Il peso delle parole, di Angelo Marinoni


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Il peso delle parole, di Angelo Marinoni
Alessandria: Nel paese delle parole, nel paese del “faremo”, nel paese della promessa che può essere mantenuta solo facendo qualcosa prima che viene promesso verrà fatta, sta mancando proprio il peso delle parole; se ne sta trascurando il loro significato.
Si sta chiudendo la caverna di Platone come gli scivoli nei parchi delle città.
Con assoluta leggerezza si parla di distanziamento sociale come se si trattasse di una normale premura igienica, si sta parlando di “nuove normalità” come se si stesse discutendo di scegliere un mercato diverso rispetto a quello abituale dove andare a fare la spesa: non ci si sta rendendo minimamente conto dell’aberrazione in cui il paese è scaraventato a compimento di uno dei periodo più cupi della storia repubblicana.
Il distanziamento sociale è una aberrazione: la negazione di diecimila anni di evoluzione della persona come animale sociale. La socialità, lo spostamento e l’adattamento hanno reso il genere umano diverso dagli altri e in grado di produrre la Cappella Sistina, la Nona Sinfonia, la Valle dei Re, la colonizzazione dello Spazio, la Relatività Generale.
L’uomo animale sociale consapevole di se stesso è l’eterno bambino con gli occhi spalancati sul mondo (ormai sui mondi) che ha come scopo sapere e diffondersi (nel modo più rispettoso possibile) non semplicemente stare in un angolo filtrando il mondo da uno spioncino “perché là fuori è tutto un pericolo”, coricandosi con paura guardando con ansia “se c’è niente sotto il letto”.
Raccomandare una particolare igiene in presenza di una contagiosa infezione, costruire un sistema temporaneo di regole che, se rispettate, rallentino la diffusione fino a estinguerla o fino al momento in cui quell’infezione non sarà che una normale patologia per la medicina generale è un passaggio comprensibile e doveroso, mentre costruire nuove normalità  basate sul distanziamento sociale e sulla paura dell’altro è un’aberrazione di tale ripugnanza che terrorizza immaginare il mondo che ne potrebbe derivare.
Una nuova normalità dovrebbe essere quella che prima della pandemi(m)a si stava cercando di costruire con la sostenibilità ambientale di edilizia, produzione di energia e trasporti, con la guerra al razzismo e all’odio di genere, con il rispetto e la tutela del mondo animale, con la fratellanza e la solidarietà religiosa, con la ricerca scientifica condivisa e non competitiva, con la diffusione della cultura e della conoscenza. Questa deve essere la nuova normalità, non le spiagge contingentate, gli spazi dei tram divenuti irrisolubili problemi di geometria solida, burocrati senza arte che sanciscono il mio diritto a incontrarmi con chi amo sulla base di confini amministrativi ricalcati sulle cartine dell’Italia politica dei sussidiari per la scuola elementare degli anni Settanta del secolo scorso.
Le parole sono importanti, pesano come macigni quando sono dette con leggerezza e distruggono come frane quando vengono scritte su codici comportamentali e non in normali regole di convivenza civile universalmente riconoscute: deve essere chiaro che in uno Stato anche solo timidamente democratico l’unica concessione che esiste fra cittadino libero e autorità politica è quella che il cittadino libero opera nei confronti dell’autorità amministrativa per descrivere le regole comuni di convivenza, regole che si basano non su quello che l’autorità amministrativa ritiene giusto, ma su quello che maggiormente non lede i diritti fondamentali dei singoli cittadini: questo è l’unico aspetto individuale fondante della società.
Siamo andati ben oltre e nel momento in cui il peggio sembra esser passato dal punto di vista pandemico la società italiana, invece di riprendere il percorso interrotto in maniera più o meno drammaticamente maldestra dalle sovrapposizioni di incompetenze dei vari livelli del paese, tende a disgregarsi affidandosi a quanto di più deteriore è emerso nei cupi mesi delle chiusure e della sospensione univoca dei diritti fondamentali: odio sociale, paura di Stato, distanziamento sociale, nuove normalità.
Uno dei tanti mantra che navigano nelle tormentate acque della comunicazione italiana è “niente sarà come prima”, affermazione che renderebbe felici se si fosse capita la lezione vedendo i canali di Venezia trasparenti, l’Himalaya visibile dal Punjab, l’ecosistema planetario prendere fiato, ma che mette terrore vedendo che si pensano a norme permanenti di distanziamento sociale, si guarda con interesse a rendere  permanenti soluzioni temporanee di telelavoro che nulla hanno di sostenibile se non la costruzioni di società individuali e non a società di individui, si pensa a limitazioni dei trasporti pur sapendo che una società che non si sposta è una società che si chiude nei propri timori e nei propri rancori verso gli altri, spesso generati da ragioni endogene alla società odiante più che da quelle generate dalla società odiata.
Il percorso di affrancamento dalla pandemia non deve essere la costruzione permanente di una pandemima orwelliana che ha avuto apice con elicotteri che perlustravano una battigia deserta, le jeep a caccia di passeggiatori solitari nei boschi, numeri verdi gratuiti istituzionali per le delazioni e la progressiva alimentazione dell’odio sociale che trasformava cittadini spaventati in odiatori seriali che spiavano con sospetto dalle fessure di una persiana i movimenti del vicino di casa divenuto il principale nemico.
Si scrivano regole utili al superamento della fase pandemica, ma che queste siano razionali, motivate e non lesive della libertà e della dignità umana, basate sulla socialità e non sull’uno contro uno; si pretenda il rispetto di queste regole, ma non si alimenti con i teleobiettivi e le foto ad arte l’inversione dei ruoli dove il controllato è sempre colpevole e dove viene utilizzato l’odio sociale come regolamento attuativo in compensazione delle sovrapposizioni di competenze determinate da un sistema regionale che è forse l’unica cosa non appartenente alla sfera ambientale che davvero non dovrà essere più come prima.
Per ultimo, ma non tanto da ultimo, sarebbe sicuramente un momento di rinascita sociale la scomparsa dagli spot commerciali dei riferimenti alla pandemia e dello sfruttamento di uno sciovinismo vittimista di terza mano, in casi eclatanti di raro opportunismo.
Riprendiamo in mano le grandi battaglie che il coronavirus ha interrotto e adoperiamoci tutti perché tutto sia meglio di prima e, ricordiamoci tutti che il distanziamento sociale ha il senso di una chemioterapia, non è un modello esistenziale.

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