Cara Laura Boldrini, com’è profondo il mare… Nuccio Lodato

Nuccio Lodato
Fine legislatura e colpi di mano elettorali, migranti e haters, populismi e indistinte ambizioni politiche, “scissionisti” e progressisti misteriosi…
«Fenomeno enigmatico quanto universale è la massa che d’improvviso c’è la dove prima non c’era nulla. […]. Nulla si preannunciava, nulla era atteso. D’improvviso, tutto nereggia di gente. Da ogni parte affluiscono: sembra che le strade abbiano una sola direzione. Molti non sanno cos’è accaduto, non sanno rispondere nulla alle domande; hanno fretta, però, di trovarsi la dove si trova la maggioranza. […]. Il principale avvenimento all’interno della massa è la scarica.
 […] La distruzione di immagini che raffigurino qualcosa è distruzione di una gerarchia che non si riconosce più. Si violano distanze stabilite in generale, che sono evidenti a tutti e valgono ovunque. La loro rigidità era l’espressione della loro permanenza; si crede che esistano da tempo, ritte e inamovibili; ed era impossibile avvicinarle con intenzione ostile. Ora sono travolte e giacciono in rovina. In quest’atto si è compiuta la scarica»
Elias Canetti, Massa e potere  (1960)
Anche se la citazione in esergo potrebbe far credere il contrario, non è dell’inestricabile quanto esplosivo groviglio catalano che si intende parlare. Mosse invece prese, magari un po’ tardivamente, dall’incredibile quanto vomitevole viluppo di miasmi fognari (eufemismo) che dall’inizio del mandato in corso nella nostra Camera sta letteralmente sommergendo in misura crescente la sua Presidente Laura Boldrini.

Fenomeno per più versi inquietante, scontato il ribrezzo, ma anche preziosamente rivelatore di cosa stia mutando, col più recente periodo, nella pancia -se non addirittura nell’identità- italiana profonda. O forse, con maggiore verosimiglianza, di quanto (anche, paradossalmente, grazie proprio al web) ne stia riemergendo, dopo i pigri decenni facili delle apparenti vacche grasse e dell’ancor più ingannevole Mediterraneo in sonno. Una dimostrazione, in fondo ovvia, a ben pensarci, di come le maggioranze silenziose, da noi in inspecie, abbiano in seno e in serbo, all’occorrenza, ben altro che il solo urlo. E siano capaci, al momento buono, di emetterlo e dargli seguito con particolare ferocia: non c’era neppure bisogno di rileggere Canetti per intuirlo.
Culminata nei giorni scorsi anche nel varo dell’operazione Odiol’Odio, l’illusione della presidente Boldrini è invece quella di poter in qualche modo dialogare con un’Italia civile e normale, che evidentemente, non si dice non esista più, ma certo è divenuta minoritaria, indecisa e poco reattiva. Se così non fosse, non si spiegherebbero né le fortune elettorali almeno a livello sondaggistico di un Salvini, né il resistere,  nel medesimo terreno, su percentuali quando va bene immutate della Grillo&Casaleggio dissociati, nonostante le prove letteralmente terrificanti offerte nel quadriennio non solo  a livello politico e amministrativo (dovrebbe bastare e str-avanzare!), ma culturale e dei rapporti umani anche interni. Non si vuole sostenere che Boldrini sia un’anima bella, o una sorta di Alice costretta a prendere atto che il Paese delle Meraviglie esiste solo nel libro di Carroll. Ma certo la situazione che si è trovata a dover affrontare nel travagliato quinquennio che volge al termine è stata ed è tuttora di notevolissima ingratitudine.
