Medicina democratica si appellerà contro la sentenza Solvay di Spinetta Marengo

Medicina democratica si appellerà contro la sentenza Solvay di Spinetta Marengo sostenendo l’avvelenamento doloso delle acque (art. 439).
Depositate, 180 giorni dopo, le motivazioni della sentenza del 14 dicembre 2015: l’ennesimo ingiusto verdetto della giustizia italiana.Deludente e preoccupante. Deludente per le parti civili vittime dell’ecocidio che esigeva condanne e risarcimenti severi. Preoccupante per gli abitanti della Fraschetta, consapevoli che soltanto una costosissima bonifica del territorio avrebbe potuto scongiurare un futuro di indagini epidemiologiche con sempre più morti e malattie. Deludente e preoccupante anche per i Movimenti, considerando che Casacci è contemporaneamente anche la nuova presidente del Tribunale. La sentenza infatti va opportunamente collocata nel nostro libro fra le tante (Eternit, Thyssenkrupp, Bussi, ecc.) a definire che “non esiste giustizia in campo ambientale”, con tanta pace per innumerevoli comunità italiane che proprio dalla Magistratura di Alessandria attendevano una coraggiosa inversione di tendenza ai processi che hanno scandalizzato l’universo ecologista per la loro sostanziale impunità tramite la derubricazione dei reati dal pesante dolo alla lieve colpa e le
prescrizioni, per non dire delle assoluzioni.
Tutte le aspettative, deluse ad Alessandria, ruotavano attorno all’ormai famoso articolo 439 del codice penale che condanna la consapevolezza del delitto contro la collettività, il dolo appunto: “Chiunque avvelena acque destinate all’alimentazione, prima che siano attinte o distribuite per consumo, è punito con la reclusione non inferiore a…”. Da 10 a 18 anni aveva chiesto il Pubblico Ministero per gli 8 imputati. Sono infatti almeno 21 le sostanze tossiche e cancerogene prima scaricate di nascosto in falda e poi addirittura omesse di bonifica. Una bonifica che necessiterebbe un risarcimento miliardario.  Gli occhi del mondo penale e ambientalista sono rimasti per 8 anni puntati sul tribunale di Alessandria, 3 anni in Corte di Assise, dove la battaglia in campo dottrinale è stata esaltata dagli enormi interessi economici in gioco, in vista di una sentenza di possibile portata storica in campo giudiziario. In questi 8 anni, invece, gli occhi delle vittime hanno pianto testimoniando in aula e non pochi si sono nel frattempo spenti in attesa di giustizia. Noi, che in tribunale ci siamo battuti più di ogni altro, possiamo dire che oggi i più deboli hanno ottenuto giustizia? Non possiamo. Lo lasciamo dire agli avvocati, come ai politici che alle elezioni vincono tutti.
Ad Alessandria, dopo la melina di 8 anni di udienze, contiamo assolti i 4 imputati principali “perché il fatto non sussiste” e gli altri 4 minori (38 erano gli iniziali) condannati a lievi pene, per colpa. Condanne di 2 anni e 6 mesi invece che di 18 anni, risarcimenti in proporzione ma perfino a chi (Comune, Provincia ecc.) si merita tutt’altro. Bonifica nel libro dei sogni.  La bomba ecologica di Spinetta Marengo equiparata… ad incidente per attraversamento con il rosso. Non dolo cosciente ma involontarietà della colpa.  Facile la prescrizione. I potenti vertici assolti: estranei al disastro ambientale e all’omessa bonifica. I condannati per colpa: non ne erano consapevoli... anche se avevano cercato di nasconderne le prove (con i vertici). Le tonnellate di prove provate del PM: carta staccia. Vittime della sentenza: le parti civili morte e ammalate e gli abitanti inquinati del territorio, nonché il mondo ambientalista disarmato. Vittima la Giustizia insomma, che, per essere “uguale per tutti” dovrebbe, per citare Raffaele Guariniello, cercare di fare il bene per i più deboli.
La sentenza boccia il capo di imputazione e l’impianto accusatorio della Procura "art. 439 Avvelenamento" e con omessa bonifica. Li smentisce in toto: nega l’avvelenamento della falda, né doloso né colposo, derubrica a disastro ambientale, e non doloso ma colposo, " Disastro" e senza omessa bonifica. Insomma l’equivalente penale di uno sversamento accidentale di una cisterna in un fiume.
Anzi, il Pubblico Ministero è chiamato addirittura sotto processo in alti gradi della magistratura come fraudolente.
La Corte aveva a disposizione innumerevoli prove di “dolo”.   Ne bastava una: l’avviso “Acqua non potabile” era solo nel bagno dei dirigenti, non c’era nel resto della fabbrica, né sopra ai rubinetti di Spinetta, né a fianco dei pozzi del territorio. 
