E Dio li creò maschio e femmina… E’ davvero così?, Mauro Fornaro

Mauro Fornaro
Domenica scorsa è apparso su La Stampa un lungo articolo di Enzo Bianchi, fondatore della Comunità di Bose: trattasi di una sintesi della lezione magistrale da lui tenuta al Festivalfilosofia di Modena col titolo “Maschio e femmina Dio li creò”. Il giornale dal canto suo titola l’articolo in prima pagina “Maschio e femmina secondo la Genesi” e prosegue all’interno con un’intera pagina (la  20 e inizio pagina 21), abbellita dalla riproduzione a colori del famoso quadro di Brueghel, Il giardino dell’Eden. Questo grosso rilievo fa certo onore al monaco Bianchi. Tuttavia l’articolo sorprende su di un giornale notoriamente “laico”: non tanto per lo spazio che La Stampa dà e ha già dato pure al pensiero religioso, bensì per l’impressione complessiva che dall’articolo si può trarre nell’attuale momento culturale. Infatti il nostro contesto è contrassegnato da un’acquisizione di diritti civili per le coppie omosessuali, da una rivendicazione di ulteriori diritti per le famiglie omosessuali, inoltre da un forte  ridimensionamento nella teoria e nella pratica delle differenze di genere tra donne e uomini. Ebbene, contro questo trend “laicista” sembra cozzare frontalmente l’articolo di Bianchi.

