Ritenersi credenti cattolici… e poi?, Gian Piero Armano

by,  Gian Piero Armano
Celebrando la liturgia della 22^ domenica del tempo ordinario (domenica scorsa, 3 settembre) è stato letto un breve brano di S. Paolo contenuto nella lettera inviata ai cristiani di Roma, nel quale si raccomanda la fedeltà alla propria coscienza e alla chiamata di Dio, con le parole: “non conformatevi a questo mondo…”.
La mentalità mondana, si sa, può insinuarsi ovunque e in tutte le persone, anche in quelle appartenenti al mondo religioso e in coloro che, pur avendo buone intenzioni, si lasciano prendere dalla sete di potere, dalle loro manie religiose, dal godimento del possesso, confondendo tutto questo con la volontà di Dio.
La “mentalità del secolo presente” è sempre in agguato, è il paganesimo autosufficiente di oggi, sovente colorito di religiosità, diffuso anche nella vita di tanti “credenti” che rimangono affascinati dalla gloria e dalle ritualità del mondo.
A questo proposito, faccio riferimento a quanto è avvenuto pochi giorni fa a Pistoia dove un sacerdote, Massimo Biancalani, ha ospitato nelle strutture della parrocchia un gruppo di migranti, alcuni dei quali clandestini, ed ha osato portarli anche in una piscina pubblica. Non è mancata la reazione di un gruppo politico, che si ritiene erede orgoglioso di Salò, il quale promise che il 27 agosto, domenica, sarebbe stato presente alla messa celebrata da don Biancalani per “controllare la sua dottrina cattolica”, quasi a dire che l’attività di accogliere gli immigrati e di aiutarli non fosse un atto pienamente evangelico, quindi fuori dal messaggio cristiano.

Sappiamo che cosa avvenne: don Biancalani celebrò la messa sostenuto dalla presenza massiccia dei suoi parrocchiani. Ma alla fine della celebrazione, uno dei capi del gruppo politico contestatore, dichiarò alla giornalista de “Il Fatto Quotidiano”: “Un fascista è un buon cattolico…”. Parole indecenti e false perché un fascista costitutivamente non può essere non solo cattolico, ma neppure cristiano in quanto nell’ideologia da lui sostenuta c’è antisemitismo, razzismo, rifiuto dei diversi, odio per i neri… e così la ricchezza e i valori contenuti nell’Evangelo diventano spazzatura. Possono stare nella chiesa questi tipi di persona?
Ritornando al messaggio di S. Paolo, egli ci offre l’occasione per uscire da questa situazione con le parole: “non conformatevi a questo mondo, ma lasciatevi trasformare rinnovando il vostro modo di pensare”. Questo mondo: è il mondo dell’arroganza, della violenza gratuita, della furbizia, dell’indolenza, del modo di vivere troppo spesso basato sull’ingiustizia.
S. Paolo, a chi vuol essere credente sul serio, invita a dissociarsi da questo tipo di mentalità, a reagire, altrimenti si corre il rischio di assuefarsi.
E proprio per non dimenticare, faccio riferimento ad un fatto che mi colpì, accaduto nel 2008, esempio di perversione della inciviltà che si nutre di voglia di guadagno calpestando la dignità delle persone.
A Viadàna, paese vicino a Mantova, quindi in piena Padania, il 27 giugno 2008, morì un immigrato indiano clandestino, a causa del supersfruttamento lavorativo e per il caldo. Era alle dipendenze di un agricoltore “padano” che, forse, la domenica andava a messa come “buon cattolico”, ma di notte partecipava alle ronde illegali contro gli immigrati.
Vijai Kumàr, il lavoratore indiano, non aveva orari di lavoro, senza alcun giorno di riposo, per una paga da fame. Quando sfinito dalla fatica morì, il “padano” proprietario dell’azienda agricola obbligò gli altri immigrati clandestini a trasportare il cadavere lontano, fuori dalla sua proprietà. Ci fu una denuncia per omicidio colposo e per utilizzo di manodopera irregolare e probabilmente ci fu anche una condanna.
Ma il fatto presenta anche un altro risvolto non meno grave. Una signora credente del posto volle far celebrare una messa di suffragio dopo i 30 giorni dalla morte di Kumàr, ma nessun prete della zona fu presente. Ci fu un parroco che mise a disposizione la chiesa, ma non celebrò e fu chiamato da fuori un altro sacerdote per celebrare la memoria di Cristo crocifisso e risorto in favore di Kumàr.
Quel giorno i preti che, potendo, non parteciparono per non inimicarsi l’ambiente in cui vivevano ed operavano, è come se avessero perduto il diritto di celebrare l’Eucarestia. In quella situazione è prevalsa la “mentalità del secolo presente” da cui S. Paolo ci invita a dissociarci.
Come cittadini di uno Stato di diritto, come credenti nel Dio di Gesù Cristo che si è identificato con chi è povero ed escluso, non possiamo accettare che il comandamento dell’amore venga distrutto o monopolizzato per difendere una civiltà che pur chiamandosi credente, cristiana o cattolica, presenta drammaticamente un volto disumano e colpevole.

Il mondo che si considera civile e cristiano, ma che rifiuta immigrati, irregolari, poveri, considerandoli come stracci usati, come bubboni da estirpare in nome del turismo, del decoro della città, della sicurezza o di altre banalità, è il segno evidente di una società egoista e malata, un mondo senza futuro perché sta dimenticando di essere stato anch’esso affamato ed emigrante.

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