Medicina democratica Movimento di lotta per la salute
Sezione provinciale di Alessandria

allegato
Lo scandalizzato commento di Medicina democratica alla sentenza della Corte di Assise di Alessandria al processo Solvay di Spinetta Marengo.
Tratto dal libro “Ambiente Delitto Perfetto”

PREMESSA
Nel libro “Ambiente Delitto Perfetto” avevamo premesso: <<Essendo uno dei pochi in Italia imperniato sul reato di dolo ambientale, potrebbe aver fatto scuola proprio per i processi dolenti Eternit e Ilva, eppure noi non riveliamo la sentenza del processo Solvay-Montedison in Corte di Assise di Alessandria per non anticipare il finale a chi vorrà leggere come fossero un romanzo le cronache delle udienze: abbiamo mantenuto integra dal blog, a costo di incongruenze, la freschezza tipica di un diario, speriamo coinvolgente. A tratti farsa, a tratti dramma, centinaia di personaggi, in carne e ossa o evocati, infatti affollano l’aula giudiziaria per anni. La prima ragione della scelta editoriale, invece, è che questo processo si colloca in una fase storica caratterizzata dalla crisi dei Movimenti ecopacifisti in parallelo a sentenze che hanno scandalizzato il mondo ecologista e aperto in Italia un vasto dibattito sulla Giustizia in materia ambientale culminato con la Legge sui delitti contro l’ambiente, peraltro a sua volta criticata.  In questo inquietante contesto ha assunto perciò importanza storica e giuridica la sentenza di Alessandria quale possibile affermazione di una inversione di tendenza ai verdetti sui disastri ambientali assolutori per effetto della derubricazione del pesante reato di dolo al lieve reato di colpa, ovvero delle prescrizioni: dal 2004 al 2013 sono stati prescritti 80 mila reati ambientali, per 220 miliardi di danni che nessuno pagherà. 
Se del libro il processo Solvay è il nucleo centrale, la sezione che necessariamente lo precede riguarda i Movimenti popolari. Il cenno obbligato al precursore di tutti i fallimenti: quello del Movimento operaio negli anni ’80.   L’analisi dello stato di salute dei Movimenti ecopacifisti prima e dopo i referendum 2011. La tesi della loro sconfitta epocale per responsabilità soprattutto del Forum per l’acqua pubblica che, all’indomani della straordinaria vittoria referendaria, aveva tutte le carte in mano (dimensione, autorevolezza e soldi dei rimborsi elettorali) per attivare finalmente il processo di unificazione dei Movimenti. Rifiutando di sciogliersi nei Movimenti, soprattutto con Notav Valsusa, ha dissolto un immenso ma disperso patrimonio civile composto da mille vertenze sul territorio, una forza politica straordinaria potenzialmente in grado di farsi Soggetto politico di governo nazionale dei Beni Comuni. Una occasione storica irripetibile: la vittoria clamorosa è stata irrimediabilmente buttata nel cesso per egoismi e incapacità di analisi strategica di alcuni burocrati. Tesi dagli stessi assai contestata.
Salvo alcune enclave giudiziarie ancora da espugnare, la Giustizia si è prontamente adeguata al nuovo clima politico e sociale. In più sono subentrate leggi ecoreati e responsabilità civile magistrati, insieme a decreti ad hoc, sblocca Italia.  Nelle rimanenti sezioni del libro, a sostegno dell’altra tesi che “non esiste una via giudiziaria all’ambiente salubre” supplente delle lotte popolari dentro e fuori le fabbriche di morte, abbiamo dunque pescato nella vasta casistica processuale sia penale che amministrativa: Montedison Porto Marghera, TyssenKrupp Torino, Eternit Casale Monferrato, Tav Muggello, Tav Valsusa, Tav Terzo Valico, Stoppani Cogoleto, Montedison Bussi, Ferrovie Viareggio, Enel Porto Vesme, Tirreno Power Vado Ligure, Enel Porto Tolle, Terra dei fuochi, Ilva Taranto, Michelin Spinetta Marengo, Fabbricazioni Nucleari Bosco Marengo, Pirelli Milano, Enel Turbigo, Ansaldo Tosi Legnano, Fincantieri Palermo, Grandi Navi Venezia, Triv, Olivetti, Mose, Ilva Novi Ligure  eccetera). E abbiamo scelto quale emblematico epicentro giudiziario Alessandria, che non si è fatta mancare nulla: amianto, nucleare, chimica, tav, smog; quasi a voler smentire l’abusata definizione del concittadino Umberto Eco, “Nulla di nuovo tra il Tanaro e il Bormida”, che irride il motto papalino sullo stemma del municipio “Deprimit elatos levat Alexandria stratos”, Alessandria umilia i superbi ed esalta gli umili. Le sentenze 2015 Solvay, Michelin, Ilva, smog, Nucleare avranno confermato il luogo comune dell’autorevole semiologo oppure la dedica donata nove secoli prima dall’autoritario papa Alessandro III ?>>



IL PROCESSO
