Un patto per la sicurezza nel Mediterraneo

STEFANO STEFANINI
Da ormai due anni il filo rosso del terrorismo attraversa l’Europa. Ha risparmiato il territorio italiano. Dal Bataclan alle Ramblas gli italiani ne sono già stati vittime. Oggi, il rischio maggiore è rappresentato dal radicarsi della minaccia jihadista nell’area africana che va dalla Mauritania alla Libia, dalla «nuova alleanza per la Jihad» descritta due giorni fa su queste colonne da Giordano Stabile. Investe direttamente l’Italia: basta guardare la carta geografica che piazza la penisola proprio a metà strada fra Nord Africa e Europa.  
C’è di più. L’Italia si sta - giustamente - assumendo crescenti responsabilità in Libia col parallelo obiettivo di stabilizzazione politica e di contenimento dell’immigrazione clandestina. Il più che dimezzamento degli sbarchi, da luglio ad oggi, dimostra che l’impegno sta dando frutti. Quest’azione ha tuttavia un costo di esposizione. Non ci farà molti amici nelle reti di connivenze che circondano il traffico di esseri umani e che comprendono aree grigie fra jihadismo, illegalità e scopo di lucro. Vorranno colpirci perché diamo fastidio. 


L’immigrazione stessa (di qui l’imperativo di filtri rigorosi) offre un veicolo per il rientro dei «foreign fighter» in Europa. Immigrazione, specie africana prevalente negli arrivi in Italia, e jihadismo sono realtà completamente separate, ma alle organizzazioni terroriste basta infiltrare un paio di operativi su decine di migliaia di sbarchi per compiere la loro distruttiva missione. 

Puntuali sono giunte le avvisaglie allarmistiche che l’Italia è il prossimo bersaglio terroristico. In realtà non lo sappiamo. Le minacce su Internet sono gratuite. Sappiamo però che il tracciato del filo rosso non è lineare; le piste s’intersecano, quella iberica si è appena aggiunta a quelle franco-belga, britannica e tedesca. Le indagini sugli attentati in Catalogna rivelano pianificazione e obiettivi più ambiziosi della strage d’innocenti. Il tentativo, fallito, di caricare un camion di bombole di gas fa pensare che gli attentatori mirassero alla basilica della Sagrada Familia nel centro cittadino. Quanti simili monumenti, di culto o storici, abbiamo in Italia?  

Cosa può fare l’Italia per contrastare e ridurre (eliminare è impossibile) il rischio terrorismo? Sul piano interno il Viminale ha un’efficace strategia di sicurezza già illustrata dalla «Stampa». Bisogna continuare a tenere alta la guardia, dagli stadi ai concerti, senza un attimo di distrazione. Ma è sul piano esterno che si gioca la partita decisiva. La minaccia terrorista viene dagli insediamenti jihadisti in Africa Nord-occidentale. Di lì va sradicata. Altrimenti per quante teste si taglino all’Idra, altrettante ne ricresceranno. 

Non è un compito che l’Italia possa affrontare da sola. Non può aspettare l’Ue; non può (più) contare sugli Usa di Trump; non può attendersi un impegno diretto della Nato, poco accetta nella regione. Non resta che fare causa comune con gli altri due Paesi europei apertamente esposti alla minaccia jihadista dall’Africa: Francia e Spagna. La nuova sfida alla sicurezza viene dal Mediterraneo e richiede una strategia mediterranea.  

La Libia è un tassello importante, anche come terminale immigratorio, ma l’area è molto più ampia. Comprende Paesi che hanno lottato a lungo contro il terrorismo, come l’Algeria; Paesi istituzionalmente solidi come il Marocco; Paesi dove solo la presenza militare francese ha evitato il tracollo, come il Mali. Francia, Spagna e Italia avranno evidentemente bisogno della loro piena e paritaria collaborazione e di quella dell’Unione Africana. Opportunamente e diplomaticamente coinvolti, non si tireranno indietro: è in gioco anche la loro sicurezza. Sarebbero le prime vittime di un nuovo califfato jihdista in Nord Africa.  

Certo toccherebbe all’Unione Europea farsi carico della sicurezza nel Mediterraneo Occidentale, a cominciare dalla Libia. Ma non lo fa. Pertanto non resta che ai tre Stati direttamente minacciati, con l’aiuto di altri pure esposti, come Malta e Portogallo, prendere l’iniziativa. Se lo faranno, con gioco di squadra anziché in ordine sparso (Italia in Libia, Francia in Mali ecc.), l’Ue seguirà. La difesa europea passerebbe finalmente dalle (molte) parole ai fatti. 

Una strategia di sicurezza mediterranea sarebbe anche la miglior risposta alle pressioni americane per l’aumento dei bilanci militari. La sicurezza non si misura soltanto in percentuali di spesa. Un impegno comune ed operativo (intelligence; addestramento forze locali; droni; «boots on the ground» quando necessario) italo-franco-spagnolo, e a seguire europeo, contro il radicamento del terrorismo in Africa e per la stabilizzazione del Maghreb e del Sahel conterebbe molto di più del mitico 2% del Pil. 









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