“Solo i capi del commando potrebbero essere legati all’Isis”

LAPRESSE
ROLLA SCOLARI
Negli attentati in Spagna dei giorni scorsi ha agito una cellula di oltre dieci individui, organizzata attorno a un leader – l’imam di Ripoll, Abdelbaki Es Satty. Non è chiaro dove nelle azioni di questo gruppo finisca la pianificazione e inizi l’improvvisazione. Per Raffaello Pantucci, del Royal United Services Institute di Londra, Barcellona dimostra un passaggio «dal lupo solitario al branco di lupi». Sorprenderebbe, dice, che in un gruppo così numeroso non ci siano stati membri che abbiano almeno tentato un contatto con la leadership dell’Isis.   
La cellula di Barcellona dimostra una capacità logistica diversa rispetto ad attacchi del passato?  
«Non è ancora chiaro se si tratti di una cellula diretta dall’esterno o di giovani che seguono un leader più anziano. Il desiderio di questi gruppi è lanciare un attacco sempre più mortale rispetto al passato, in assenza però di capacità logistiche per farlo: i servizi segreti sono sempre più attenti, è sempre più difficile comprare esplosivo e armi. Hanno organizzato un attentato come potevano: prendendo a noleggio furgoni, acquistando bombole di gas: attività legali. L’importante per loro era fare un attentato, con i mezzi a disposizione». 


Una maggiore organizzazione può indicare una maggiore connessione con i vertici di Isis?  
«Non necessariamente. La presenza di un gruppo più numeroso potrebbe invece andare in quella direzione. Mi sorprenderebbe in questo caso l’assenza di comunicazioni con qualcuno all’estero, o almeno di tentativi di contatto con una leadership esterna». 

Se fossero provati legami diretti con i vertici o la presenza di individui addestrati in medio oriente, è possibile l’esistenza di intermediari?  
«Se i vertici avessero realmente deciso di mandare qualcuno significa che la cellula non era poi così isolata. E’ tutto ancora da verificare. Perché la leadership dovrebbe avere fiducia in questi individui? Per farlo, dovrebbe avere garanzie, magari da personaggi più in alto nelle gerarchie interne, che si tratti di un gruppo sicuro». 

Un terrorista in fuga, più furgoni noleggiati, un attentato che avrebbe dovuto essere più sanguinoso. Dove finisce l’organizzazione e inizia l’improvvisazione?  
«Isis rivendica questi attentati – Parigi, Bruxelles, Stoccolma, Barcellona – dicendo: “Questi sono i nostri soldati”, ma mancano prove reali di connessioni finora: né una fotografia, né un nome, né un dettaglio a indicare che i leader conoscessero prima gli attentatori. I terroristi in Europa seguono linee guida: programmi, liste di luoghi da colpire, modus operandi forniti dall’Isis via WhatsApp, Telegram, Twitter. Quanto lo Stato islamico controlli questo processo è difficile dirlo. Loro si ritengono comunque mandanti morali. C’è una dinamica interessante a Barcellona: non lupi solitari, ma un branco di lupi legati fra loro». 

Gli attacchi di al-Qaeda erano portati a termine da cellule che facevano parte di una gerarchia ben definita, quali sono le differenze con Isis?  
«Uno dei maggiori strateghi di al-Qaeda, Abu Musab al-Suri, sosteneva che la ‘resistenza globale’ dovesse essere formata da tante cellule con un’unica direzione ma senza legami tra loro. È infatti la comunicazione tra le cellule a rivelare l’esistenza del gruppo ai servizi segreti».  



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