Cicli Maino, Alessandria primo Novecento industriale

by Piercarlo Fabbio
Collegando l’attualità alla storia, nella puntata del 24 febbraio de ‘La Mia Cara Alessandria’, diversi sono gli spunti. Gli hooligans del Feyenoord di Rotterdam che mettono a ferro e fuoco uno degli angoli più suggestivi di Roma oppure le vicende legate all’espansione dello Stato Islamico nella Libia del Nord a poche miglia marine dall’Italia. 
“In entrambi questi casi – sottolinea Piercarlo Fabbio, curatore e conduttore della trasmissione in onda ogni martedì dalle frequenze di Radio Bbsi e disponibile nella sezione podcast sui siti www.fabbio.it e (solo per la parte storica) www.ritrattidallalba.it - potremmo trovare uno spicchio di Alessandria e della sua storia. 
Ma preferisco pescare una notizia buona, quella dell’aumento pur minimo della produzione industriale italiana nel mese di dicembre 2014. Niente di che entusiasmarsi, ma almeno un dato in controtendenza in un anno ancora virato in negativo”. 
Dopo essere stata un’importantissima città militare, tra fine Ottocento e Novecento si è letteralmente trasformata in un centro industriale di primissima importanza. 
Nel 1900 in spalto Borgoglio, mentre si sta intersecando con spalto Gamondio, ci sono campi e gli inconfondibili baluardi dei bastioni. A sinistra una pista velocipedistica e uno squarcio di abitato. Da una parte vi sono bei portici e qualcuno
ha pensato di poter costruire così un’intera piazza. Lo slargo si chiama già piazza ed è dedicato al grande eroe dei due mondi, Peppino Garibaldi. Davanti agli occhi la ‘Borsalino Giuseppe’, nata nel 1857 e ormai insediata tra corso 100 Cannoni e Spalto Borgoglio.
Di fianco, da poco, è stata costruita una caserma per la cavalleria ‘Valfrè’. La ‘Borsalino Giuseppe e Fratello’ fra 11 anni avrà ben 2105 dipendenti, nonostante in città sorga, nel 1906, la G.B. Borsalino fu Lazzaro che, appunto nel 1911, conta 1076 addetti. Giovanni Battista è cugino di Teresio, ma i rapporti tra le due aziende non saranno mai idilliaci e finirà poi che La Borsalino Giuseppe ingloberà la fu Lazzaro. Ma occorre aspettare il 1938 per vedere realizzata l’operazione aggancio.

