Trasparenza inganna, di Nuccio Lodato

Trasparenza inganna, di Nuccio Lodato


Alessandria: (Sabato 16 novembre, alle ore 11, presso la Sala “Bobbio” della Biblioteca Civica di Alessandria, a cura dell’Associazione Libera Mente e di Agriteatro, l’appuntamento Anna Tripodi, una vita per il teatro, in coincidenza col genetliaco della storica Direttrice del Teatro Comunale, prematuramente scomparsa il 29 maggio 2018. Interverranno gli attori Enrico Campanati e Laura Curino, con Fiorenzo Grassi, Direttore Teatro dell’Elfo Puccini, Nora Guazzotti, Direttore organizzativo del Festival di Spoleto, Matteo Negrin, Direttore di Piemonte dal Vivo.
Coordineranno l’incontro Maria De Barbieri, Presidente di Agriteatro e consulente artistico del Teatro Sociale di Camogli e Fabrizio Priano Presidente di Libera Mente. Laura Curino leggerà proprio l’articolo col quale la nostra testata ricordò Anna all’indomani della scomparsa, il 2 giugno 2018. Nell’associarci all’iniziativa, anche in considerazione della problematica situazione nella quale versa tuttora il Teatro Comunale cittadino, ci sembra significativo riproporre un altro articolo, in cui la direttrice Tripodi rievocava e discuteva problematicamente i termini politici, tecnici e amministrativi della sua nascita e della relativa gestione, nel volume Alessandria in scena. Storie cittadine di teatri e di teatranti, da lei voluto nel 2003, a compimento del primo quarto di secolo di vita della nuova istituzione cittadina. Sia consentito esprimere qui l’opinione che, se Anna Tripodi fosse stata alla guida del Comunale anche nel fatidico 2010, l’impunita catastrofe da polluzione incontrollata di amianto che ne ha troncate, forse in via definitiva, tanto l’attività che la stessa esistenza non avrebbe assolutamente mai avuto la possibilità di verificarsi. Nuccio Lodato)
La trasparenza inganna
Anna Tripodi
Costruito il teatro, assopite le polemiche, individuata la municipalizzata come forma gestionale per la nuova struttura, approvato lo statuto, ora si trattava semplicemente (?) di gestire, tradurre finalmente in atti e decisioni concrete il progetto della così lunga e faticosa gestazione.
La forma gestionale era tutt’altro che un fatto di scarsa rilevanza e di esclusivo interesse amministrativo.
Lo aveva intuito il primo presidente dell’Azienda Teatrale Alessandrina, Adelio Ferrero, che assieme agli altri coraggiosi intellettuali aveva, con grande lungimiranza e determinazione, identificato nella municipalizzata la formula che più affrancava e garantiva il teatro dall’ingerenza politica.
Avevano realizzato una esternalizzazione ante litteram di un servizio che sino ad allora non conosceva altre modalità organizzative se non la gestione in economia diretta da parte degli enti locali. Il documento Linee programmatiche di politica culturale, redatto da Ferrero nel 1972 e approvato dalla Commissione Teatro e dal Consiglio Comunale unitamente alla deliberazione costitutiva dell’Azienda Teatrale Alessandrina, affermava: La municipalizzata è la gestione diretta del pubblico servizio da parte del Comune, sì da sottrarla alle esigenze e interessi dei privati.
Tale gestione diretta può, quindi, assumersi in due modi: o attraverso i propri organi (Sindaco, Giunta e Consiglio Comunale) o dando vita a un’Azienda Municipalizzata che ha una propria struttura, distinta e autonoma rispetto a quella del Comune, affidata cioè a propri organi (Presidente, Commissione Amministratrice) con un proprio bilancio distinto da quello del Comune, e sottratta nei suoi organi e nei suoi atti alla diretta ingerenza degli organi comunali.  E proseguiva… l’industria culturale e i grandi apparati dello spettacolo non si contrastano, non si possono contrastare oggi, su terreno di un’attività artigianale e volontaristica, frammentata in molteplici canali, o rivoli, di diffusione…
La cultura si doveva affrancare dal vassallaggio politico e dalle lentezze burocratiche proprie delle gestioni in economia, avere autonomia e lontananza dal palazzo per esprimersi con la necessaria libertà, professionalità e indipendenza. Era chiaro a tutti che non c’è indipendenza vera senza autonomia e per garantire le entrate necessarie al pareggio di bilancio i nostri avevano pensato all’attività cinematografica che, con i suoi incassi garantiti dal ridottissimo rischio gestionale, doveva pagare (se non del tutto almeno in larga parte) i costi del ben più oneroso e rischioso spettacolo dal vivo e delle attività squisitamente culturali prive di un qualsivoglia ritorno economico.
Sappiamo bene che le cose andarono diversamente, ma allora si poteva ben sperare che l’equilibrio economico fosse possibile: prima di tutto non si conosceva l’entità esatta dei costi di gestione di una simile struttura e poi il cinema non aveva ancora visto precipitare i suoi incassi in modo vertiginoso come successo da lì a poco.
Il progetto era senza dubbio fortemente innovativo, intrigante e assolutamente inedito, non esistevano (e continuarono a non esistere per molti anni ancora) aziende per la gestione delle attività teatrali e cinematografiche nel resto d’Italia.
