Ostracismo a “Bella Ciao”, Agostino Pietrasanta

Domenicale ● Agostino Pietrasanta
Il fatto in sé non sarebbe neppure da richiamo. A Carmagnola si festeggia la sagra del peperone ed il coro invitato inserisce nel repertorio il canto simbolo della Resistenza, “Bella Ciao”. Il vicesindaco censura la scelta perché certi simboli non sono condivisi e riconosciuti da alcuni membri della Amministrazione comunale e dunque motivo di divisione. Inutile qualsiasi richiamo alle tinte di parte dei protestatari; l’evento resta increscioso, ma soprattutto sembra ridicola e risibile la confusione tra i pareri di alcuni amministratori e la realtà ben più seria della divisione che certi simboli rischiano tuttora. Ed è per questo che un deprorevole episodio che sarebbe di per sé ben poco significativo anche per la ripetività di certi comportamenti che non fanno neanche più notizia; è per questo, dicevo, che quel richiamo alla frattura, seguita ad eventi gloriosi come la Resistenza, suggerisce, almeno a me qualche considerazione.
Va detto in introduzione che gli stessi protagonisti hanno combattuto con molto coraggio, sia pure con qualche ambiguità reciproca, ma anche con intendimenti non convergenti. Soprattutto chi si poneva nella prospettiva di una rivoluzione di classe riusciva a prestare o imporre alla totalità dei combattenti il proprio punto di vista. Inoltre l’opzione armata pretese di esaurire la complessità del movimento nella propria sfera di attività; non colse la ricchezza di una ribellione al totalitarsimo fattasi presente, sia pure non senza ritardi, nella nazione. Ed è proprio quella ricchezza che fece da fondamento alle future scelte democratiche del Paese.
Ancora. La determinazione con cui un parte politica pretese l’esclusiva della Resistenza provocò non poche reazioni negative nelle forze impegnate nella formazione dello Stato e delle Istituzioni repubblicane, ma escluse da quella determinazione degna di miglior causa; inutile aggiungere che si trattò, da entrambe le parti, di atteggiamenti divisivi.

Forse sono cose fin troppo ripetute e non mi pare opportuno insistere. Ci sono due aspetti tuttavia che vorrei richiamare perché ben noti alla storiografia, ma un po’ meno alla pubblicistica di militanza politica.
Intanto la incomunicabilità mai superata tra coloro che, combattuto il fascismo, avrebbero voluto una ripresa di aspetti fondati le Istituzioni prefasciste sia liberal/democratici (Benedetto Croce) sia repubblicani e addirittura mazziniani (Ferruccio Parri) e coloro che rappresentavano le forze popolari convinti di dover ripartire con diverse e nuove prospettive. Sia i primi sia i secondi presentavano personaggi di grandissima taratura intellettuale e politica, ma non si accordarono mai. Ora se tra i primi al loro stesso interno esistevano posizioni molto diverse (basterebbe richiamare, ma andrei troppo per le lunghe, la dura polemica in Consulta tra Croce e Parri), tra i secondi si determinarono i conflitti che oscurarono le istanze convergenti di una Resistenza, forse non decisiva nella liberazione dal nazifascismo operata dagli alleati, ma significativa della volontà democratica della nazione. Per estrema sintesi, sul secondo aspetto, basterà ricordare che proprio l’opzione di classe di cui erano portatori molti resistenti svolse ruolo di freno alle collaborazioni di governo dei primi anni del secondo dopo/guerra: freno in entrambe le parti rappresentate dalla sinistra e dalla Democrazia Cristiana (D.C.). Il Partito Comunista Italiano dovette mediare continuamente tra una base convinta della possibile opzione di classe ed una responsabilità nel possibile specifico dell’azione di governo ( “la doppiezza” in effetti era l’inevitabile mediazione dei vertici comunisti) e la Democrazia Cristiana dovette fare i conti con una base elettorale moderata se non conservatrice. Tutto questo, da una parte al netto delle pressioni sovietiche e del Cominform (1947) e dall’altra delle pressioni internazionali e della Chiesa che, dopo qualche perplessità arrivò alle scelte della democrazia, ma con paletti ben precisi che la D.C.non poteva ignorare.
Tutto fu assorbito dalla taratura di una grande classe dirigente, ma le fratture erano ben radicate ed anche quando, cambiata la prospettiva ed il contesto sociale e politico a tutti i livelli, sono venuti a mancare protagonisti di prestigio, le divisioni non furono assorbite; si esprimono però non in confronti dialettici di complessità, ma come teatrino da avan/spettacolo.


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