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Un paio di domeniche fa, nonostante tutto, la presidente della Camera era parsa aver ritrovato per un momento la serenità profonda della sua bellezza tipicamente marchigiana: me lo fa osservare una sua concittadina tanto vicina a me quanto competente sull’argomento. In prima pagina su molti quotidiani del giorno successivo, fotografata sorridente tra Speranza e Pisapia, in quello che era parso il maggior momento di riavvicinamento tra Mdp-Art. 1 e Campo Progressista. Culmine precedente, come il miglioramento della morte, il prevedibile patatrac finale, forse ora reso reversibile dalla follìa del voto di fiducia sulla legge elettorale. Il bello è che quella definita una volta “la stampa borghese” inorridisce quando parla di questi anti-unitari, premurosa e preoccupata come appare di salvaguardare “l’unità della sinistra” (ormai siamo abituati al mondo alla rovescia e non ci si fa più caso…). Ma gli “scissionisti”, come ama definirli, hanno dovuto ammettere di non riuscire a capire neppure loro dove e come intenda collocarsi Pisapia tra Renzi, loro e quel che resta di SI-Possibile (possibile?). E neppure hanno capito, come tutti noi, “di “quante divisioni” dispongano il generale arancione Giuliano e il suo pur ottimo aiutante maggiore in prima Tabacci. Boldrini invece deve, beata lei, averlo capito, perché  sembra continuare a mantenere un atteggiamento possibilista riguardo all’eventualità di una sua presenza in ruolo significativo nella prossima legislatura (qualche commentatore ha perfino ipotizzato una sua possibile candidatura al premierato, ma si sa che le chiacchiere non sono proibite né proibibili, e dopo Macron e Trump più la spari grossa più hai possibilità di prenderci…) all’interno – pare proprio di capire- del per ora nebuloso Campo Progressista.
Mi sia consentito un piccolo ricordo personale. Nella primavera 2013, mentre era in corso l’elezione del presidente della nuova Camera, l’allora non ancora mia moglie Loretta – è lei la sua conterranea e quasi coetanea – stava per combinazione raggiungendo in treno la “loro” terra d’origine, la Valle Esina in provincia di Ancona. Non era ancora tempo di smartphones: io, davanti a una tv, le facevo la cronaca a tempo reale dello scrutinio a Montecitorio. L’emozione del viaggio e del parlarsi era illuminata dalla fresca new fuori da ogni pronostico della candidatura dell’ex-portavoce Unhcr -l’asso nella manica che il fu Nichi Vendola aveva estratto con sapiente sorpresa per quella campagna elettorale-  che si avviava verso l’ancor più sorprendente designazione, in quella che avrebbe dovuto essere la legislatura egemonizzata da “Italia Bene Comune”. Entrambi eravamo all’epoca militanti ingenuamente entusiasti di SEL, sull’onda del vittorioso referendum sull’acqua pubblica, mai più pensando di aver appena inviato in Parlamento, anche nel nostro collegio, un nugolo di opportunisti e di trasformisti da far invidia a quello messo in campo da Di Pietro con l’Italia dei Valori nella legislatura precedente, e senza neppure il sollazzo degli Scilipoti e dei Razzi. Area “mobile” di cui in fondo, scontata la “neutralità” di chi presiede la Camera, pare oggi purtroppo far parte la stessa Boldrini, passata lo scorso marzo al gruppo misto anzi che seguire la mutazione di SEL -ai cui elettori pure doveva candidatura, elezione e consacrazione- in SI. Il raggiungimento del quorum necessario in quell’elezione emozionò profondamente, non solo per com’era inatteso, ma anche per la prospettiva politica che sembrava aprire. Non era immaginabile che da lì a pochi giorni Napolitano avrebbe addirittura negato a Bersani la possibilità almeno di andare a farsi dire di no dalle nuove camere -a scarte scoperte e con distinguibili assunzioni di responsabilità- dopo il surreale incontro in streaming col tandem Lombardi-Crimi. Tanto meno l’invenzione del governo Letta, per non dire poi dello sgambetto di Renzi (dantescamente, e toscanamente appunto, ‘l modo ancor m’offende, Inf. V 102…).