Il procedimento penale per il disastro ecologico del polo chimico Solvay di Spinetta Marengo è il nucleo centrale del libro. Per due ragioni fondamentali. La prima è di ordine sociale e politico: l’attualità della drammatica cronaca processuale intrecciata alla lunga storia dell’insediamento industriale (Montedison, Solvay, Edison, Arkema) che diede lustro ad una classe operaia leader nel sindacato non solo locale, ma che è superstite testimone di una distrutta chimica italiana e che ora, bomba ecologica, senza vera bonifica rischia di scomparire dopo aver assicurato un secolo di lavoro e morte ad Alessandria. Il processo e il libro diventano occasione per denunciare, nomi e cognomi, lo scandalo politico che ha visto nei decenni protagonisti industriali, manager, partiti, amministratori, sindacalisti, giornalisti e magistrati. La cronaca delle udienze è di giornalismo “militante”: impietoso contro i carnefici padronali e partigiano con le loro vittime, severo anche verso giornalisti e magistrati. Insomma: “politicamente scorretto”, toccando nervi scoperti, al di là delle responsabilità penali e delle miserie e nobiltà umane rappresentate. “Militante”, però, che dalla denuncia dello scandalo e dalla mobilitazione pubblica su questa tragica vicenda conduce alla circostanziata proposta di bonifica del disastro ecologico con rilevanza eccezionale per il futuro di salute occupazione e benessere del territorio alessandrino.
La seconda ragione, editoriale, è che il processo in Corte di Assise di Alessandria si è collocato in una fase storica caratterizzata dalla crisi dei Movimenti popolari in parallelo con sentenze che hanno scandalizzato il mondo ecologista e aperto in Italia un vasto dibattito sulla Giustizia in materia ambientale culminato con la Legge sui delitti contro l’ambiente. In questo contesto, l’attenzione dei consessi giudiziari e dell’opinione pubblica si è focalizzata sullo svolgimento del processo di Alessandria: perché è uno dei pochi in Italia imperniato sul reato di dolo. Dunque perché la sua sentenza assume la predominanza di precedente per i processi Eternit (se scampa dalla Corte Costituzionale) e Ilva (se scampa dal Governo).
Ad Alessandria è stata una battaglia aspra anche in campo dottrinale attorno all’applicazione dell’art’ articolo 439 del codice penale:“Chiunque avvelena acque destinate all’alimentazione, prima che siano attinte o distribuite per consumo, è punito con la reclusione non inferiore a…”. Il fior fiore dei penalisti anche di livello internazionale ingaggiato da Solvay e Montedison ha fatto fuoco e fiamme per riaffermare la tendenza nazionale ai verdetti sui disastri ambientali assolutori per effetto della derubricazione del pesante reato di dolo al lieve reato di colpa, ovvero delle prescrizioni. A noi, parti civili, vittime, l’interpretazione dell’art. 439 era apparsa invece semplice: gli 8 imputati hanno a vario titolo consapevolmente concorso, seppellendo e percolando un milione di metri cubi di 21 sostanze tossico cancerogene anche per migliaia di volte superiori ai livelli di legge, ad avvelenare prima che fossero attinte o distribuite le acque della falda più importante del Piemonte destinate all’alimentazione. Gli imputati non conoscevano che le acque di falda erano destinate all’alimentazione? Credevano che la falda servisse per la balneazione? Ridicolo e cinico.   Il rischio di contrarre cancro a Spinetta Marengo è da 10 a 100 volte superiore ai parametri americani. Eccessi di patologie del 30-50% per cavo orale, rene, vescica, stomaco, bile. Malformazioni genetiche: 80% in più della media alessandrina. Incremento dei tumori fino al 137% delle medie regionali.
Non ci sia chi dice che in Italia il sistema giudiziario non è garantista! Il processo per il disastro ecologico di Spinetta Marengo è un esempio. Dopo il nostro esposto, è avviato dalla Procura nel 2008 come indagini preliminari e nel 2009 con le richieste di rinvio a giudizio. Le udienze davanti al GUP iniziano a dicembre 2010 con 38 imputati (Ausimont, Solvay, Arkema) per avvelenamento doloso delle falde e dolosa omessa bonifica. Pigramente protraggono la melina difensiva fino al gennaio 2012. Tanto ci vuole perché il Giudice delle udienze preliminari spacchetti 8 imputati con i capi di accusa iniziali e gli altri ad un processo che non inizierà mai. In Italia effettivamente i gradi di giudizio sono 4 e non come si dice 3: il 17 novembre 2012, davanti alla Corte di Assise di Alessandria, il processo riparte da capo con tutte le eccezioni e pregiudiziali immaginabili e possibili. E qui si è concluso, dicono a tempo di record, nel 2015, il 14 dicembre. Immaginiamo in 8 anni quanto si sono gonfiate le parcelle dei difensori più famosi d’Italia.