L’articolo, che offre una lettura in certo modo attualizzata dei passi di  Genesi 1, 27 e Genesi 2, 22-23, in cui si parla della creazione dell’essere umano, presenta molteplici risvolti. Nella parte conclusiva, alla luce della pari dignità creaturale di maschio e femmina (“Maschio e femmina li creò” Genesi, 1, 27), l’articolo suona senz’altro come un’accorata denuncia della violenza contro le donne: una  posizione tanto giusta quanto scontata nella sensibilità prevalente nostra società (anche se poi contraddetta da comportamenti effettivi). Ciò che è interessante, è che Bianchi abbia rintracciato nello stesso scrittore biblico il rischio della sopraffazione maschile, laddove nella seconda narrazione della creazione (Genesi capitolo 2), ben più antica della prima (Genesi capitolo 1), Eva viene fatta derivare da una costola di Adamo, il quale poi si compiace di aver trovato finalmente un essere come lui “carne della mia carne, osso delle mie ossa” (Genesi, 2, 23). Non sfugge infatti a Bianchi l’ambiguità di queste ultime affermazioni. Da una parte è confermato che Eva è della stessa sostanza di Adamo (“carne della mia carne…”), dall’altra in quanto “mia carne”, derivata da una costola di Adamo, non appare autonoma né di pari dignità creaturale rispetto ad Adamo. Sotto questo secondo profilo, Eva non è un essere effettivamente “altro”, dice Bianchi, con cui Adamo avrebbe da rapportarsi in una logica di parità e complementarità.
La preoccupazione di un possibile sviluppo in senso maschilista è più che giustificata: un’interpretazione letteralista di Genesi 2, 22-23, avallando una concezione subordinata della donna, mero oggetto di possesso dell’uomo come appunto la propria costola, favorisce la prepotenza maschile su di lei. E se Bianchi può esorcizzare un tale tipo di lettura non è solo perché il brano va contestualizzazione con Genesi 1, 27 (“li creò maschio e femmina”), ma anche perché è ben consapevole che “il mito è un racconto situato culturalmente” e pertanto il brano di Genesi, 2, 22-23 va contestualizzato pure alla cultura patriarcale del tempo in cui fu scritto. Un plauso dunque all’ermeneutica che storicizza, ma occorre poi essere coerenti fino in fondo col medesimo impianto metodologico ed è qui che Bianchi a mio avviso fa difetto. Ma procediamo con ordine.
L’articolo – che emblematicamente a p. 20 rideclina il titolo in  “Maschio e femmina. La strada dell’umanità” e prosegue “La Genesi valorizza la differenza sessuale quale via al completamento” (sottolineature mie) – suona altresì come un attacco frontale alle teorie di parte femminista e di  tanti gruppi LGBT (lesbiche, gay, bisessuali e transessuali) che contestano da tempo le differenze di genere tra donne e uomini. Per tutti costoro, infatti, le differenze psico-comportamentali tra donne e uomini non hanno una base naturale – cioè innata, creaturale  – direttamente conseguente alla biologica differenza di sesso,  ma sarebbero solo il frutto di stereotipi sociali e dell’egemonia di una cultura eterosessista, maschilista e in definitiva patriarcale. Inoltre l’articolo suona come un attacco implicito pure alle unioni omosessuali là dove Bianchi insiste, facendo sempre leva sul testo biblico, sulla complementarità di maschio e femmina; sul carattere prototipico, rispetto ad ogni altra differenza, della differenza tra il maschile e il femminile (viene in mente lo Yin  e lo Yang del Tao cinese); sulla opportunità dell’integrazione con un essere effettivamente diverso, “altro” qual è la donna rispetto all’uomo (un’integrazione ovviamente elusa, aggiungo io, dalle unioni omosessuali).
Ben inteso, qui non intendo tenere la parte né di Bianchi, né di omosessuali e (talune) femministe, anche se personalmente simpatizzo per una differenza di genere conseguente alla biologica differenza  sessuale, nonché per un rapporto di paritetica complementarità tra donne e uomini, rispettivamente caratterizzati, in media, da specifiche predisposizioni psico-comportamentali. Neppure contesto la corretta e intelligente, come sempre, filologia biblica di Enzo Bianchi, bensì la sua storicizzazione rimasta a metà strada, facendola egli valere solo per la rivisitazione del passo in cui la donna rischia di esser ridotta a “possesso” dell’uomo.
Per attestare la mia osservazione critica, parto da una domanda: perché secondo lo scrittore biblico Jahvé creò Adamo-uomo maschio e non invece femmina? Magari una femmina-grande Madre dell’umanità come in certi miti. O ancora, perché non creò un androgino, cioè un essere in cui maschio e femmina sono da principio confusi e indistinguibili in un unico corpo, come nel famoso mito che Platone racconta nel Simposio? (E il fatto che quello strano essere godesse così tanto da far  invidia agli dei – il che equivale al peccato originale – fu la ragione per cui Giove li separò in femmina e maschio). Se tante, in teoria, sarebbero state le possibilità per render conto attraverso il mito della differenza sessuale, perché proprio la possibilità sviluppata dallo scrittore di Genesi, 2, 22-23 (che sembrerebbe anche una specificazione di Genesi, 1, 27: li creò maschio e femmina, sì, ma per primo creò l’uomo maschio)?
Sono interrogativi che non sembrano sfiorare il pur bravo Enzo Bianchi, almeno non in questo articolo. A risposta, come non storicizzare pure qui la primazia creaturale attribuita al maschio? E dire pertanto che fu verosimilmente ancora il maschilismo patriarcale della società del tempo a influire sullo scrittore biblico. E che il “completamento” dell’uomo tramite l’unione con la donna ben si correla con la severa condanna dell’omosessualità al tempo, la quale però non trova più riscontro nella cultura contemporanea.
La tradizione cattolica si trova oggi inevitabilmente di fronte a nuovi inquietanti interrogativi in fatto di differenze sessuali, di identità femminile, di coppie e famiglie omosessuali che sono ormai realtà di fatto. Non si tratta, ben inteso, di rincorrere la cultura laica, bensì occorre riconoscere – come già accadde in astronomia per il “fermati o sole”, in cosmologia per il mondo fatto in sette giorni, in biologia per le specie animali create direttamente da Dio – che talune tesi antropologiche, quali le “naturali” differenze di genere e la “naturale” complementarità tra maschio e femmina, non dovrebbero cercare giustificazione nei testi biblici.
Non si può sapere dal contenuto dell’articolo se effettiva intenzione di Bianchi sia stata pure quella di porre avvertimenti sulla base della Scrittura nei confronti di certe teorie sulle (non) differenze di genere tra donne e uomini. (Ho solo evidenziato come a mio parere l’articolo suona all’orecchio “laico” e su di un giornale “laico”). In ogni caso occorre dissociare il mito biblico dalla ricerca antropologica, diversamente da quanto pensa Bianchi. Secondo il quale, infatti, “il mito è un racconto situato culturalmente […] ma che vuole significare ciò che è universale, costitutivamente antropologico”. Ma il mito, proprio perché prodotto di una data cultura, non è detto che significhi davvero ciò che è universale e costitutivo. Del resto come metterla col fatto che molteplici e discordanti sono gli stessi miti sulle origini dell’essere umano, come sopra brevemente esemplificato? Quale di essi dice di ciò che è antropologicamente costitutivo? Lasciamo dunque alla Scrittura l’indicazione del senso spirituale delle cose, all’antropologia, alla psicologia e alla biologia la ricerca scientifica sulla struttura costitutiva dell’essere umano e sulla differenza sessuale.




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