Eugenio Montale, “Ti libero la fronte dai ghiaccioli”

by Elena Di Gesualdo e Elvio Bombonato
La poesia di Montale fa parte dei "Mottetti", inseriti nelle "Occasioni". Il mottetto era una composizione polifonica vocale (Montale studiava da baritono, smise perché morì il maestro) di argomento religioso o amoroso, fondata su un motto o sentenza, di solito in due fasi, spesso in due diversi movimenti ritmici (Isella).  
Nei “Mottetti” Montale inventa il personaggio di Clizia, trasfigurandola da girasole in Visiting Angel, che appare e scompare nel ricordo (il senhal che Montale sceglie per Irma Brandeis, ebrea ritornata nel 1938 negli Usa, dove lui, nonostante le promesse fattele, non andrà, cedendo ai ricatti di Drusilla, nella cui casa aveva affittato una stanza. 
Montale li dedica (sono 21, un piccolo canzoniere) a un The Only Begetter  (Shakespeare, Somnets, 154: a " W.H., solo procuratore dei versi che seguono": procuratore significa colui che suscita, che genera).  
Sono indirizzati a un TU, essere remoto e salvifico, divino e demoniaco: la Lontana (Fortini). Inseriti nelle “Occasioni", ove è il caso a provocare la memoria involontaria. 
Esse sono un Canzoniere d'amore, un lungo poema dell'assenza e della separazione, interiezioni e istantanee del fantasma che ti salva (Contini). 
I mottetti sono poesie di alta concentrazione lirica (Isella), la massima a cui Montale sia pervenuto nella sua lunga carriera.

Ti libero la fronte dai ghiaccioli
che raccogliesti traversando l' alte
nebulose; hai le penne lacerate
dai cicloni, ti desti a soprassalti.

Mezzodì: allunga nel riquadro il nespolo
l'ombra nera, s'ostina in cielo un sole 
freddoloso; e l'altre ombre che scantonano
nel vicolo non sanno che sei qui.

La prima quartina descrive il viaggio lungo e faticoso di Clizia, che giunge stremata alla meta, la casa del poeta (è un interno: il riquadro è la finestra, Magritte). 
La seconda quartina invece uno squarcio probabilmente di Firenze, ove M. risiedeva, e dove aveva conosciuto Clizia. E' una fantasia di M., abbandonato da colei che ama, e che risiede a “tremila chilometri di distanza”). Clizia è una Beatrice che riappare al suo fedele d’amore (la brigata di Dante, Cavalcanti e Cino), dopo la lunga assenza.

La prima strofa è stilnovista: tecnicismo la fronte (Irma aveva la frangia di capelli neri, non biondi, urrah, che la ricopriva). M. le sposta i capelli con un gesto affettuoso. La guarda dormire, con un atteggiamento paterno e protettivo.  M. parte dal fisico, dalla fisicità, per sollevarsi al metafisico. Lei è arrivata stremata, ferita, ha bisogno di essere accudita come una bambina. Il viaggio di Clizia, dall’America a Firenze, è passato  attraverso l'oceano Atlantico: spazi siderali e cicloni cosmici, che a stento la donna angelo riesce a valicare.

Nella seconda quartina un paesaggio cittadino cupo e minaccioso; le ombre che scantonano sono gli uomini che non si voltano, che non si pongono domande e non cercano risposte, ciechi non vedono e non sentono (“le trappole e gli scorni di chi crede che la realtà sia quella che si vede”; il personaggio anonimo di ”Non chiederci la parola”). 
Tema già di Leopardi, il quale sosteneva che gli inconsapevoli e i convinti fossero più felici, o meno infelici, di chi invece fosse pensante.  Figurarsi se comprendono Clizia, la donna salutifera (ambiguità voluta, colei che saluta e che porta la salvezza), l'angelo della visitazione. 
Il paesaggio, nonostante sia mezzogiorno, appare buio e apocalittico. Ineguagliabili la forza del verbo insolito “s’ostina”e l’ossimoro “sole/freddoloso”, ove vince il 2° termine.  
Questi uomini sono ombre, non vivi, e non lo sanno, hanno fretta di tornare a casa, camminano rasente i muri, non avvertono il miracolo (“Forse un mattino andando”), l’arrivo di Clizia, l’angelo mandato da Dio (è passata e non l’ ho vista).
La tensione visionaria della prima strofa, forse citazione criptica della donna di “Invernale” dell’amato Gozzano (Tiziana de Rogatis), si oppone crudamente all’ostilità della seconda, metafora del dualismo anima e corpo, sacro e profano (Tiziano, il pittore), col vicolo claustrofobico e opprimente, che impedisce la vista dell’arrivo di Clizia dal cielo sulla terra, “ a miracol mostrare”. 
Ricorda Petrarca quando non può liberarsi dal pensiero dell’amore: inutile cercare di fuggirgli, non c’è luogo che ci nasconda dalla passione (“Ma pur si aspre vie né si selvagge/ cercar non so ch’Amor non venga sempre/ ragionando con meco e io co llui”).
Alla donna Montale attribuisce un potere salvifico. Montale non può sottrarsi all’amore.

elena di gesualdo – elvio bombonato

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