sera,
più respiri profondi eseguo,
attendendone la primavera. 

Ma poi, come sempre da rituale,
il respiro prende a scorrere,
quella paura che m’è usuale 

con il vento prende a correre,
sibila sera e scorre reale, 
allora mi sento soccorrere

allora la pioggia prende a cadere
allora l’albero comincia a cantare
allora il petto parte a palpitare. 


Devadatta Sk! Valmiki


VERSI DAI FINESTRINI DEI TRENI 
by Devadatta Sk! Valmiki
Questa carrozza è d’un blu brillante
che si affievolisce quando vige il sole,
ma a quest’ora del vespro che s’allargano le nuvole
questo blu s’accende d’un tono agghiacciante.

Quante ore di pensiero ti ho rivolto
-era ancora notte quando mi sono svegliato- 
ed ora che il blu si è congelato,
col favore del buio ricerco il tuo volto.

E corro sopra la terra così veloce
e azzurra e rossa è la campagna
e sono fervente sangue e brace
In questa vena bluetta che m’accompagna.

Ma viscerale la realtà torna truce
Quando arriva il controllore ad aggiustare la luce.
Devadatta Sk! Valmiki



INCROCIO CON VISTA
by Devadatta Sk! Valmiki
Tra foglie sottili sono gli occhi,  
dove i grumi ballano, i tocchi 
dei miei plurimi pensieri affini   
che sorvolano cieli lontani. 

Distese sotto al calore del tè 
sono a_decine i fogli, le carte,
scritti di giornate soporifere
passate tra scogli e conifere
dove_ogni grigio granello di sabbia
è un tocco fatato per la rabbia,
dove il mare, o_il mio scorbuto 
è di_ogni voce il gesto taciuto.

Se brucia il ricordo delle sconfitte
spremiamo i limoni sulle ferite
e nel rumore il tutto svanisce; 
sospesa ai silenzi che lambisce 
buia la bellezza della polvere
che così chiara continua a cadere,
brillando contro_alla stella del sole,
brillando tra i respiri le parole.

Mentre cammino si scuote il terreno,
tronchi contorti vincono il veleno
che la città getta sotto_i mattoni,
in mezzo ai passi sugli stradoni.
Nero il mio cuore, cenere_e brace,
ed ecco infine, il fumo tace.
2015, Devadatta Sk! Valmiki



IL PLATANO 
by Devadatta Sk! Valmiki
E quindi infine son davvero cresciuto
e sono cresciuto avendoti in mente,
torpido pensiero d’un bimbo involuto
dentro cento fumate di pipe lente.

Torno dove urlavo in giovinezza,
venerando le cioppe di ribellione,
sbraitando l’importanza dell’ebbrezza,
tamburellavo ribollendo passione.

Questa landa non mi faceva sognare,
non tornavo a casa rinvigorito
né mi liberavo mai del mio penare,
amante vero d’un cielo scolorito.

Rimiravo il Platano da lontano,
amore che provi senza possedere,
lui centenario s’alzava sul pantano
e le mie nevrosi faceva cadere.

Così restavo nel giaciglio per ore,
stavo a fissare le macchine passare
sino al sopraggiungere del torpore,
finché non prendevo la via per tornare.

E dicevo – per quanto me ne possa fregare!-.

Il Platano sempre stava li a guardarmi.
-Hey-, il disait, - mais, qu’est-ce que vous dites?-.
Mi cresceva e non sapeva abbracciarmi.
-Aye-, je disais, - tombé ici entre les maudits!-.

Dimoravo allora nella Sua ombra,
la sera mi carezzava comprensiva.
Quando il vespro ritirava le sue membra
e la notte s’allargava remissiva,

la città s’avvicinava perigliosa,
fauci squadrate, cemento e quartieri
e soffrivo per la terra silenziosa,
percorrendomela tutta nei sentieri.

Ormai grande, ma ti vengo a trovare,
mi metto a temere quando lontano,
perché sempre noto la città avanzare,
ma tu t’ergi ancora, Signor Silvano.

