In fuga attraversando il Mar Nero. Ora i profughi sbarcano in Romania

Siriani e iracheni, chiusa la rotta balcanica, cercano nuove vie per l’Europa
Le autorità romene hanno allestito dei tendoni per offrire pasti ai profughi siriani e iracheni
da: http://www.lastampa.it Pubblicato il 31/08/2017
NICCOLÒ ZANCAN  INVIATO A MANGALIA (ROMANIA)
Il peschereccio Emek 1 è ancora ormeggiato al porto, sotto al diluvio, poco lontano dal «Maritimo Lounge Bar». Potrebbe trasportare al massimo dieci persone. Ma l’11 di agosto da lì sono sbarcati in 69: trenta uomini, dieci donne, ventinove bambini. Tutti migranti siriani e iracheni. È stato quello il momento in cui in Romania hanno capito che stava succedendo qualcosa di nuovo.   
Il Mar Nero deve il suo nome alla pericolosità. È squassato da rovesci improvvisi e tempeste. Gli antichi greci lo chiamavo «mare inospitale». Non è mai stato facile attraversarlo. E invece, stanno arrivando. Dalle coste della Turchia ci vogliono quasi due giorni di navigazione. Il secondo barcone è stato intercettato il 20 agosto, quando ormai era già in vista a occhio nudo dalle spiagge. A bordo portava altri settanta migranti. Quasi tutti siriani. «Erano affamati, sofferenti, stravolti da un viaggio molto duro», racconta Claudia-Andreea Corbu, reporter del giornale locale Replica de Constanța. «Sono stati soccorsi, alcuni hanno avuto bisogno di cure mediche. Ma non sappiamo dove siano stati portati. La Romania non è un Paese ricco che può farsi carico da solo di questa situazione. La gente incomincia ad essere impaurita». 


Da allora è successo ancora, con barche persino più piccole. Tre giorni fa è stata soccorsa una donna di Aleppo incinta all’ottavo mese. Nessuno conosce la contabilità esatta degli sbarchi. Non è facile ottenere informazioni dalla guardia costiera. Ma sono già sette i trafficanti di uomini finiti a processo davanti al tribunale di Costanza durante l’estate. Gli ultimi due si chiamano Petros Petridis e Peter Spasov, un cipriota e un bulgaro.  

Questa è la zona più ricca della Romania, l’estremo est. Il porto di Costanza è collegato a Bucarest attraverso una autostrada moderna lunga 200 chilometri. Passano le merci, arrivano i turisti. Ovunque puoi vedere cliniche dentistiche che offrono prestazioni a basso costo. Casinò. Nuovi palazzi in costruzione davanti al mare rigonfio di pioggia. Dopo altri quaranta chilometri di costa, si raggiunge Mangalia, l’ultima città romena prima del confine bulgaro. «Il fatto è che noi abbiamo sette resort di proprietà comunale», dice il sindaco Christian Radu. Ed elenca i nomi: Saturn, Jupiter, Neptune… «Proprio qui sgorgano acque termali. La gente viene a riposarsi. Abbiamo 40 mila residenti e 200 mila turisti all’anno. Non eravamo preparati». Nel suo piccolo ufficio al primo piano del «Municipiului», apre la mappa sul telefonino per spiegare la situazione: «Dalla Grecia non si passa più. La Bulgaria ha muri e militari schierati al confine, così come ha fatto l’Ungheria, lungo le frontiere con la Serbia e la Croazia. E quindi, l’unico passaggio per tentare di raggiungere il Nord Europa, siamo noi. Ci stanno provando».  

Quest’anno sono già 2600 i migranti fermati in Romania perché cercavano di attraversare illegalmente il confine. Domenica notte, la polizia ha aperto il fuoco contro un’auto che ha tentato di forzare un posto di blocco nella città di Moravica, al confine occidentale: due migranti e un agente sono rimasti feriti. Lunedì è stato bloccato un camion che trasportava vestiti dalla Turchia alla Germania, 42 profughi erano nascosti fra gli scatoloni. È una nuova rotta. L’effetto domino di altre decisioni. Nel 2016, secondo i dati di Frontex, solo un migrante aveva tentato la via del Mar Nero.  

Il governo romeno è preoccupato. Laurentiu Regeba, membro del Parlamento Europeo, ha dichiarato: «Quest’estate, mentre i romeni erano presi dalle diatribe politiche e scendevano in piazza per esasperazione, nel silenzio è accaduto qualcosa di nuovo. Un fatto ignorato da molti, ma grave. I migranti in Romania si sono moltiplicati. La rotta balcanica è stata chiusa. La pressione si è quindi spostata sul Mediterraneo centrale. Ma adesso anche l’Italia è riuscita a contenere i flussi. Ed ecco che gli sbarchi sono quadruplicati in Spagna, così come da noi. È chiaro che il fenomeno sta diventando cronico».  

Proprio ieri, sull’altra sponda del Mar Nero, la scena è stata questa. Nel villaggio di pescatori di Cide, nel distretto turco di Kostamonu, all’alba hanno visto arrivare tre pullman carichi di persone. Troppe per passare inosservate. Qualcuno ha chiamato la polizia. Quando gli agenti sono arrivati, 146 migranti erano già per mare, molti di loro erano bambini, sono stati inseguiti e bloccati dalla guardia costiera turca. Altri 82 profughi erano ancora sulla spiaggia, in attesa di partire. Nessuno conosce il loro destino, dove siano adesso esattamente. In quali condizioni. Quello che sappiamo è che scappavano dalla Siria. Come molti altri che hanno provato ad attraversare «il mare inospitale».  

Questa è una cronaca senza facce. Senza voci. Senza nomi. Una cronaca di tentativi invisibili. Secondo i ricercatori di Verisk Maplecroft, che tracciano un report annuale sulle moderne schiavitù nel mondo, la Romania è un Paese «ad alto rischio». Quello con il maggior incremento di sfruttamento del lavoro in condizioni miserabili nel 2017, davanti alla Turchia. Gli unici altri Paesi della zona europea citati sono Italia, Cipro e Bulgaria. Cosa succede a chi non riesce a passare la frontiera? Dove finiscono questi uomini, queste donne e i loro bambini?  
Qui a Mangalia non si vede niente. Continua a piovere. Il sindaco Radu ci tiene a tranquillizzare tutti. «Gli abbiamo dato da mangiare, certo. Ma poi sono stati trasferiti verso un centro per migranti, forse quello di Galati. Non sono rimasti qui per più di due ore». Tutti parlano di loro. Dei migranti. Eppure non sono mai stati così rimossi come nell’estate del 2017.  






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