Realpolitik in versione mediterranea

Pubblicato il 15/08/2017 da: http://www.lastampa.it/
STEFANO STEFANINI
C’è una sola vera spiegazione alla decisione del governo italiano d’inviare l’ambasciatore al Cairo. L’Italia fa sul serio in Libia. Sa di non poter fare a meno della sponda egiziana. Il Cairo non può continuare ad essere una sede diplomatica vacante, malgrado la vicenda di Giulio Regeni non sia ancora risolta. Roma ha tratto le conseguenze e ha preso l’unica strada possibile, quella del ripristino delle piene relazioni diplomatiche a livello di ambasciatori. Era ora. La decisione, coraggiosa sul piano interno, è soprattutto un atto di responsabilità di politica estera. Stiamo imparando la lezione della realpolitik - ed è un valore aggiunto alla nostra credibilità internazionale ed europea.  

Roma ha ormai messo a punto una strategia per la Libia. La capacità di dialogare efficacemente con l’Egitto era l’unico grosso pezzo mancante. E senza ambasciatore in pianta stabile al Cairo avrebbe continuato a mancare. Il che avrebbe continuato a rendere vano qualsiasi tentativo di Roma di porsi come interlocutore del governo di Tobruk e, soprattutto, del generale Khalifa Haftar, politicamente e militarmente dipendenti dal sostegno egiziano. Qualsiasi prospettiva di soluzione politica della crisi libica passa anche dal Cairo.


La sede era vacante da più di un anno. L’Italia aveva richiamato l’ambasciatore Maurizio Massari nella primavera del 2016, ne aveva nominato successivamente nominato uno nuovo, Giampaolo Cantini, tenendolo però bloccato a Roma. La riapertura diplomatica al massimo livello è una decisione di supremo realismo politico, ma anche una scelta obbligata per un’Italia che abbia a cuore la Libia - e il corollario immigratorio. Non si può riaprire l’ambasciata a Tripoli, come abbiamo fatto (e siamo stati i soli), ed accontentarci di una presenza di cabotaggio ridotto al Cairo. La seconda taglia le ali alla prima. 

La decisione italiana di ieri si presta a due considerazioni generali di politica estera. La prima è che non è e non deve essere una rinuncia alla nostra richiesta alle autorità e alla magistratura egiziane di verità sulla scomparsa di Giulio Regeni. Il ministro Alfano ha parlato di progressi che consentono il ritorno di un ambasciatore italiano al Cairo. Può darsi che vi siano. Ma non facciamoci troppe illusioni. E’ probabile che la controversia continui. Dovremo riuscire a gestirla separatamente dal resto dei nostri rapporto con l’Egitto - come fanno tutti i Paesi che fanno politica estera seria. Talvolta sono necessari i compartimenti stagni. 

In secondo luogo, l’Italia sta facendo un significativo salto politico di qualità in Mediterraneo. Anche questa è una scelta obbligata. Di fronte alla crisi libica, e all’emergenza immigrazione, Roma è rimasta largamente sola. L’Onu ha un ruolo diplomatico importante ma mezzi molto limitati; l’Ue, piaccia o meno, è defilata - comunque i libici preferiscono i canali bilaterali. Gli Usa di Obama erano il nostro grande partner; adesso sono un punto interrogativo. La Francia oscilla fra collaborazione e concorrenza. Macron sembra privilegiare la seconda forse perché ha ereditato una situazione in cui deve giocare al recupero d’influenza. Ristabilire un rapporto col Cairo ci rafforza nei confronti di Parigi. 

L’Italia si rende finalmente conto che ci sono situazioni internazionali, come questa, in cui deve fare affidamento principalmente su stessa e sulle proprie capacità diplomatiche e di sicurezza, anziché aspettare l’aiuto altrui. Il sostegno, forse determinante, del Quirinale all’invio dell’ambasciatore in Egitto è un segnale di questa consapevolezza che richiede anche un forte senso di coesione nazionale. È questo il miglior incoraggiamento alla missione di Giampaolo Cantini al Cairo. Lo attende un compito difficile. È importante che sappia di avere tutto il Paese dietro di sé. 






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