E più mattoni ti crescono attorno
più m’accorgo che sei di molto più alto.
Passano infinite di notte e giorno,
ma sempre vinci le auto all’assalto.

Adesso non aspetto più le tue parole,
adesso capisco quanto poco si possa dire.
Come sassi ci scottiamo sotto al sole
e lottiamo inutilmente per l’avvenire.
Adesso me ne posso andare contento comunque 
e lasciarti dove sei, perché so di ritrovarti.
Cresciuto disilluso e senza un dunque,
degno tuo figlio, con un cuore e tanti arti.  

Devadatta Sk! Valmiki



UNA GIORNATA DI PIOGGIA
Devadatta Sk! Valmiki
I – Notte
C’è nella notte
qualche triste lampo solitario
che esplode nell’aria umettata,
gonfia di pioggia grossa,
mentre uno stormo di nebbia spessa
s’insinua intenso nel tintinnare
del gocciolio costante.
Trafitto dallo scroscio,
sotto il cielo color di rena,
si fa gemma il prato verde,
scintillante, come adorno
ed impreziosito,
mentre annega in pozzanghere.

II – Mattino
Uggioso è il mio rinvenire
dal tardivo sonno concessomi
e vano riposo mentre spremo gli occhi stanchi.
Ed all’uscire nel buio mattutino,
un vento che mi pare pieno d’ira
ha da strapparmi l’ombrello
nel mio avanzare incerto,
colpito dal grondare,
e nulla ho da inveire
mentre il clima mi sana il cuore.

III- Pomeriggio
Sulle strade di burrasca
scuote i fuscelli al vento nordico,
pali di verdi giunchiglie piegate
e l’acqua precipita
per le vie del cielo plumbeo
mentre foglie scartate
fan la spola alle sponde dei marciapiedi.
Potente diviene in me la vista
di come obbediente si curva la frasca
al volere dell’acquazzone 
e non lamentano i campi
l’esser infradiciati
né io che marcio a testa alta
nel manifesto di sereno
e bagno gote, fronte e pelo
con stille frizzanti
e mi contento di vedere 
le popolate fronde rilucere
ed inchinarsi al cospetto
del borioso vento.  

IV – Sera
In attesa su d’un ponte indifferente,
crucciato da raffiche crudeli
che increspano le nere rive del fiume,
ed il greto s’estende in buie pozze
mentre, in loschi passaggi sotterranei,
viene a perdersi la luce intermittente,
specchiandosi occasionalmente nel cemento zuppo.
Continuo a vagare in questa giornata di pioggia.
Mi prendo tra pugno e petto il cuore
e stretto lo abbraccio nel ritorno.
Devadatta Sk! Valmiki



GITA AL FIUME   (II)
Devadatta Sk! Valmiki
È arrivato inaspettato questo mio passaggio,
rapido, alle crepe delle montagne,
nelle vene sterili dei fiumiciattoli assetati.
Un dolore all’esistenza colsemi tra le rupi cittadine,
fra i baratti, le carte sporche e le moine,
guidandomi al vomito, alle ire divine,
e prim’ancor di spacciarmi ovunque per felice
vennemi incontro il treno ove presi posto truce.

Quivi canto che non son lontano ma isolato,
quivi accetto che il mio sentiero s’è distaccato,
qui, sotto cieli d’un blu notte rischiarato.
Tenebrose le sagome dei monti, i picchi ondulati
lentamente slittano nelle viscere dei compari
e ora che il sole è calato da tempo,
l’unico calore, il nostro prodigio artificiale,
è fulgido aranciato ammantato in scaglie bianche,
percorse da brividi infiammati che,
se scrollati, s’aprono a tappeto sul cemento
creando il fervido universo ov’è rischiarata la mia mente.

È con il terrore del sublime e dell’ignoto
che queste fumate di luce vanno ad annerire
la bianca pelle del ponte che ci ricovera.
E i vagiti del nostro neonato infiammato si spengono
quando muoviamo lontano, nelle ombre, e rabbrividisco;
tutto si spegne e parla l’acqua, la boscaglia ed il cinghiale,
parla la mia pelle di paura, la libertà della natura,
e l’intelletto ambisce a quella luna mutilata
ch’ancor si nasconde dietro alla rupe di pece
e solo lascia intravedere quelle nuvolette carvate a scaglie
dentro un cielo chiaro d’estate.

