Il governo non arretra: “Così meno sbarchi in Italia”

Ma l’ala umanitaria teme l’effetto-boomerang
Nelle stanze del ministero dell’Interno si continua a considerare vincente ed efficace la linea del ministro Minniti, quella del rigore e della fermezza
Pubblicato il 14/08/2017
GRAZIA LONGO; FRANCESCA SCHIANCHI
ROMA
Nessuna preoccupazione. Anzi, la speranza che il lavoro delle Ong nel Mar Mediterraneo sia sempre meno indispensabile, grazie a un rallentamento notevole delle partenze dalla Libia. Dai luoghi di vacanza, in una domenica di mezza estate, nel governo restano aggiornati ma senza timori sulla decisione di tre organizzazioni non governative di sospendere i salvataggi in mare. Tentando di stare lontani dalle polemiche e concentrati soprattutto su un punto considerato fondamentale: la frenata degli sbarchi sulle nostre coste. 
Dopo Msf, fermano le proprie navi anche Save the children e la tedesca Sea eye, che pure avevano firmato una decina di giorni fa l’ormai famoso codice di condotta: per questo, dal Viminale si dicono delusi e sorpresi. Nelle stanze del ministero dell’Interno si continua a considerare vincente ed efficace la linea di Minniti, quella del rigore e della fermezza, difesa nei giorni scorsi dal premier Gentiloni come dal capo dello Stato Mattarella. «Il traffico di esseri umani e gli sbarchi sono diminuiti, il monitoraggio della Guardia costiera libica sta funzionando bene, grazie alle dieci motovedette inviate da noi», elencano fonti dell’Interno, forti dei dati che parlano di un 3,86 per cento di arrivi in meno rispetto all’anno scorso.  



E se le Ong interrompono la propria attività denunciando condizioni di sicurezza insufficienti, se raccontano di minacce da parte della Guardia costiera libica, a Roma considerano la novità come un «riaggiustamento degli equilibri nel Mediterraneo», come ha detto il ministro degli Esteri, Angelino Alfano, «quelle acque non sono più di nessuno, ma della Libia». Nessun dispiacere dunque se le Ong fanno un passo indietro, criticando anche l’Italia come complice del blocco che si sta creando: negli ambienti del Viminale resta anzi il dubbio che forse, in passato, qualcuna di loro si avvicinasse troppo alle coste della Libia. 

Qualcuno dal governo sospira e si chiede se non sia un periodo, poi magari le Ong che oggi annunciano di andarsene torneranno. Ma il punto, ragionano, è che se i libici cominceranno a fermare i migranti impedendo le partenze, il risultato sarà meno morti in mare e meno sbarchi sulle nostre coste. Cioè il risultato inseguito per anni. Anche se, dalla linea Delrio-Giro, quella più soft, più solidale e umanitaria che si è scontrata nei giorni scorsi con quella “legge e ordine” di Minniti, qualcuno ieri, alla vista delle tre Ong in ritirata, è sobbalzato dalla sedia: e se tutto questo fosse un boomerang? Se dovesse verificarsi un incidente in mare, un naufragio non soccorso dalle Ong, non c’è il rischio di finire sul banco degli imputati? 


Forse, ma dalla maggioranza del governo è considerato un rischio remoto. Piuttosto, quello che sanno bene di dover contribuire a risolvere è la situazione dei campi in Libia, denunciata dal viceministro degli Esteri Giro («li riportiamo all’inferno») e testimoniata da reportage giornalistici, come quello firmato da Domenico Quirico sulla Stampa due giorni fa, soprattutto se i libici dovessero cominciare a impedire le partenze. Dove saranno trattenute queste persone? In quali condizioni? Al governo sanno bene che il punto debole della strategia Minniti è questo: non a caso, dal Viminale fanno sapere che il ministro adesso è concentrato su questo aspetto. Il tentativo è di ottenere una forte collaborazione dell’Onu attraverso l’Unhcr e l’Oim per garantire il rispetto dei diritti umani.  

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