Meritocrazia, deviazione del merito, Agostino Pietrasanta

by, Agostino Pietrasanta
Nel suo messaggio ai delegati della settimana sociale, tenutasi a Cagliari dal 26 al 29 ottobre, papa Francesco ha parlato, e giustamente, di una malattia gravissima, la meritocrazia. Ribadisco che si tratta di un’ indicazione non solo condivisibile, ma ampiamente condivisa dalla linea della nostra pubblicazione che del merito fa una questione di significativa rilevanza. La meritocrazia costituisce una vera e propria deviazione perché anziché fare del merito uno strumento di crescita per il bene comune, ne usa surrettiziamente per competizione esclusiva anziché per servizio di solidarietà.
Sollecitato dalle parole di Francesco, sottolineate, con lucido intuito, dai pochi che hanno seguito lo svolgimento dei lavori di Cagliari, vorrei proporre al riguardo alcune osservazioni sia di prospettiva storica, sia di valutazioni sulle condizioni poste dal sistema statuale stabilito, almeno sulla carta, dalla Costituzione della Repubblica.
Nel passaggio e nella svolta epocale delle due rivoluzioni industriale e francese, la promozione del merito ha costituito l’antidoto ed il superamento del privilegio; anticiperei subito che il contrario del merito non è l’uguaglianza, ma per l’appunto il pregiudizio della nascita privilegiata o, se vogliamo della raccomandazione. Certo nel corso della storia contemporanea, troppe volte l’uso del merito si è fatto tramite delle disuguaglianze per assenza di regole adeguate e per conseguenza di un egoismo sociale che ha fondato la parte meno illuminata delle istituzioni liberali.
Tuttavia ogni volta che l’attenzione alla persona e la promozione dei talenti personali sono state conculcate, ogni volta che i diritti individuali e le capacità soggettive sono stati rimossi si sono verificate derive autoritarie, arroganze nazionalistiche o cadute totalitarie. Anche per questo uno dei pilastri costitutivi di una democrazia progressiva, attenta ai postulati del bene comune, pone la questione della strumentalità dei meriti individuali ai fini del progresso di tutti, in particolare dei più deboli ed in definitiva delle opportunità possibili per le comuni acquisizioni dei più deboli rispetto ai più capaci, in altre parole delle prospettive per il massimo di uguaglianza.
Forse il luogo più esemplare, dal mio sommesso punto di vista, per una chiarezza di ragionamento potrebbe rimanere il sistema scolastico, almeno nel nostro impianto democratico; resta inteso che mi riferisco al “dover essere” più che a quanto, e purtroppo, sta succedendo. Se c’è stata una svolta ed una frattura nella continuità della storia della scuola italiana non le vedrei prioritariamente nel pur indispensabile prolungamento della formazione iniziale, ma nella finalità indicata dal Costituente: non più il traguardo del minimo indispensabile di cultura, ma del relativo massimo possibile. il massimo possibile per tutti, pure per coloro che senza loro responsabilità non possono disporre degli evangelici cinque talenti; anche chi ne possiede solo uno non ha il diritto di nasconderlo e non è accettabile un comportamento delle istituzioni che ne impedisca lo sviluppo. Forse qui sta il fondamento dell’uguaglianza possibile e rispettosa dei diritti individuali e soggettivi. Resta inteso che proprio chi ha le possibilità più cospicue deve essere indirizzato dalle norme e dalle regole non solo ad una promozione del massimo possibile personale, ma anche ad una conseguente e contestuale disponibilità delle risorse acquisite al servizio solidale di tutti.
In caso contrario, il merito interpreta la più ingiusta delle derive, la meritocrazia.






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