Una giustizia ingiusta verso le vittime. Scrivemmo a tempo e debito: “Se interroghi la gente ti rendi conto che non c’è molta fiducia nella giustizia. Difficilmente la pronunciano con la maiuscola. E non per le motivazioni che le attribuisce Berlusconi. Bensì proprio per il contrario. Sono infatti convinti che i potenti resteranno impuniti, in virtù del fatto che sono potenti, ricchi. I magistrati, dicono, hanno sempre fatto parte di quella casta. La Giuria popolare? Sì, ma conta davvero?”



LA SENTENZA
Ci eravamo chiesti, per burla, se avesse ragione Umberto Eco, il più illustre e (allora ancora) vivente dei pochi illustri concittadini, oppure l’autoritario papa Alessandro III che ha dato il nome al capoluogo nove secoli fa. L’autorevole semiologo, nel definire la caratteristica di Alessandria, aveva infatti irriso il motto papalino sullo stemma del municipio “Deprimit elatos levat Alexandria stratos”, Alessandria umilia i superbi ed esalta gli umili. Ebbene, la sentenza Solvay, anche essa, non ha fatto altro che confermare la ricorrente sferzante definizione di Eco: “Nulla di nuovo tra il Tanaro e il Bormida”. Noi, sul serio, avevamo pochi dubbi che in Italia facesse eccezione storica proprio il Tribunale in una città di serie C che è tutta un grigiore, con la nebbia più grigia della Val Padana, col colore della nebbia persino sulle maglie della squadra di calcio. Del Tribunale di Alessandria non si potrà dire ciò che ha detto di Raffaele Guariniello il procuratore capoArmando Spataro: “Un modello di magistratura che ha fatto storia, essendo stato perfino capace di influenzare il legislatore”, tanto più che per il processo Solvay la legge l’aveva già fatta Alfredo Rocco: bastava solo il coraggio di applicarla.
Dopo le sentenze Solvay, Michelin, smog, Italsider Ilva, il Tribunale di Alessandria è stato insignito del Premio Attila 2015.
Il 14 dicembre 2015, queste queste riflessioni non erano negli occhi delle due giurate, Manuela Bertolini e Graziella Maria Balzarettiche, in veste di giudici supplenti, sconsolate su una panca in corridoio si dichiaravano ignare della imminente sentenza in “Camera di consiglio” dalla quale erano state escluse, evidentemente da mesi, perdendo la percezione degli esiti. Interrompendo il mormorio e l’intenso sfogliare fra avvocati e pubblico della prima edizione di questo libro, nell’emozionato silenzio dell’aula infine la Corte di Assise (Sandra Casacci presidente, Gianluigi Zulian giudice, Roberto Muratore, Claudia Domicoli, Anna Maria Peola, Natalia Maria Giordano, Marco Pasquarelli, Fancesca Marchisio, giudici popolari) ha emesso l’ennesimo ingiusto verdetto. Deludente e preoccupante. Deludente per le parti civili vittime dell’ecocidio che esigeva condanne e risarcimenti severi. Preoccupante per gli abitanti della Fraschetta, consapevoli che soltanto una costosissima bonifica del territorio avrebbe potuto scongiurare un futuro di indagini epidemiologiche con sempre più morti e malattie. Deludente e preoccupante anche per i Movimenti, considerando che Casacci è contemporaneamente anche la nuova presidente del Tribunale. La sentenza infatti va opportunamente collocata nel nostro libro fra le tante (Eternit,  Thyssenkrupp, Bussi, ecc.) a definire che “non esiste giustizia in campo ambientale”, con tanta pace per innumerevoli comunità italiane che proprio dalla Magistratura di Alessandria attendevano una coraggiosa inversione di tendenza ai processi che hanno scandalizzato l’universo ecologista per la loro sostanziale impunità tramite la derubricazione dei reati dal pesante dolo alla lieve colpa e le prescrizioni, per non dire delle assoluzioni.
