Saviano: “L’Europa ha chiuso le frontiere e ci ha lasciato soli”

«Campagna di fango sulle Ong. Il codice del governo avrà drammatici costi umani»
Pubblicato il 15/08/2017
MASSIMO VINCENZI
Roberto Saviano, togliamo l’odiosa propaganda politica, ma facciamo chiarezza su un punto chiave: esistono Ong colluse con gli scafisti?  
«La risposta è categorica: no, contro di loro c’è una plateale caccia alle streghe. Non c’è nessuna sentenza definitiva e neanche di primo grado. Se parliamo poi del caso della Iuventa, bene, vediamo che cosa la magistratura dimostrerà, lasciamo fare il suo corso. Se dovesse riscontrare delle irregolarità sarà giusto andare a fondo, accertarne i motivi, ma va detto che la parola collusione significa interessi comuni, significa profittarne e nelle inchieste e nelle accuse di Trapani non c’è questo, non c’è l’accusa di aver preso soldi o di aver fatto attività a favore dei trafficanti, cioè per arrecarne un vantaggio. Le accuse sono tutte legate a sconfinamenti, disinvolture nell’opera comunque umanitaria. Se si guarda al mare emerge in modo sempre più inequivocabile, anche da rapporti indipendenti e dalla Corte penale internazionale, che ad essere collusa con i trafficanti, quindi un rapporto diretto, sarebbe piuttosto la guardia costiera libica, la stessa che l’Italia sta aiutando e supportando. Molte imbarcazioni partono dalla città libica di Zawiya a poco più di 40 km da Tripoli, lì è notizia pubblica e comune, il capo dei trafficanti è un ragazzotto, Abdurahman Al Milad Aka Bija, che tutti conoscono come Al Bija, nemmeno trentenne, spietato, ricchissimo, ebbene sapete cosa è diventato oggi? E’ il nuovo comandante della Guardia costiera della città.
I giornali italiani raccontano poco la Libia, ma basta leggere i reportage della giornalista freelance, Nancy Porsia, per capire chi sia davvero alleato ai trafficanti, le Ong o la Guardia Costiera libica, che coincide con i trafficanti in molti casi. Ci siamo affidati ai trafficanti stessi, cosa l’Italia ha offerto ai trafficanti per non buttare più uomini in mare? Soldi, protezione, cosa? Questa caccia alle streghe è servita a questo, distrarre l’opinione pubblica, dando la colpa alle Ong che salvavano vite mentre la diplomazia italiana si accordava con trafficanti con la divisa della marina. A monte di tutto questo i veri alleati dei trafficanti sono le politiche europee. L’Europa ha chiuso tutte le frontiere e non ha lasciato un solo modo legale per trovare protezione».

Ci sono buoni e cattivi tra i volontari?  
«Se sarà il caso sarà appunto la magistratura a fare questa mappa. In mare ci sono grandi Ong internazionali, con progetti in tutto il mondo, come piccole organizzazioni nate apposta appunto per salvare vite nel Mediterraneo. Tutte hanno operato sotto il coordinamento della Guardia costiera italiana, con l’obiettivo di salvare legalmente vite in mare. E tutte sono finite in qualche modo, a diverso titolo, sotto una grandinata di accuse, individuali o collettive, dai dibattiti politici ai bar, dai titoli dei giornali ovviamente ai social network, una girandola di fango chiaramente strumentale. Non c’è a oggi nessuna condanna su questo. Invece a oggi ci sono, come nel caso Msf, centinaia di prove giornaliere della loro attività in tutti i Paesi in difficoltà, in guerra. Spesso sono uniche presenze di assistenza. Su quello abbiamo la prova invece, sul resto ci sono solo ipotesi, spesso fumosissime».  

Qual è il criterio per giudicare il loro lavoro?  
«Le vite salvate. Molte hanno decine di anni di storia di presenze in territori in guerra, di rintracciabilità dei loro finanziamenti privati, non pubblici, quindi nessuna speculazione. Dei loro guadagni su cui si è favoleggiato: tutte balle. Ad esempio gli stipendi sono bassi: quelli di Medici senza frontiere guadagnerebbero molto di più lavorando in cliniche o anche in ospedali statali. Noi stiamo parlando di Ong che in questi anni hanno lavorato con la Guardia costiera italiana. Fondamentale ancor di più perché c’era completamente un’assenza degli assetti europei. Quindi noi abbiamo infangato Ong che lavoravano fino a ieri con lo Stato, in appoggio. In realtà queste carte girano da mesi, con stralci pubblicati, allusioni non confermate che hanno avuto l’unico obiettivo di scatenare un accanimento mediatico e popolare». 

Perché alcune Ong aderiscono alle nuove regole del Viminale e altre no?  
«Il codice Minniti non è una legge per migliorare i soccorsi. C’erano già norme nazionali e internazionali che governavano il soccorso in mare sotto il coordinamento della Guardia costiera. E ribadisco: hanno consentito di salvare nella piena legalità migliaia di persone. Quindi non facciamo passare come stanno cercando di far passare tutti dalla Lega ai 5 Stelle al Pd, tutti, tranne rare eccezioni, che sino ad ora si è agito illegalmente. Sinora si è agito nel rispetto della legalità con la Guardia costiera italiana che si è avvalsa dell’aiuto delle navi delle Ong. Per cui le Ong hanno scelto nel nome della propria indipendenza di non voler diventare parte integrante di un sistema governativo. Anche perché, insomma, il codice non ha finalità puramente umanitarie. Rientra in un sistema più ampio che mira al controllo delle frontiere, contenimento delle persone in Libia. Quindi è un obiettivo politico-militare che, secondo le Ong, avrà drammatici costi umani». 