Occorreva inventare tutto, dal contratto di lavoro da applicare ai dipendenti, ai regolamenti interni, alle modalità di pagamento per le compagnie teatrali e il noleggio cinematografico, all’associazione di categoria alla quale aderire (la Cispel, imbarazzata, ci mise nelle varie, tra gestioni cimiteriali, mercati e, appunto, altro) e via di seguito, senza poter fare riferimento a nessun altro organismo simile.
Ricordo che ai convegni e ai seminari cui intervenivo, ero sempre oggetto di grande curiosità sia da parte dei relatori che degli altri partecipanti per l’originalità e il fascino che suscitavano le materie che trattavo.
Le problematiche aziendali e i quesiti che sottoponevo erano privi di interesse per i colleghi delle altre municipalizzate e richiedevano attenzione e risposte ad hoc da parte dei relatori, essendo tutti gli altri partecipanti dipendenti di aziende del gas, dei trasporti o dell’igiene urbana, tipici servizi gestiti attraverso la municipalizzata. Non fu questa unicità, però, il motivo e la causa dei disagi che costellarono sempre la vita dell’A.T.A. bensì un altro elemento, del tutto sottovalutato (forse è più corretto dire ignorato, nel senso proprio di sconosciuto) dai nostri coraggiosi fondatori e che fece sì che questo teatro, poco amato dagli alessandrini, lo fosse ancora meno, questo era: la trasparenza.
Già, questo termine, che ancora non aveva acquistato quell’accezione politically correctche ha oggi e che tanta fortuna doveva avere da lì a qualche anno, fu la vera croce che l’A.T.A. dovette portare! Ho detto prima che i nostri pensavano, in assoluta buona fede, di poter pareggiare i bilanci con il cinema poiché ignoravano l’entità esatta dei costi da sostenere. Infatti le gestioni in economia, imputando le spese nei capitoli di riferimento del bilancio comunale, facevano sì che se ne perdessero in buona parte le tracce e che si confrontassero e si identificassero, come costi della gestione teatrale per la collettività, esclusivamente la differenza tra i compensi pagati agli artisti e gli incassi derivanti dalla biglietteria, ignorando completamente tutte le spese di personale, gestionali e di manutenzione, indispensabili per il funzionamento della struttura.
Ora l’A.T.A. aveva la sfrontatezza di elencare con precisione e pignoleria tutti i costi relativi alla gestione ivi comprese le rilevanti quote di ammortamento, all’epoca assolutamente sconosciute a qualsiasi bilancio pubblico: era veramente troppo! Quel bunker sorto sulle ceneri dell’elegante Marini oltre a non avere appeal architettonico né prestigio storico, costava quasi come La Scala! Naturalmente non era vero: la formula aziendale, oltre ad aver dato una struttura agile e priva delle lentezze burocratiche che molte volte rallentavano, facendole funzionare male, altre municipali, non costava “di più”. Metteva solo in chiaro il vero costo del teatro e delle sue attività: con trasparenza, appunto, senza sotterfugi o artifici. Questo consentiva una gestione seria, consapevole, oculata. In una parola (anche questa destinata in pochi anni ad avere notevole successo…) manageriale.
Quante volte ho letto sui giornali di amministratori soddisfatti degli ottimi risultati di questo o quel teatro che spendeva solo 200 o 300 milioni per la propria stagione! Ripresi i bilanci in quell’ottica, gli amministratori locali avrebbero potuto affermare in tutta sincerità che l’A.T.A. non spendeva nulla, anzi registrava un saldo attivo.
Infatti, grazie alla capienza della sala e all’indiscutibili successo di pubblico, tutte le attivitàcommerciali coprivano per buona parte i costi diretti e quelli culturali, in virtù di contributi finalizzati che non ci si stancava di cercare. Pareggiavano, ma pareva che nessuno lo capisse. Ad ogni buon conto non ci si perdeva d’animo e tutte le relazioni che accompagnavano, illustrandoli, i bilanci aziendali, sottolineavano questi aspetti gestionali.
Quando i Comuni di Tortona e Casale ristrutturarono i loro splendidi teatri, ci fecero visita per avere chiarimenti sulla formula A.T.A. e valutare la forma gestionale da adottare a loro volta. Rimasero molto colpiti dalla modernità e dall’efficacia della struttura, ma preferirono non correre rischi e scelsero la più tranquilla strada della gestione in economia.
Oggi che il legislatore dispone sempre più che gli enti locali riorganizzino i propri servizi con criteri di efficienza, efficacia ed economicità e la spinta all’esternalizzazione di quelli di rilevanza si fa sempre più chiara e decisa, sono molti i teatri gestiti con strutture esterne (istituzioni, aziende speciali, fondazioni, e qualcuno anche tramite società per azioni) e molti anche gli amministratori e i Sindaci che ancora fanno fatica a riaversi dallo choc dell’aver preso coscienza fino in fondo dei veri costi dell’attività culturale.

Lasciando da parte il facile umorismo, possiamo concludere affermando che nel quadro attuale delle riforme delle amministrazioni e dei servizi pubblici in generale, la necessità di individuare buone forme di gestione per le attività culturali e di spettacolo è sempre più avvertita e, forse anche grazie alla prima esperienza A.T.A., i costi che ne scaturiscono vengono accettati come inevitabile prezzo da pagare per un prodotto dalla forte componente creativa, importante ai fini dell’accrescimento e del mantenimento della qualità della vita individuale e sociale, e del benessere delle comunità radicate nel territorio.

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