Tutte le aspettative, deluse ad Alessandria, ruotavano attorno all’ormai famoso articolo 439 del codice penale che condanna la consapevolezza del delitto contro la collettività, il dolo appunto: “Chiunque avvelena acque destinate all’alimentazione, prima che siano attinte o distribuite per consumo, è punito con la reclusione non inferiore a…”. Da 10 a 18 anni aveva chiesto il Pubblico Ministero per gli 8 imputati. Sono infatti almeno 21 le sostanze tossiche e cancerogene prima scaricate di nascosto in falda e poi addirittura omesse di bonifica. Una bonifica che necessiterebbe un risarcimento miliardario.  Gli occhi del mondo penale e ambientalista sono rimasti per 8 anni puntati sul tribunale di Alessandria, 3 anni in Corte di Assise, dove la battaglia in campo dottrinale è stata esaltata dagli enormi interessi economici in gioco, in vista di una sentenza di possibile portata storica in campo giudiziario. In questi 8 anni, invece, gli occhi delle vittime hanno pianto testimoniando in aula e non pochi si sono nel frattempo spenti in attesa di giustizia. Noi, che in tribunale ci siamo battuti più di ogni altro, possiamo dire che oggi i più deboli hanno ottenuto giustizia? Non possiamo. Lo lasciamo dire agli avvocati, come ai politici che alle elezioni vincono tutti.
Ad Alessandria, dopo la melina di 8 anni di udienze, contiamo assolti i 4 imputati principali “perché il fatto non sussiste” e gli altri 4 minori (38 erano gli iniziali) condannati a lievi pene, per colpa. Condanne di 2 anni e 6 mesi invece che di 18 anni, risarcimenti in proporzione ma perfino a chi (Comune, Provincia ecc.) si merita tutt’altro. Bonifica nel libro dei sogni.  La bomba ecologica di Spinetta Marengo equiparata… ad incidente per attraversamento con il rosso. Non dolo cosciente ma involontarietà della colpa.  Facile la prescrizione. I potenti vertici assolti: estranei al disastro ambientale e all’omessa bonifica. I condannati per colpa: non ne erano consapevoli... anche se avevano cercato di nasconderne le prove (con i vertici). Le tonnellate di prove provate del PM: carta staccia. Vittime della sentenza: le parti civili morte e ammalate e gli abitanti inquinati del territorio, nonché il mondo ambientalista disarmato. Vittima la Giustizia insomma, che, per essere “uguale per tutti” dovrebbe, per citare Raffaele Guariniello, cercare di fare il bene per i più deboli.
Basta il “dispositivo”, non c’è stato bisogno di attendere le motivazioni per affermare che la sentenza boccia il capo di imputazione e l’impianto accusatorio della Procura "art. 439 Avvelenamento" e con omessa bonifica. Li smentisce in toto: nega l’avvelenamento della falda, né doloso né colposo, derubrica a disastro ambientale, e non doloso ma colposo, "art. 449 Disastro" e senza omessa bonifica. Insomma l’equivalente penale di uno sversamento accidentale di una cisterna in un fiume.
Anzi, il Pubblico Ministero è chiamato addirittura sotto processo in alti gradi della magistratura come fraudolente. La bonifica diviene un libro dei sogni: non a caso immediatamente i media, complici come sempre con azienda e politici, si adoperano a vendere la troppo costosa bonifica come già fatta o fattibile con risibili iniezioni di ditionito di sodio, mentre i nostri comunicati stampa sono totalmente censurati. Per fortuna possediamo strumenti di comunicazione alternativi, compresi il blog e il libro. E, dopo le minacce, come tentativo di bavaglio non si può escludere querela a carico di Lino Balza. Il quale ha scritto su “Ambiente Delitto Perfetto”:

Non ho più la minima fiducia nella Giustizia.
Con coerenza di 40 anni di attivismo senza eguali, Medicina democratica in merito al processo Solvay ha scritto tantissimo, sul blog di udienza in udienza e sul libro “Ambiente Delitto Perfetto”, e infine ha criticato pesantemente l’impunità e la prescrizione della ingiusta e niente affatto storica sentenza salva inquinatori della Corte di Assise di Alessandria, grigia come la città che la ospita e delusione dei Movimenti (almeno di quei pochi che credono ancora di potersi affidare ai tribunali per reati ambientali).  Nulla di nuovo tra Tanaro e Bormida: confermerebbe Umberto Eco. Mi si consenta di aggiungere, credo di meritarlo per la mia lunga storia, una considerazione del tutto personale.
