Si spengono le luci di Istanbul: turisti in fuga da attentati e polizia

I locali sono deserti e sale l’intolleranza verso chi non si allinea alla deriva autoritaria In città iniziate le ronde delle “Aquile della notte” volute dal presidente Erdogan
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Anche nei luoghi simbolo di Istanbul come la Moschea Blu il numero dei visitatori è in forte calo
Pubblicato il 15/08/2017
MARTA OTTAVIANI ISTANBUL
Da «New-York del Medioriente» a città presidiata, anche la notte. L’ultimo sfregio a Istanbul, arriva da 386 «Gece Kartalları», le «Aquile della notte», un ramo della polizia, addestrato dalle forze speciali e armato di tutto punto. Vigileranno nei distretti più pericolosi, dove potranno intervenire a loro discrezione. Istanbul è la prima città dove sono impiegati, ma la loro presenza verrà estesa a tutta la «Yeni Türkiye», la Nuova Turchia di Recep Tayyip Erdogan.  
Si tratta della risposta del governo agli scontri di strada, taciuti dalla maggior parte della stampa, ma sempre più numerosi, fra gruppi ultra nazionalisti che attaccano non solo i curdi, ma anche gli aleviti, rei di praticare un Islam di derivazione sciita e quindi diverso da quello sunnita, da anni eretto a credo ufficiale in quel che resta dello Stato laico fondato da Mustafa Kemal Atatürk. Oltre a rappresentare un rimedio in caso di rivolte antigovernative come quella di Gezi Parki del 2013 e iniziata proprio la sera.  

Intanto, la «regina delle città», come la chiamavano gli antichi, è un luogo sempre più mono identitario, proprio qui, nell’antica Costantinopoli, dove culture e religioni si sono incontrate e scontrate per secoli.  

La verità è che gli europei e gli americani, la Istanbul del 2017 la evitano. I numeri parlano chiaro. Da gennaio a giugno di quest’anno, i turisti entrati nel Paese sono stati circa 4,3 milioni, cifra che fa impallidire, se si pensa che nel 2015, prima dell’ondata di attentati che ha sconvolto il Paese, nella sola Istanbul erano arrivate oltre 11 milioni di persone. Dei visitatori di quest’anno, il 7,7 sono tedeschi, il 3,3 francesi e il 2,9 americani. Per il resto a entrare nella Mezzaluna sono stati sauditi, iracheni, turkmeni, azeri e tanti russi. Questi ultimi, per gentile concessione di Vladimir Putin che, nell’ambito della ritrovata sintonia fra le due nazioni e dopo diverse prove di buona fede da parte della Turchia, ha autorizzato il ripristino dei voli charter. Nonostante questo, il settore è in sofferenza. La Turob, l’Associazione degli albergatori turca, ha calcolato che nella sola Istanbul, quest’anno le perdite saranno di un miliardo di euro. La Tyd, l’Associazione degli investitori nel settore turismo, ha previsto che, se non verranno presi provvedimenti, nel triennio 2016-2018, andranno in fumo fino a 30 miliardi di dollari. Il governo è corso ai ripari e per il 2018 ha previsto un incremento dei turisti russi e un vero e proprio boom di visitatori dalla Cina. Ma Ankara, non perde occasione per mettersi in prima linea nelle più delicate crisi della regione, l’ultima in ordine temporale, quella fra Arabia Saudita e Qatar. E anche il web non l’aiuta. Il celebre periodico Forbes ha messo la Turchia fra uno dei dieci posti più pericolosi per donne che viaggiano da sole. A contribuire al risultato, sono state anche le politiche autoritarie del presidente Erdogan e le frasi che invitavano il gentil sesso a non divorziare e a fare almeno tre figli.  

A Istanbul, dove di recente si sono verificati episodi di intolleranza nei confronti chi di, causa caldo torrido, indossava calzoncini, si aspetta il ritorno in massa dei turisti come la pioggia alla fine della siccità. La città è come senza forze. L’energia, l’entusiasmo che l’hanno caratterizzata negli anni delle speranze di democratizzazione e della crescita economica sembrano un lontano ricordo. Alcuni quartieri hanno cambiato faccia. Fra Asmalismecit e Sofiyali sokak, dove una volta non si camminava per la presenza di nottambuli e tavolini all’aperto, c’è il deserto. La movida, si è spostata, in formato ridotto, a Karaköy, ma i livelli «di quando si stava bene» sembrano irraggiungibili. Sfregio nello sfregio, dopo il Reina, il locale notturno teatro della strage di Capodanno e per tutti il simbolo della vita all’occidentale nella città, hanno chiuso anche il club di Suada, isola artificiale in mezzo al Bosforo, dove dei ristoranti e la piscina olimpionica rimane un cumulo di macerie, ma il sito web funziona ancora perfettamente e fa l’effetto di un vinile rotto che si inceppa nel giradischi. C’è chi abbatte e chi costruisce. Nell’area di Rumeli Hisari, sul Bosforo, un tempo adibita a concerti estivi è sorta una sala da preghiera. La moschea sulla collina di Camlica, fortemente voluta da Erdogan, si appresta a diventare una delle più grandi del mondo e i lavori per quella in Piazza Taksim, un tempo centro della movida, procedono spediti. 

Storie di una città che muta in fretta, dove la gente si ostina a dire che va tutto bene e che in fondo non è cambiato molto, ma dove in alcune case si teme di essere le prossime vittime del repulisti di Erdogan. Le feste più ambite, ormai, sono quelle di chi riesce ad andarsene all’estero. Gli altri, la sera vanno sul Bosforo, rimasto l’unica, incrollabile certezza, a bere, sperando che quel cocktail non sia l’ultimo. Poi di notte tira la brezza e con l’oscurità e quelle lucine sull’acqua sembra che sia tutto come prima. Quando si stava bene.  




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