Stabilità o consenso? Ragionando sulla legge elettorale, by Carlo Baviera

Carlo Baviera
Il blocco subito dall’ultima proposta di legge elettorale e l’esito delle votazioni amministrative, con i successivi commenti, sembrano aver accantonato l’interesse per la riforma del sistema elettorale. Che, pare, sarà ripresa solo dopo le ferie estive.
Una legge necessaria per dare organicità alla elezione di Camera e Senato e non dipendere da sistemi tra loro diversi e che possono produrre risultati non solo imprevedibili, ma addirittura contraddittori. Qualche soluzione, dunque, sarebbe auspicabile ricercarla.
Al di là di come la si pensi, sappiamo che quella proposta di legge è stata bloccata, caduta alla prima imboscata: per caso? o una trappola ben organizzata? Ma proviamo a fingere che quel modello elettorale (il simil-tedesco) sia ancora in pista o da quello si riparta, e sviluppare considerazioni riferite a quella proposta; fingiamo, perché si sa che buona parte del centrosinistra predilige il sistema francese.

Affermo subito, al di là di quale sia il modello elettorale da me preferito, che ritengo positivo che, riguardo al cosiddetto simil-tedesco, si sia proceduto a ricercare l’accordo fra i grandi partiti. Tutti coinvolti, tutti a dover rinunciare a qualcosa. Era ciò che mi sembrava doversi fare già prima di proporre l’Italicum e la riforma costituzionale. Di negativo c’è, secondo me, che si sarebbe dovuto prima concordare (o almeno ascoltarne i suggerimenti e i dubbi) con le minoranze interne e i partiti alleati di Governo. Già questo dice di come si intendono democrazia e alleanze!
Il modello elettorale prefigurato (stiamo sempre fingendo che sia vigente) prevede un sistema con un 50% circa di collegi uninominali e un altro 50% di proporzionale, e un listino corto di candidati. L’elettore esprime un solo voto per la lista. Il Parlamento per  circa il 50% sarebbe costituito dal vincente nel proprio collegio e l’altro 50% e poco più, in  proporzione ai voti ottenuti dalle liste che superino lo sbarramento del 5%. La cosa preoccupava molti, in quanto si poteva verificare un risultato senza vincitori certi e la conseguente necessità di accordi (grande coalizione fra PD e FI – oppure FI, Lega, M5S) giudicati innaturali, oppure il ritorno alle urne fino a quando una lista non raggiunga la metà più uno dei seggi.
In una sua intervista Pisapia affermava, saggiamente, che le legge elettorale (nella parte proporzionale, con pluricandidature nel listino) è bene che consenta all’elettore di esprime la scelta riguardo ai candidati: la proposta del PD (ma probabilmente anche la preferenza di Prodi) non prevedeva questa possibilità. Quella delle preferenze è una delle criticità che alcuni vedono nella legge. L’altra criticità è data dalla mancanza di voto disgiunto: in pratica chi vota per il candidato di collegio vota obbligatoriamente anche per i candidati di quel partito che sono presenti nel proporzionale; o viceversa chi desidera votare per un partito nella parte proporzionale dà il proprio voto al candidato di collegio anche se questo non è a lui gradito.
Mentre, per quanto riguarda le alleanze (e sottolineo, alleanze, per evitare che un unico partito che si prenda tutte le cariche di Governo) è interessante quanto sostenuto Prodi: se al centro sinistra manca il centro o manca la sinistra, non c’è centro sinistra. Su questo si fondano le preoccupazioni di quanti temono un’alleanza <obbligata>, per mettere insieme una maggioranza, fra PD e FI.
Per questa ragione, sia Castagnetti che Prodi, che Bindi (e molti altri, di quelle parti) suggerivano una legge elettorale maggioritaria per consentire di avere un risultato che permetta di governare e non trovarsi a dover ripetere continuamente elezioni (come successo in Spagna) mettendo l’Italia in balia dei mercati; oppure di dover procedere ad una grande coalizione, che nel nostro caso sarebbe un gran pasticcio (gran confusione la definisce Prodi).
E’ chiaro a tutti che per avere un risultato certo e un vincitore sicuro, questo lo può dare solo una legge di tipo maggioritario. Però, si può raggiungere questo risultato in tanti modi, anche con modalità che contengano il proporzionale (vedasi le elezioni per i Comuni): ad esempio basta <obbligare> prima della presentazione delle liste ad indicare alleanze e aggregazioni, e trovare un meccanismo che non consenta (o penalizzi) i cambi di casacca durante la legislatura. Per restare al sistema tedesco, si potrebbe introdurre la sfiducia costruttiva, per evitare modifiche di alleanze e sostituzioni continue di Presidenti del Consiglio; in tal modo una certa stabilità sarebbe assicurata; e nel contempo anche la rappresentanza non ne esce penalizzata.
Poi sappiamo tutti che le tecniche, le regole elettorali, sono importanti, ma la condizione indispensabile è politica. Non c’è nessun sistema elettorale che possa reggere a lungo se non è supportato dalla volontà e coerenza delle forze politiche a restare alleate e garantire gli accordi sottoscritti; se ci sono eletti non disposti a cambiare posizioni e partiti come si cambiano gli abiti al mutare delle stagioni.
Perciò, nel caso del centro sinistra, perché è questa la componente maggiormente preoccupata della futura governabilità, senza dipendere da grandi coalizioni o da piccolissimi gruppi ricattatori, è opportuno che le risposte siano politiche, non solo di leggi elettorali.
A questo proposito non ha torto chi si chiede se si intende veramente ricostruire il centro sinistra: “il Pd crede ancora realmente in questa prospettiva oppure occorre prendere atto che si è aperta definitivamente una nuova stagione politica? indicando sostanzialmente tre elementi che richiedono chiarezza definitiva.
Intanto, il profilo politico del nuovo Pd (profilo politico e culturale): è evidente che un partito popolare e di massa che si autodefinisce di centro sinistra non può prevedere alleanze col centro destra.
Il secondo elemento è creare le condizioni istituzionali affinché’ il centro sinistra possa decollare. Ci vuole una legge elettorale che premia la coalizione e non il solo partito. L’idea del “partito unico” nega la possibilità concreta per far rinascere un’alleanza di marca ulivista.
E poi la capacità di superare tutte le pregiudiziali personali/politiche. Pur senza dimenticare polemiche e divergenze del dopo referendum e del  dopo  scissione, la priorità è quella di rendere tutti gli attori come protagonisti. Chiedendo rispetto reciproco.
Non credo che si riuscirà a rispondere positivamente a tutte e tre queste esigenze, e quindi a seguire un percorso lineare, pur se accidentato. Però per il bene del campo solidale e del personalismo comunitario, ma soprattutto per il bene del riformismo democratico e progressista del nostro paese, forse sarà bene tenerne conto.
Ed è positivo che, dopo i ballottaggi delle amministrative, si sia finalmente riaperto il discorso anche nel Pd.


Commenti

Post più popolari