 Io non avuto bisogno di attendere il deposito delle motivazioni della sentenza per esprimere un giudizio. Tra 90 giorni saranno parole, parole ben articolate per giustificarla. Io conosco invece i fatti, e da almeno 30 anni prima del processo. Fatti che conoscono tutti, anche grazie alle mie denunce ma soprattutto per esperienza, dai lavoratori che lottavano per portare a casa la pelle, ai cittadini di Spinetta Marengo che non hanno bisogno della conferma delle indagini epidemiologiche, ma anche dai giornalisti che non pubblicano le denunce, dai giudici che hanno ignorato le denunce, dagli amministratori pubblici complici degli enormi inquinamenti (e anche concussi, secondo Solvay). Fatti e non giochi di parole giudiziari. Fatti che ho meticolosamente documentato nella mia lunga testimonianza al processo (da pag. 97 del libro Ambiente Delitto Perfetto). Fatti che nella melina di 8 anni di dibattimenti sono comunque emersi chiaramente come prove dalla mole di documentazioni e intercettazioni prodotte dal Pubblico Ministero: macigni del desaparecido articolo 439 del codice penale che la pavida sentenza ha affondato. Se penso che il presidente Ausimont-Solvay è stato assolto per non aver commesso il fatto, il dolo, cioè non conosceva l’avvelenamento della falda benchè avesse tentato il mio licenziamento proprio per averlo accusato di averla avvelenata… Se penso che pure il successivo presidente Solvay ne era al corrente se non altro tramite una mia lettera-denunciapubblicata anche su tutti i giornali… Se penso che gli unici 4 pseudo condannati lo sarebbero per aver materialmente procurato per decenni l’avvelenamento involontariamente, per colpa e non per dolo… Se penso ai risarcimenti irrisori per le vittime e agli altri assurdi… Se penso il PM accusato di concussione al Consiglio superiore della Magistratura da parte di un avvocato Solvay accusato a sua volta didiffamazione… Se penso che tenteranno di dissuadere il PM a presentare appello per l’art. 439… Se penso che il secondo e più importante filone processuale, su inquinamento aria e decessi, rischia di non partire… 
Se penso a tutto questo, ebbene, non dovrei dirlo, proprio io che i tribunali (di Milano) più volte dalle rappresaglie mi hanno salvato il posto di lavoro e la vita, però sono arrivato al punto che non ho più la minima fiducia nella Giustizia. Se penso poi che, grazie a questa sentenza salva inquinatori, non ci sarà vera bonifica del territorio della Fraschetta, né dell’acqua né dell’aria, che tutti, industriali politici funzionari arpa giornalisti, torneranno a dire che tutto è a posto e sotto controllo, la bonifica già fatta o al massimo da completare con palliativi niente affatto scientifici, un futuro radioso di ambiente e salute per la Fraschetta… Allora rivedo i volti dei morti che ho conosciuto, penso alle future malattie e morti… Fortunatamente avevo già comunicato al nostro congresso che non sarei più stato dal prossimo anno responsabile della sezione provinciale di Medicina democratica.
La Corte aveva a disposizione innumerevoli prove di “dolo”.   Ne bastava una: l’avviso “Acqua non potabile” era solo nel bagno dei dirigenti, non c’era nel resto della fabbrica, né sopra ai rubinetti di Spinetta, né a fianco dei pozzi del territorio.


LE CODE VELENOSE DEL PROCESSO
Così come la sentenza di Bussi, che ha assolto l’art. 439 cioè l’avvelenamento doloso delle acque di falda, anche quella della Corte di Assise di Alessandria ha lasciato dietro di sé code, ben due, più velenose del prevedibile processo in appello con il quale esse andranno inevitabilmente a interferire o perfino a confliggere, e comunque a dilatare i tempi della prescrizione fino allo scatto.
Una esca avvelenata l’ha confezionata la Corte di Assise che ha disposto la trasmissione alla Procura della Repubblica di Milanodelle trascrizioni di due udienze nonché delle relative memorie dell’avvocato Luca Santa Maria, piene zeppe di accuse presumibilmente diffamatorie, compresa la concussione, a carico del pubblico ministero Riccardo Ghio.
Questa coda si incrocia con un altrettanto clamoroso atto giudiziario: lo stesso avvocato number one di Solvay (difensore dei principali imputati, non tutti assolti neppure dall’art. 449) chiede a sua volta il deferimento del Pubblico Ministero al Consiglio Superiore della Magistratura proprio per concussione e non solo.
Ma c’è chi fiuta una manovra. Sarebbe cioè ancora più clamoroso se i due corsi giudiziari, penali e disciplinari, fossero addirittura consensualmente elisi qualora il PM rinunciasse a ricorrere in appello per l’art. 439, cioè per il dolo, cioè per la riconferma del capo di imputazione, optando invece (volendo usare le parole di Santa Maria) “per un disastrino colposo”. Allora quello che poteva sembrare un bluff (vedi a pag. 330 del libro Ambiente Delitto Perfetto) sarebbe invece un capolavoro strategico di Santa Maria, che avrebbe saldato assieme i tre procedimenti verso l’esito scontato delle prescrizioni.