Riavutomi dalle illusioni d’un notturno lunare
tornammo, a notte, nei giacigli diroccati,
ove il silenzio dei nostri verbi mesceansi al ronzare d’ali
che condussero alfine la mente a spore di sonno.
E nelle spore le illusioni delle riflessioni parean farsi vive
e correan giù pei declivi come le continue chiome dei fiumi,
talvolta grigie di tormenti senz’anima, altresì distillato,
anima intangibile, seppur visibile, d’una tela fitta
il cui moto non si poteva arrestare. Né comprendere.
Colà v’immergean i piedi i riflessivi,
che il peso dei passi nel greto gettavan in meditazione 
nella gelida corrente che lambiva lor la pelle,
e a tratti nel mio sopore parea nero ragno di greto,
costui che lambiva il mio girovagar svanito 
in un ottaedro di terrore, nell’abbandono alle tacite rupi.

Al mio risveglio il mondo s’era schiarito, ed io,
al dischiuder gl’occhi era stranito dal chiarore.
Colà nella valle ov’io avea preso riposo
il sole tentennava a lasciarsi vislumbrare
e a tratti solo appariva dietro al suo bianco sipario,
e non per ricever applausi, che nessun gli tributava,
ma come a dipingermi attorno quel paesaggio ch’egli agognava.
Di modo che nel montano silenzio mattutino,
travolto solo dal tramestio del letto in sciabordio,
quei dolci e verdoni declivi tingeansi d’un azzurro di cielo,
che tanto irreale rendea la cupezza della terra,
imprigionandola ov’essa si alzava,
nelle fosche tinte dell’aere divino.

Fu in un meriggio più inoltrato
che mi posi in meditazione,
da una seggiola lasciata a un porticato
ch’ebbi un respiro di riabilitazione,
nell’imbrunir verano, in silenzio nel vento,
ove la mente componeva piano quei miei versi
che al mio animo facevan da richiamo,
ed essi erano, al mio osservare vicino,
stesi al sole come sauri smeraldini,
o pesanti api che s’aggrappavan a steli fini,
spinte via dal vento che portavami i rumori
d’una valle attenta alle risate dei bambini,
ov’io senza risata inchinavami fronte al capolavoro,
nelle ferite dei titani, nei verdi fogliami,
nelle piaghe profonde e negl’azzurri reami;
questo è un cuore leso, e lo subodoro,
ma nel silenzio titano prego per il suo ristoro.
Devadatta Sk! Valmiki



GITA  AL  FIUME  (I)
Devadatta Sk! Valmiki
Accoccolato contro al pilastro d’un ponte sento
molte auto che corron veloci, rimbombandomi in testa
e tutt’intorno a me il fiume scorre, grigio e lento.

Resto in ascolto dello scroscio dell’acqua, e i richiami
degl’uccelli che cinguettano fra i rami, e il vento,
come me, disperso negli alberi accanto agli argini.

Assorto nell’ingannevole silenzio della natura,
brulicante di vita e d’un grido sussurrato,
ascoltandomi le urla nella testa e l’arsura
del pulcino nel petto, cruento e mai placato. 

Nella cercata solitudine rifletto, sul perché
del mio malessere e mi domando com’è
che il fiore in fiore possa profumare meno potente
che nella sua vetusta secchezza inebriante.

Frattanto sul mio capo mi dischiudono i segreti
nubi bianche che incupiscono di verde gli abeti
ed il mio cuore sussulta, tremulo fra vento e fiume,
mentre giunge violetto il tramonto ad inghiottire il Lume.

Splendenti cumuli di aranciati cieli
Accoglietemi nelle forme mutevoli
Ove io possa svuotarmi la mente
E sentire il mio cuore sconvolgente.

Devadatta Sk! Valmiki




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