Urla nel ghetto. Il giorno orribile degli Ebrei di Roma, Agostino Pietrasanta

Agostino Pietrasanta
Tutti gli Italiani, e non solo gli Ebrei, dovrebbero fare memoria, nei prossimi giorni, e più precisamente il 16 ottobre, degli eventi devastanti subiti dalla popolazione ebraica residente a Roma in quella data del 1943 (un sabato, non a caso). Milleduecentocinquantanove (1259) persone, dopo aver versato per la propria salvezza cinquanta KG. d’oro richiesti dai Tedeschi che occupavano la città dal settembre precedente, furono ugualmente razziate nel ghetto sul far del giorno. Il successivo lunedì 18 ottobre dalla Tiburtina con diciotto (18) carri bestiame, milleventitré (1023) di loro furono deportati ad Auschwitz; due perirono durante il trasporto, ottocentoventi (820) furono subito soppressi nelle camere a gas e degli altri duecento (200) circa, solo sedici (16) sopravvissero.
Questa la scarna ed orribile serie proposta dalle cifre di cui peraltro altra volta si è detto; tuttavia resta ancora importante un richiamo alle responsabilità che ci chiamano in causa.
Ovviamente la determinazione del nazismo nel programmare e realizzare la distruzione degli Ebrei d’Europa resta il movente prossimo, ancorché radicato in un’ aberrante deviazione ideologica, di quelle orribili giornate. Tuttavia nessuno deve sentirsi fuori causa, a cominciare dai fascisti italiani che collaborarono in vario modo alla deportazione degli Ebrei d’Italia. Basti ricordare che l’appello dei deportati e la loro raccolta sugli autocarri della ghestapo furono prontamente posti in essere grazie agli elenchi forniti dalla questura di Roma; quegli elenchi erano stati predisposti in occasione e per conseguenza delle leggi razziali italiane del 1938.
Tuttavia c’è ben altro. Intanto sta in capo agli Italiani “brava gente” l’iniziativa di disposizioni sulla difesa della razza, avviata alla vigilia della guerra: è definitivamente provato che la Germania non aveva, in allora, promosso pressione alcuna sul governo fascista per la persecuzione degli Ebrei. 

Solo l’emulazione di una politica perversa, assieme ad altri moventi su cui sarebbe troppo lungo in questa sede, aveva spinto Mussolini alle leggi del 1938, cui, sia detto di passaggio, la monarchia non si oppose. E, sia aggiunto per completezza, la S. Sede protestò solo per il capitolo che impediva i matrimoni misti tra Ebrei e Cattolici. Cosa però anche più grave sta nel fatto che tutte le istituzioni avevano abbandonato Roma, dal settembre precedente, senza opporre alcuna difesa alle razzie tedesche; una difesa che non avrebbe sortito effetti pratici, ma salvato l’onore della nazione.
La Chiesa, tuttavia, per riconoscimento unanime, rimase al suo posto e nonostante le riserve che si possono richiamare sui ben noti “silenzi e dilenmmi” di Pio XII, si adoperò coi suoi vertici e nelle sue strutture a salvare la popolazione ebraica. Forse qui si potrebbe aprire il capitolo delle solidarietà che permisero agli Italiani un riscatto parziale. In fondo se gli Ebrei romani erano all’inizio del conflitto circa diecimila (10.000) e se ne salvarono ottomila (8.000) sicuramente resta un merito di tanti istituri religiosi e di molte case private che provvidero al ricovero dei diversi perseguiti di Religione e stirpe ebraica; se in Italia la popolazione ebraica si aggirava sui cinquantamila circa (50.000) e poco meno di quarantamila (40.000) si salvarono, ciò significa che molte solidarietà soprattutto ecclesiali, nonostante le riserve motivate dall’antigiudaismo cristiano e non solo, ebbero effetto positivo.
Tanto più positivo se si pensa (e qui si ribadiscono le imputazioni di responsabilità italiane) che dall’inverno 1943/44, anche la repubblica di Salò decise la persecuzione e l’eliminazione fisica degli Ebrei e consolidò sul territorio nazionale i campi di transito verso lo sterminio in Germania.

In questi giorni forse, c’è da ripensare per la preoccupante e sempre più evidente disposizione, anche italiana, di rifiutare il diverso; c’è da pensare che dalle “scintille” del presente potrebbero derivare gli “incendi” del futuro. Facendo memoria si possono predisporre gli antidoti per l’oggi, ma soprattutto per un incerto domani.

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