Progetto cadavere. (Se Prodi rinuncia e Berlusconi risorge) Agostino Pietrasanta

by, Agostino Pietrasanta
Campane, ormai slegate, suonano a morto; non solo per il centro/sinistra. E non mi riferisco tanto al voto in Sicilia che potrebbe costituire un segnale, ma niente di più per il carattere di un elettorato sicuramente più deluso ed amareggiato degli altri dallo spettacolo inconcludente della politica. Mi riferisco al complesso del confronto che si dipana tra i leader più diversi e sotto gli occhi stupefatti di quei pochi che ancora vogliono capire. Della sinistra c’è ben poco da dire e chi si interroga ancora sulla possibilità di una ripartenza non può che incappare nella più amara delle delusioni. Bastano alcune considerazioni sulla pochezza dei ragionamenti ridotti ad individuare quali avversari interni eliminare e quali proporre; al punto che non saprei cosa pensare di Bersani che “apre” al PD purché non sia Renzi l’interlocutore, come se il summentovato non avesse anche lui i “clienti” indispensabili, se non altro per un’ulteriore frattura, di gran lunga preferita ad un ritiro ammantato di un realismo sconosciuto e virtuoso. E tutto questo senza scomodare la totale assenza di un progetto di cultura politica e realizzazione istituzionale compatibili con il riformismo tanto proclamato ed annunciato. Forse su queste premesse sta la posizione sempre più appartata di un Romano Prodi cercato nell’emergenza ed impallinato alla prima occasione possibile.

Il problema però non sta solo lì, non sta solo nel centro/sinistra e forse non sta solo nella confusione delle singole opzioni (si fa per dire) politiche di destra o di reazione populista che ci troviamo nei piedi; e sia detto senza offesa. Il problema sta nel fatto che assistiamo alle macerie di un progetto di alternaza dialettica che, dopo i proclamati funerali della Prima Repubblica, si sarebbe potuto sperimentare e realizzare. In effetti siamo alla frutta perché il progetto si è incartato è semplicemente stramazzato sotto l’incompetenza e la mancata tenuta culturale della classe dirigente.
Tanto per richiamo, resta il fatto che fino alla fine degli anni ottanta del secolo scorso, la nostra era una democrazia bloccata. Si era sì consolidato un sistema di confronto dialettico e di reciproca legittimazione, soprattutto tra il P.C.I. E la D.C., ma senza possibilità di alternanza: inutile ripetere, se non per un confronto.
Ed il confronto è impietoso per ciò che stiamo vivendo. Col crollo delle esperienze del socialismo reale e della resistenze della sinistra comunista in Italia, si poteva desumere e si è sperato che un riformismo di sinistra ed una destra liberal/democratica potessero competere in dialettica ed in alternanza. Al contrario c’è stata una deriva senza sbocco. Il centro/sinistra si è ingolfato nelle pastoie di una ricerca dell’egemonia surrettizia delle sue diverse correnti (la inutile fisarmonica delle opzioni tra centro/sinistra e sinistra/centro) e la destra ha trovato l’interpretazione del berlusconismo che ha dettato una mirabile quanto impercorribile agenda di annunci. Meno tasse, meno presenza dello Stato, libertà economica, aiuti ai più deboli, riforme istituzionali: per il risultato basterebbe osservare che nel più devastante periodo quasi sempre dominato dai governi Berlusconi (2001/2011) la pressione fiscale è passata dal già scandaloso carico del 40,1% al 41,6% che le persone in stato di povertà sono passate dalla cifra dei tre milioni a quella dei tre milioni e mezzo (certo c’è stata la crisi!), le spese militari sono aumentate del 35% (ma anche ora, per dare a ciascuno il suo, dal 2015 alle previsioni per il 2018 aumentano di 8%),mentre le spese per la cultura e la ricerca sono diminuite, alla faccia dell’articolo 9 della Costituzione, del 31%. Non solo, ma alla vigilia della caduta del governo del cavaliere (ex) eravamo sull’orlo di un collasso da cui ci ha salvato un intervento Monti che è costato e costa lacrime e sangue. Tutto qui; ed ora il centro/sinistra non esiste più se non nelle ceneri di una lotta senza sbocchi, la destra vincente in Sicilia consiste nel risultato di alleanze la cui tenuta mi sembrerebbe improponibile più che improbabile, ambigua più che ambivalente. Inevitabilmente si rafforzano sempre più le proteste populiste, si consolidano le derive euroscettiche, si definiscono le percentuali di un astensionismo elettorale devastante.

La constatazione sulla classe dirigente dovrebbe essere conseguente; se questa rimane, in tutti gli schieramenti, non se ne esce. Solo una ripresa di formazione potrebbe supplire, ma il tutto deve partire dalla consapevolezza che ne mancano, per ora i presupposti, perché ne macano i possibili soggetti promotori. E per poterli ritrovare siamo obbligati ad un’attesa dalle prospettive temporali non prevedibili.

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