Il teorema accusatorio di Santa Maria contro Ghio, rilanciato (vedi pag. 370) contemporaneamente all’annuncio del ricorso al CSM, disegna una associazione a delinquere a danno di Solvay, con il fattivo concorso del PM: “Il Pubblico Ministero non può permettersi di essere un giocatore d’azzardo. Peggio ancora non può permettersi di barare al gioco. Se lo fa, e viene scoperto, ne deve pagare tutto il prezzo. Ha violato il Diritto”. Il PM, in questo complotto delittuoso, avrebbe costruito un capo di imputazione salva Montedison, falsificato gli atti del processo e commesso una serie gravissima di reati al fine della “concussione ambientale”, cioè estorsione di soldi. “Una montagna di soldi, da queste parti” ci tiene a precisare Santa Maria. “Si ha concussione” ha scandito Santa Maria alla Corte “quando il pubblico ufficiale, o più pubblici ufficiali, agiscono con minacce o con violenze per estorcere qualcosa a qualcuno”. Già l’avvocato non aveva usato mezzi termini parlando di “tangenti dell’Ausimont Montedison” (vedi pag. 256), di cui evidentemente ritiene di avere le prove.
Del suo teorema Luca Santamaria ha arringato i giurati per ore e ore, 158 pagine. Nei seguenti termini che riassumiamo presi dal libro “Ambiente Delitto Perfetto”:
Così parlò Luca Santa Maria, il difensore che in veste di accusatore diventò così anche accusato.  Accusatore di concussioni ovvero accusato di diffamazioni.
Dice Santa Maria. Per salvare Ausimont-Montedison, “che hanno inquinato liberamente per decenni e benignamente le Autorità hanno finto di non vedere”, per colpire al loro posto Solvay, “il Pubblico Ministero ha mentito, occultato, manipolato, falsificato le carte”, ha preso“una menzogna sistematica e organizzata, costruita fuori dalle stanze della Procure, in altre stanze del potere, qui ad Alessandria”. Da chi?“Dall’establishment politico, dalla cricca”. E fa nomi cognomi e indirizzi. “Il PM sapeva tutto. Si è prestato a fabbricare l’accusa. Lo denuncio per fatti di reato, falsi, favoreggiamento, abusi di ufficio”. Quali fatti?
Dice Santa Maria. Dapprima Arpa e Autorità pubbliche locali (Comune e Provincia) mettono in piedi (1998-2002) con i soldi della collettività un costoso “Monitoraggio ambientale della Fraschetta”: “un grande circo” volto solamente “a non scoprire nulla, a coprire e non scoprire”, insomma a coprire grazie all’Arpa l’inquinamento Ausimont delle falde acquifere. Al punto di tappare la bocca ai NOE.“Nascondere a tutti i costi”.  Perché? Perché Ausimont sta vendendo lo stabilimento (a Solvay) come sano.
Dice Santa Maria. Poi (2004-2006) gli stessi delinquenti “nella Conferenza dei servizi” paralizzano “con pretesti ignobili, la procedura preliminare di bonifica della Solvay” detta “messa in sicurezza di emergenza”. Perché? Per favorire, con la complicità della Procura, le speculazioni edilizie e commerciali di CoopSette e Esselunga che vorrebbero insediarsi tramite opportune varianti del PRG occultando che “sono pesantemente contaminate le falde e i terreni inedificabili”. I quali terreni dell’ex zuccherificio, guarda caso, sono stati venduti ai supermercati da Montedison stessa.
Dice Santa Maria. Però questo progetto delittuoso salta in aria nel 2008, malgrado le coperture del PM, malgrado questa “collusione sistematica tra Montedison ed Enti pubblici”, “una fogna a cielo aperto”, “una cricca politico affaristica locale che ha scelto da decenni, come le tre scimmiette, di non vedere, non sentire e non parlare, mentre Montedison per decenni e decenni allegra inquinava, facendo profitti immensi e non pagava i costi che venivano scaricati sulla collettività”. Perchè salta? Perché nel frattempo (2007) sopravviene sull’onda di Bussi il terrore che Solvay (subentrata ad Ausimont nel 2002) li denunci tutti. “Se Solvay va in Procura, vanno tutti nei guai”: “Tutti, dentro e fuori lo stabilimento, avevano nascosto l’inquinamento esterno” sia sotto l’area dell’ex zuccherificio sia sotto la Cascina Pederbona, la prima, guarda caso, di proprietà Montedison, e la seconda, fornitrice della Centrale comunale del latte (inquinato?), di proprietà della potentissima famiglia alessandrina Capra (Gianni). (Curioso che Santa Maria dimentichi Paglieri n.d.r.). I politici destra e sinistra, collusi e corrotti, “la cricca ignobile”, “con la coscienza sporca”, a questo punto sono costretti “a trovare un capro espiatorio”, Solvay, per salvare se stessi e gli industriali loro complici delle tangenti. Di cui Santa Maria fa i nomi: “Carlo Cogliati padre padrone di Ausimont dal 1989” spalleggiato da Leonardo Capogrosso e da Francesco Boncoraglio: “Il metodo Boncoraglio esiste, è vero che esiste. E’ esistito a Bussi e a Spinetta. Probabilmente a Porto Marghera”, esclama il difensore della multinazionale belga, “Il piano di caratterizzazione Ausimont era un falso plateale, dall’inizio alla fine”, “una palude”.
