Al comizio di Imola, per chi non se fosse accorto, Renzi ha scaricato Pisapia, ventriloquo di Bersani

26/09/2017 by, Maurizio Guandalini, Giornalista, editorialista di Metro e saggista
Renzi, con il discorso alla festa dell'Unità di Imola, ha messo una croce definitiva sul rapporto con Pisapia. Non regge. L'ex sindaco di Milano è in balìa dell'ala rancorosa, verso Renzi, dell'ex Pd capeggiata dall'ideologo della ditta Bersani.
Una fronda robusta che continua a ragionare contro Renzi convinta di riacciuffare il Pd. 
Cose d'altri tempi. La campagna elettorale è iniziata e c'è da preparare il Pd. E una gamba di sinistra a fianco il Pd. Nella quale far confluire i lealisti da sinistra al Pd, personaggi rappresentativi, quasi iconici nei loro settori e territori, e persone delle liste civiche che, seguendo il format delle elezioni per il sindaco, ci saranno a grandi dosi nella prossima campagna elettorale.
Una operazione, quella di sinistra - per le liste civiche il discorso della loro utilità rimane - che non so quanto sia utile a trascinare voti verso il Pd. Quel bacino è senza ritorno. Senza ripensamenti. Chi si è allontanato dal Pd a trazione Renzi non ritorna a votarlo, fintanto lo guida l'ex sindaco di Firenze. E non siamo a livello di programmi elettorali distonici, ma è solo antipatia a fior di pelle. 
Per questo Pisapia dovrebbe rinunciare a fare il leader, il coordinatore (cos'altro?) di quell'ipotetico, ora solo sulla carta, listone di sinistra-sinistra.
L'idea originaria che spinse l'ex sindaco di Milano a riscendere nell'agone politico è sepolta anche per i troppi tentennamenti di Pisapia che ha usato gli stessi toni del Bersani di turno, mortificando, per sempre i suoi linguaggi che, all'inizio, si distanziavano dall'onorevole di Bettola. Almeno da quando strinse in un abbraccio il sottosegretario Maria Elena Boschi. Per la verità già dal cancan montato dalla Ditta&C. su questo gesto, Pisapia doveva capire dove sarebbe andato a parare: i programmi erano ultronei, superflui. Al gruppone degli ex Pd serviva un ariete per smontare ancora una volta il Pd. Svuotarlo. Per poterlo quindi scalare.

È la campagna elettorale che Massimo D'Alema sta facendo in Sicilia: far sì che il Pd prenda un risultato al lumicino in modo, ancora una volta, da innescare una potenziale spallata a Renzi invitandolo a prendere con se i suoi stracci, e se ne vada lasciando stare un partito che non è suo. Ma di D'Alema &C. Non è, questa, una istantanea lontana dalla realtà. Anzi. È il copione di fede dalemiana del quale lo stesso Bersani si è appropriato pur non essendo tradizionalmente il suo e non appartenendo a quella scuola.
Il dato di fatto è che il vero leader che ha anche le idee chiare sul da farsi, che dice chiaro e tondo che non gli interessa allearsi con Renzi perché le idee sono agli opposti, questo è Massimo D'Alema. Il vero e unico leader di quell'area sinistra-sinistra che va da Speranza a Fratoianni di Sinistra Italiana. Sarebbe deleterio se non candidassero D'Alema leader maximo o premier. Un erroraccio storico che li porterebbe alla sconfitta. O almeno non farebbero entrare molti deputati e senatori. E D'Alema sicuramente vuole rientrare in Parlamento.
L'ex leader del Pci-Ds-Pd e presidente del Consiglio ha dalla sua quella fetta di ex Pd radicata nel territorio che è lì ferma, attendista, alla ricerca di un nuovo messia. Si tratta di ex dirigenti delle federazioni Pci, ex sindacalisti, compagni nostalgici delle feste dell'Unità, militanti duri e puri, quelli che alzano ancora il pugno o si emozionano al canto di bandiera rossa.
Una nutrita truppa – che ha lavorato alacremente per il No al referendum del 4 dicembre, le prove generali - alla quale poco importa i programmi, ma che vuole un leader riconoscibile, di tigna che rivendichi senza paura alcuni valori, per loro mai scomparsi. Valori che scaldano il cuore. Non a caso D'Alema ha capito il marketing da adottare (ha tentato anche Bersani di cavalcare quel sentiment ma francamente sentire il ministro delle lenzuolate, per il mercato tout court, suonare bandiera rossa con il pugno chiuso è una divaricazione in termini). In una recente dichiarazione ha confessato il solo e unico suo pianto: quando è stato sciolto il Pci.
Senza dover dimostrare alcun teorema è lapalissiano dire che c'azzecca Pisapia, il quale ha sempre militato in formazioni estremamente minoritarie delle sinistra e gli spasmi degli arancioni (le "masse" che sostenevano i sindaci Doria di Genova, De Magistris di Napoli, Pisapia, Zedda di Cagliari) non ci sono più. Tanto valeva si ripresentasse come candidato sindaco di Milano prima che la scelta cadesse su Sala. Anche questa mossa non è stata analizzata ma dimostra come Pisapia manchi agli appuntamenti che contano, perché buona parte di alcune scelte importanti dei suoi cinque anni, oggi, le ha raccolte l'ex commissario di Expo che guida un Milano che sta vivendo un rinascimento senza precedenti divenendo la vera capitale economica e culturale del Paese.
Sinistra-sinistra a parte il pallino ritorna nelle mani di Renzi che forse non ha ancora ben chiaro come strutturare la prossima campagna elettorale. A sua discolpa c'è il busillis della legge elettorale e anche quella del premier. Gli avanti-indietro continui sul suo nome fino ad arrivare a domandarsi, Renzi, se è il candidato migliore per le elezioni 2018 sia lui, lascia sul campo pesanti incognite.
Quello che è successo in Germania, pur senza ingigantire lo strike della formazione xenofoba, deve consegnarci leader molto determinati con programmi chiari e che si realizzano. Il sogno europeo è morto. Per intenderci incontri come quello di Ventotene con Merkel e Hollande non contano un fico secco. Passano slogan e idee che la gente già percepisce nella sua quotidianità come inconsistenti. Mai attuabili.
Il baricentro politico rimane fermo sulle questioni europee mai risolte: migranti ed economia. Dove sta la novità? È qui che tra il Pd e la sinistra-sinistra, molto ideologica (quella dei convegni direbbe Renzi) e fumosa, attenta a conservare il proprio marchio, utile al consenso elettorale, ci saranno divergenze profonde. Sarà prevalente la linea Minniti, per altro da rinforzare perché i dati degli sbarchi di questi tempi non sono confortanti, vuol dire che ci sono falle ampie, e quella del job act, o dell'accoglienza comunque, delle case occupate, e del posto sicuro sempre o non è lavoro?


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