Tutto questo è ormai -quasi per fortuna- storia passata: ma ne è derivata, tra le immediate conseguenze anche quella della totale vulnerabilità politica di Laura Boldrini. Da subito, a inizio legislatura: non c’è stato bisogno per lei di attendere l’azzoppamente nel finale che in quella precedente colpì Fini, preso in mezzo tra convulsioni interne dell’allora Popolo della Libertà e prima campagna ostile sulla casa di Montecarlo. Vale la pena di ricordare un attimo come nacque, onestamente quasi dal cilindro, ma con un’operazione che negli intenti non era solamente di immagine, ma anche di sostanza politica, la candidatura vincente della neo-parlamentare marchigiana già di SEL. Da un accordo scaturito nella profonda intesa anche interpersonale tra Pier Luigi e Nichi: ed è di pubblico dominio l’episodio, divertente, della neo-candidata a sua insaputa, che entra in ritardo nell’aula del gruppo parlamentare, in tempo per vedere e ascoltare l’allora capogruppo designato Gennaro Migliore (già detentore di analogo incarico nel gruppo di Rifondazione Comunista dal 2006 al 2008, e al Comune di Napoli dal 1997 al 2006: oggi ri-sottosegretario Pd alla Giustizia di stretta osservanza renziana: non sempre purtroppo nomina omina, e il compagno Togliatti qualche rivoltatina nella tomba se la sarà dovuta fare…) che accennando verso il fondo sala presentava ai compagni la candidatura a presidente della Camera riservata al gruppo. La deputata-matricola pare si fosse voltata per vedere il designato alle sue spalle, adocchiando invece con stupore stupore solo la porta da cui era appena entrata.
Il problema non era naturalmente il fatto che salisse al più alto scranno di Montecitorio una neo-eletta, così come del resto lo stesso giorno avveniva a Palazzo Madama per Pietro Grasso. Quelle aule quasi vent’anni prima avevano visto fatti insediare a forza alle presidenze Irene Pivetti e Carlo Scognamiglio, e non avevano quindi più niente da temere, anche perché era francamente difficilissimo, se non per partito preso, avere qualcosa da dire sulle personalità designate, del resto rivelatesi com’era ovvio tecnicamente ineccepibili dopo l’inevitabile rodaggio iniziale. Lo diveniva invece, e pesantemente, la nuova situazione politica creatasi: infatti il peraltro più navigato Grasso continuava comunque ad avere alle spalle il corpaccione del PD (e magari premier lo diverrà davvero, lui…). Scissionisti tardivi inclusi: avrebbero sopportato la rottura renziana col sindacato, la soppressione dell’art. 18, il Job’s Act e la Buona Scuola, prima di decidersi finalmente –trop tôt, trop tard, avrebbe sentenziato Mallarmé…- in virtù dell’incredibile scenario venutosi a creare dopo il crollo con divieto di successivo dibattito interno del 4 dicembre. Laura Boldrini si è ben presto ritrovata così a gestire un’assemblea nella quale la sua parte di provenienza diveniva via via ultraminoritaria fino all’insignificanza, e con vaste aree (destra e M5S) dichiaratamente ostili anche sul piano personale, in forme che sarebbero venute via via sempre più insofferenti, e spesso quanto volentieri offensive.
La popolarità della futura presidente presso l’elettorale progressista (o quanto ne sarebbe restato, se oggi ancora c’è) si era determinata durante gli anni del suo incarico di portavoce dell’Alto Commissariato ONU per i rifugiati del Sud Europa (UNHCR) dal 1998 al 2012, in un periodo contrassegnato nella sua fase iniziale dall’incubazione e poi dalla promulgazione della legge Bossi-Fini, peraltro tuttora vigente. Le sue interviste tv e giornalistiche avevano costituito, lungo quei quattordici anni, forse il più incisivo contraltare agli orientamenti politici dominanti, che contrassegnarono ben otto anni e mezzo (!!!) di governi Berlusconi contro neppure cinque del centro-sinistra, col dulcis in fundo del commissario europeo Monti allo sbocco del periodo.