Dice Santa Maria. Nel 2008 dunque rischiano di emergere guai grossi legati a “l’affaire Esselunga CoopSette” che “solo il Pubblico Ministero, questo Pubblico Ministero” fino ad allora non aveva “fatto finta di credere”.  Come fare per salvarsi scaricando nella palude il capro espiatorio? Sono fatti uscire documenti che erano restati “a decenni i sonni dell’ingiusto nei cassetti”, l’Arpa retrodata e falsifica documenti per coprire “la menzogna organizzata dal Pubblico Ministero e dagli altri”. Arpa, Comune e Procura infatti vogliono fino alla fine lasciare l’opinione pubblica ignara della speculazione edilizia e commerciale dell’area inquinata dell’ex zuccherificio, vogliono “non scoperchiare il vaso di Pandora”: “Sono interessi ramificati, potenti, aggrovigliati, chissà cosa viene fuori”. Così, “una volta deciso di salvare le pubbliche autorità”, tocca al complice Riccardo Ghio “montare un processo così grosso che faccia tanto rumore da distrarre tutti. Il processo come arma di distrazione di massa”. “Si trova il magnifico colpevole che va bene a tutti, alle Autorità e a Montedison”. “Solvay va bene a tutti, agli ambientalisti, va bene anche all’amico Balza, che forse non sa in che compagnia si è trovato”. Così parlò Luca Santa Maria il difensore, che in veste di accusatore diventò così anche accusato.
[Nota a margine di Lino Balza: io so che Santa Maria sa che io so. So che anche Santa Maria sa che Solvay è da condannare per dolo e non per colpa, così Ausimont. Come ho dimostrato nella mia (ripetibile) testimonianza (pag. 97). So che anche lui sa che tutti sanno che ho sempre denunciato i politici, di ieri e di oggi, per le loro complicità con Ausimont e Solvay. Se fosse un “amico” non mentirebbe.].
P.S. Altri possibili testimoni. Nei periodi indicati dall’avv. Santa Maria (1998-2008), Sindaci di Alessandria sono stati: Francesca Calvo, Mara Scagni, Piercarlo Fabbio; Presidenti della Provincia: Fabrizio Palenzona e Paolo Filippi; Direttori all’Arpa: Francesco Vicidomini e Alberto Maffiotti; Procuratori capo del tribunale: Carlo Carlesi e Michele Di Lecce.

MEDICINA DEMOCRATICA FARA’ APPELLO. E GLI ALTRI?
Il rinvio di altri 90 giorni delle motivazioni serve alla Corte di Assise di Alessandria per blindare accuratamente la sentenza. Su cotanta scrupolosa diligenza ci contano in molti. La rinuncia di Solvay e Ausimont all’appello, infatti, toglierebbe le patate bollenti a molte parti civili, senza arrecare danno ai tre dirigenti condannati a pene lievi e condonabili. Comune, Provincia e CGIL, ad esempio, infatti non hanno alcun desiderio di proseguire in un procedimento penale in cui sono sempre stati pro forma, o addirittura sotto accusa (dalla stessa Solvay). Da un punto di vista mediatico, Solvay ed Enti locali sono sempre facilitati a nascondersi dietro la cortina fumogena delle sperimentazioni dell’università locale spacciate per bonifica, e dietro le finte indagini epidemiologiche dell’assessore all’ambiente o carrozzoni contrabbandati per Osservatorio ambientale della Fraschetta. Il Ministero dell’Ambiente prenderà atto. Gli altri risarciti in primo grado, Legambiente, WWF e ProNatura, non smanieranno di battagliare più di quanto abbiano mai fatto. Restano le persone parti civili. Quelle non risarcite, la maggioranza, sono già state mese ai margini. Le altre si convinceranno, visto come va la giustizia, che è meglio l’ovetto oggi. Insomma chi ha dato ha dato e chi ha avuto ha avuto. Resta Medicina democratica, l’eccezione che fa la regola. Resta soprattutto il Pubblico Ministero che dovrebbe in appello capovolgere la blindata sentenza da colposa a dolosa. Il PM ha già da affrontare due altre grane genialmente confezionate dall’avvocato Solvay. Cioè a Roma il suo deferimento davanti al Consiglio superiore della magistratura per presunta concussione. E a Milano la presunta diffamazione, per concussione e altro, di cui è vittima da parte dello stesso avvocato. Due grane sulle quali si potrebbe mettere una pietra sopra. E sarebbe una pietra tombale su tutto il futuro del processo Solvay. E vissero tutti felici e contenti. Meno le vittime passate, presenti e future.








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