Da attento studioso di organizzazioni mafiose: ci sono loro dietro questa nuova tratta degli schiavi?  
«Non abbiamo prove di un investimento delle mafie italiane in questo traffico. E’ ovvio che le organizzazioni criminali libiche sono ai vertici del traffico di esseri umani. Ricordo che la stessa veemenza che abbiamo sui migranti, non l’abbiamo sulla cocaina che arriva tutta dall’Africa a tonnellate a settimana. Quindi in realtà l’Europa non si blinda, non si chiude sul narcotraffico, si chiude su esseri umani. Le mafie non sfruttano le Ong, non hanno alcun interesse. Il trafficante libico mette sui gommoni questi disperati, fregandosene sia che questi vengano salvati o annegati, non gli importa nulla. E’ vero che invece le mafie guadagnano dai centri di accoglienza». 

Cosa dovrebbe fare l’Italia?  
«Innanzitutto smetterla di attaccare le Ong che sono gli unici attori ad aver supportato il nostro Paese in un obbligo: l’obbligo di salvare vite. L’Europa ha lasciato tutto sulle nostre spalle, non istituendo un sistema di ricerca e soccorsi in mare, chiudendo tutte le frontiere, non condividendo le responsabilità dell’accoglienza. L’Unione è grande, i flussi sono stati ad ora gestibili: 362 mila arrivi nel continente nel 2016, 181 mila in Italia. Il problema vero è che non stiamo affrontando la questione in modo unitario. Per esempio, il regolamento di Dublino costringe l’Italia a doversi sobbarcare tutto da sola, portandoci a voler respingere i migranti a tutti i costi. In tutto questo il risultato? Che abbiamo trovato come unico interlocutore possibile la Libia».  

L’immigrazione è diventata un problema quasi esclusivamente di sicurezza, non servirebbe una politica culturale?  
«Per riparare a questi sei mesi di polemiche, haters e menzogne anti migranti ci vorranno purtroppo 10 anni di rieducazione. Dieci anni che dovranno essere accompagnati da azioni culturali importanti, per esempio raccontare nelle scuole fin dalle elementari che cosa è stato fatto all’Africa, cosa è oggi l’Africa, il Medio Oriente. Le classi italiane sono sempre più piene di figli di migranti: bambini italiani nati da genitori stranieri. Da lì partirà tutto questo: il cantante che quest’estate è stato più ascoltato in Italia è Gali figlio di madre e padre tunisini, nato a Baggio. Quasi tutti sentono che la pancia del Paese è contro i profughi e quindi si cavalca la paura, se prendi una posizione più complessa hai una risposta fredda e di diffidenza».  

C’è il rischio di infiltrazioni Isis sui barconi?  
«Questo è l’ennesimo spauracchio di questa manipolazione che stanno facendo, parlando di armi e droghe sulle navi dell’Ong: bugie. Non si può pensare che i miliziani dell’Isis vadano in battaglia rischiando la vita su un barcone. Anche solo a guardare le statistiche, che vedono migliaia di persone arrivate dal mare negli ultimi anni, si dovrebbe porre fine all’equazione che siano proprio loro a compiere operazioni terroriste anche semplicemente ideologiche, non solo militari». 

Altro tema come già accennato è l’integrazione sul territorio. I Cie e simili sono un fallimento, perché?  
«Sono un limbo, lontani dai centri abitati, da qualunque contatto normale con la società: in questo modo è chiaro che crei la divisione e impedisci alle persone di integrarsi, lavorare iniziare, fare una vita normale. La costringi ad un isolamento alienante. Tra l’altro i posti dell’accoglienza ordinaria non bastano e quindi ci si aiuta o meglio ci si affida alla accoglienza straordinaria, bisognerebbe prendere professori che possano insegnare l’italiano, psicologi che possano sostenere i migranti: sono operazioni molto semplici da poter fare, che aiuterebbero moltissimo».  

Cosa accadrà adesso con il ritiro di alcune Ong dal Mediterraneo?  
«Senza navi di soccorso ci saranno più morti e soprattutto non ci saranno più testimoni indipendenti. L’obiettivo primo dell’attacco all’Ong è non avere testimoni lì. I testimoni sono scomodi. Certo se nel frattempo la disumana strategia di contenimento funzionerà, ci saranno anche meno persone da soccorrere in mare, perché saranno intrappolate nell’inferno dei centri di detenzione in Libia». 

Per chiudere, una frase di speranza, è possibile arrivare ad essere una società multietnica?  
«Basta smetterla con le bugie. È necessario che tutte le persone imparino a rifiutare l’aggressività, che siano pronte a cambiare idea, che decidano di approfondire e che se non condividano non diffamino, non insultino o non usino toni di condanna di ciò che non sanno, ecco la speranza risiede in queste persone. Se esistono persone ancora disposte a non scegliere la soluzione più semplice o più brutale, se riusciremo a far rivivere questo spirito allora significa che non tutto è perduto». 





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