Sui cappelli non ci batte nessuno. Perché se questi sono solo i due esempi più importanti, vi è una miriade di aziende più piccole e di artigiani, che mettono a frutto l’effetto trascinamento del brand Alessandria sui loro prodotti. Per esempio, in piazza Massimo d’Azeglio si situa il berrettificio Giudice, mentre il cappellificio di Annibale Poggio è in uno stabile che affaccia su largo Vicenza. C’è anche la filanda dei fratelli Ceriana, che ha un po’ più di 100 maestranze, è sita ai margini della piazza d’Armi vecchia, che poi si trasformerà in piazza Genova. Il settore tessile è dunque ben fornito, visto che possiamo contare sulla Gallo, che sta in fregio a spalto Borgoglio, a poche decine di metri dal Tanaro che in quel tratto scorre fra il ponte della Ferrovia e il Cittadella. E’ un maglificio e chi si vuole proprio vestire di tutto punto, non deve neppure fare troppa strada per trovare, d’angolo con via del Prato e con quella che diventerà via Pistoia, il calzaturificio Angelo Vitale, fondato nel 1885. 
Negli anni Venti gli operai e le operaie del calzaturificio superano le 250 unità. Si fiuta l’affare ed altri si mettono sulla strada di Vitale, come il Caretti, mentre più modesti in dimensioni appaiono i laboratori calzaturieri di Luigi Freddi e Pietro Marchina. 
Ma ormai siamo nel futuro rispetto alla nostra epoca. Un futuro neppure tanto positivo, visto che i Vitale, ebrei, durante la vigenza delle leggi razziali in periodo fascista, sono costretti a sospendere la produzione e a trasferirsi in sud America. 
Anche nel carcere di piazza Goito si producono scarpe con la manodopera dei carcerati. L’azienda è di Giuseppe Angier, che, sempre nella stessa sede costruisce anche sedie. Ovviamente non manca la meccanica, partendo dalle fonderie di Armando Thedy, in attività dal 1875 nella sede di via Novi Ligure (l’attuale via Oberdan) ai margini dell’abitato, quasi a ridosso dei bastioni, del canale Carlo Alberto, perché anche in questo caso l’acqua è utile e di quella che viene chiamata ancora Circonvallazione militare. 
Il nome più altisonante nel settore è però quello di Giovanni Battista Mino, che ha iniziato la produzione nel 1840. La fabbrica è in pieno Rione Rovereto, via Verona, a fianco dell’ex Collegio dei Gesuiti ormai trasformato nella Caserma Santo Stefano. Specialità: le macchine per orefici e argentieri, nonché la produzione di laminatoi, cioè apparati per modellare il ferro. Il fatto che la Mino produca macchine per l’argenteria, fa comprendere come in città si stia sviluppando un’industria argentiera, mentre quella orafa è praticamente appannaggio della vicina Valenza Po. Alcuni nomi sono già brand di successo, come la Cesa & Pietrasanta. Ma sono importanti anche la Cavezzale & C. e la Barberis. Era il primo nucleo di quello che in futuro diventerà un vero e proprio distretto, un’eccellenza per un’Alessandria che tale comparto non ha saputo difendere. 
E non si può dimenticare il laboratorio di piazza Marconi di un artigiano che divenne ben presto imprenditore, Giovanni Maino. Le sue biciclette diventeranno le macchine ruggenti di Learco Guerra, la locomotiva umana, di Giovanni Gerbi, il diavolo rosso, e dei due irraggiungibili campionissimi Costante Girardengo e Fausto Coppi. I suoi due marchi, Maino e Marengo, già si stanno imponendo sul mercato per la leggerezza dei materiali e la scorrevolezza. 
Anche in questa puntata tornano le rubriche. Con le reclame d’annata e ‘Strà per stra’ percorrendo via Giovanni Battista De Negri (Alessandria 1851 – Torino 1924), da via Parnisetti a San Giovanni Bosco (parallela a via Galilei). Giovane fruttivendolo come il padre, esercitò questa professione fino all’età di 20 anni, quando fu scoperto per la sua voce tenorile. In una scampagnata a Marengo si mise a cantare qualche pezzo dell’opera “RuyBlas” di Filippo Marchetti. Un concittadino musicista, il violoncellista Carlo Ceriano, lo convinse a studiare lirica e lo seguì nella strepitosa ascesa verso il successo. Giovan Battista De Negri trionfò in ogni parte del mondo, tanto da rivaleggiare con il grandissimo Francesco Tamagno. Successi gli arrisero a Praga, a Viena, a Varsavia, a Barcellona, a Budapest, a San Pietroburgo e anche nel nuovo mondo a Buonos Aires come a Montevideo.
Rimase in attività per 25 anni, poi si ritirò rimanendo con la famiglia e dedicandosi ad opere di beneficienza e di filantropia. Alla sua morte, avvenuta a Torino nel 1924, ‘Il Popolo di Trieste’ scrisse: “E’ morto uno dei più grandi tenori dello scorcio del secolo passato. Chi fra quelli che non sono più giovanissimi, non lo ricorda? Chi lo intese anche una volta sola ne riportò perenne memoria. Quale voce bronzea, quale posa scultorea, quale larghezza di declamazione! Il suo canto gareggiava con quello di Tamagno in potenza e talora lo vinceva nell’espressione di alcune frasi, come quella del bacio della morta Desdemona”. 
E poi l’Almanacco del giorno prima, fatti successi tanti, tanti anni fa in Alessandria, per chiudere in musica con la playlist della settimana dedicata alle cover parodiche con ‘Come porti i capelli bella bionda’, Cochi e Renato; ‘Serenata Celeste’, Gigi Proietti; ‘Speedy Gonzales’, I Brutos; 'A cammesella’, Gabriella Ferri & Enrico Montesano; ‘L'uselin de la comare’ (Anonimo), I Gufi; ‘E la barca tornò sola’, Renato Carosone; ‘Vivere’, Enzo Jannacci; ‘Musetto’, il quartetto Cetra.

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