In quegli anni si era accumulato il primo straripamento bilioso della destra nei suoi confronti. La sua accettazione politica, l’incarico derivatone nei termini insidiosi che si sono visti, il suo sesso, la sua inattaccabile trasparenza e intransigenza, perfino le sue innegabili finezza, eleganza e classe hanno fatto il resto. Oggi se non si è buzzurri e cafoni l’”opinione pubblica” non perdona. Se lo sì è, l’elettorato elegge…
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I giorni che stanno venendo mettono Laura Boldrini di fronte a scelte comunque ineludibili. L’esperienza accumulata le hanno certo consentito di misurare fino in fondo quanto sia profondo il mare: non soltanto quello evocato dalla bella e misteriosa canzone di Dalla, quanto il Mediterraneo di Fuocoammare, nel quale hanno trovato irrimpianta morte migliaia di aspiranti rifugiati e profughi, nell’indifferenza se non nell’ostilità assoluta della maggioranza degli italiani e di gran parte degli Stati e delle popolazioni dell’Europa unita (per i più orientati, catastrofi accolte quasi con sollievo: così la smetteranno di muoversi…). Non è necessario che ci si metta spettacolarmente a tifare per i muri innalzati da Orban o per l’incredibile muraglia umana in preghiera costruita nei giorni scorsi ai confini della cattolicissima Polonia con l’ancor più folgorante appoggio del cardinale di Cracovia, Marek Jedraszewski, successore di Karol Woytila insediato di recente sulla cattedra di san Stanislao proprio da papa Francesco. E’ sufficiente farsi complici, come di fatto quasi tutti per inerzia facciamo, scrivente compreso, di un atteggiamento di fondo tendente a eludere o a rinviare ad altro tempo o spazio il problema di un’Africa che fugge ormai per sopravvivenza da se stessa (quadro che certo l’atteggiamento complessivo del mondo musulmano non aiuta ad affrontare…).
I lineamenti dell’azione incisiva di Marco Minniti come ministro dell’Interno non riescono certo a risultare immediatamente condivisibili: ma è difficile negare che vengono incontro all’orientamento palese od occulto della netta maggioranza degli italiani, perché anche il neo-ministro dell’Interno si è accorto, come Renzi, che in caso contrario lo stesso Pd si sarebbe trovato a dover registrare un’emorragia di consensi ancora superiore a quella che è prevalente tendenza pronosticare. I piccoli provvedimenti discriminatori adottati qua e là da anonimi sindaci Pd qualcosa rivelano e confermano. E’ facile protestare per l’attendismo di Alfano: ma a parte il fatto che chi sostiene l’insufficienza dei “numeri” in parlamento sullo ius soli, per quanto incredibile possa parerci, ci prende presso che sicuramente, se un sondaggio generalizzato fosse esteso all’intero paese l’opposizione a un provvedimento così naturale e ovvio, doveroso quanto proficuo, risulterebbe ancora più estesa e refrattaria. D’altronde niente è più eloquente a dimostrare lo stato delle cose dell’estrema difficoltà –ad essere eufemisti- che l’incessante, quotidiana lezione di papa Francesco incontra ad affermarsi, al riguardo, nello stesso ambiente cattolico, soprattutto in profondità. Chi potrebbe giurare che vescovi e sacerdoti filo-leghisti, per non dire dei fedeli della Messa domenicale, non esistano?
Allora si può scoprire che c’è un mare ancora più profondo, esteso e insidioso, cara Presidente Boldrini: si chiama elettorato italiano. All’indomani di ciascun esito elettorale, anche se non contraddistinti dal sapere la sera stessa chi abbia vinto e vada a governare, tutti i più autorevoli commentatori si affannano a spiegarci che è andata esattamente come doveva andare, in quanto è pacifico che l’elettorato ha sempre ragione. Non è così, naturalmente: basterebbero gli esiti delle urne in Italia nel 1921 e 1924, o più ancora in Germania nel 1930 e 1933, per dimostrarlo, pur non essendo i soli, badando soprattutto ai più recenti periodi. La tendenza prevalente di questi ultimi dimostra vieppiù una crescente allergia dei votanti nostrani -non che sia proprio una novità…- a qualsiasi offerta politica anche solo timidamente orientata a sinistra. Di questo, nelle sue scelte imminenti su cosa fare da grande, è consigliabile l’interessata tenga conto. Soprattutto ora, dopo che l’incredibile errore marchiano che Gentiloni è stato costretto a compiere, con l’assenso del presidente della Repubblica e addirittura (è tutto dire!) in contrasto con lo stesso Napolitano, cedendo a Renzi coll’imporre il voto di fiducia sulla legge elettorale, ha reso il clima, se possibile, ancora più rovente e incattivito. Allontanando ulteriormente la cittadinanza dalla politica, gli elettori dalle urne, la possibilità di libera e riconosciuta scelta dei propri rappresentanti e dalla garanzia di avere una rappresentanza conforme alla propria scelta dal gesto sulla scheda. Cara Laura Boldrini, com’è davvero profondo il mare…



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