Le galassie tascabili di Etgar Keret
Le galassie tascabili di Etgar Keret
Un intoppo ai limiti della galassia, Etgar Keret
(Feltrinelli, 2019 – trad. A. Shomroni)
Quando penso agli scrittori israeliani mi
vengono in mente i grandi romanzieri contemporanei: Amos Oz, David
Grossman, Abraham Yehoshua. Sono autori molto diversi tra loro, che
hanno però in comune un certo amore per le complicazioni strutturali, la
tendenza alle storie soffuse – talvolta ai limiti della pedanteria –,
nonché l’abitudine a scrivere prevalentemente libri lunghi. Da qualche
anno sta però emergendo – anche agli occhi di noi lettori italiani – una
nuova generazione di scrittori. Su tutti Etgar Keret: uno che
di faccia assomiglia a Mark Ruffalo, e che finora, in contraddizione con
la genealogia letteraria che lo precede, ha scritto in sostanza solo
brevissimi libri di racconti.
Già dai titoli si può capire che non
abbiamo a che fare con un epigono di David Grossman. Faccio qualche
esempio. Titoli di Grossman: Vedi alla voce: amore, Qualcuno con cui correre, A un cerbiatto somiglia il mio amore. Titoli di Keret: Le tettine della diciottenne, La notte in cui morirono gli autobus, Pizzeria Kamikaze. A
leggere le quarte di copertina, a sfogliarle, risulta evidente che le
opere di Keret devono molto più ai maestri di altre letterature che a
quelli del suo paese. E per fortuna. Un solo buon motivo per
leggerlo è già questo: che rappresenta una voce completamente diversa,
forse il principio della variazione in un contesto che da decenni ha i
suoi consolidati, giganteschi pilastri.
Ma non è l’unico motivo. Non è che Keret sia diverso rispetto agli scrittori del suo paese, è proprio diverso da tutti gli scrittori che conosco.
Forse quello che ci va più vicino è George Saunders: non per la banale
caratteristica di esprimersi solitamente con forme di narrazione brevi,
quanto piuttosto per la disponibilità che entrambi hanno di farsi
colpire da aspetti dell’umanità talmente insignificanti da risultare
meravigliosi, e di raccontarli attraverso immagini talmente fuori dalle
righe che ogni volta che li leggete avete chiara l’impressione che voi
da soli non avreste mai potuto neanche lontanamente immaginare qualcosa
del genere.
Per esempio quest’ultima raccolta appena uscita, Un intoppo ai limiti della galassia,
è popolata da coppie che non funzionano, adulti che imparano a
sorprendersi del mondo insieme ai bambini, vecchi che si sentono soli:
niente di particolarmente nuovo, solo persone che fanno i conti con il
bello e il brutto della vita. A uno sguardo più attento però si
può notare che tutti i personaggi sono un po’ disfunzionali: alcuni
megalomani, alcuni sognatori, altri ingannati da loro stessi se non
addirittura del tutto pazzi. Quel tipo di persone che sarebbero
in grado di inciampare tra i propri passi mentre osservano il cielo, o
che si soffermerebbero a mettere in fila uno accanto all’altro i
pastelli colorati sparsi su un tavolo. Quel tipo di persone che ti
stanno simpatiche per forza, perché sono dei perdenti nati.
E nelle vite di questi meravigliosi sfigati Etgar Keret fa passare comete che illuminano tutto e riempiono di colore.
La macchina accartocciata che a detta del suo proprietario bagnandola
un poco dovrebbe riprendere le dimensioni normali. L’uomo solo che
decide di comprare i compleanni degli altri per essere festeggiato ogni
giorno. Il pesce rosso che di notte esce dall’acquario e si mette comodo
in poltrona a guardare la televisione. L’uomo che cerca di superare un
paio di delusioni facendosi sparare lontano con un cannone. Il padre che
al tempo di morire si trasforma in un coniglio. Sono dettagli
meravigliosi che arricchiscono la vita e la portano fuori
dall’ordinario: a volte impossibili, a volte semplicemente improbabili.
Ma la questione non è tanto la
verosomiglianza di queste storie. Il vero talento di Keret non sta
nell’inventarsi cose che non stanno né in cielo né in terra. Il punto è
la poesia di queste immagini: un incantesimo che fa sì che leggendo i
suoi racconti ci sentiamo un po’ meglio con noi stessi, sollevati e
divertiti, e una volta chiuso il libro ci sembra di avere più fiducia
nelle persone, in quell’ammasso di umanità che fuori dalla stanzetta in
cui siamo chiusi soffre, esattamente come soffriamo noi, e che forse
merita un altro poco della nostra pietà. Veniamo colpiti dalla
consapevolezza che il mondo è pieno di minuscoli punti di luce, ovunque –
nell’insignificanza di certi dettagli, ci sentiamo in grado di scoprire
galassie luminose che nessuno ha ancora visto.
Pierpaolo Moscatello
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