Deriva populista al balcone di Piazza Venezia, by, Agostino Pietrasanta

Domenicale ● Agostino Pietrasanta
Nascono nelle democrazie, ma la genesi dei populismi si realizza attraverso un’idea o diverse e disparate caratteristiche di dissoluzione istituzionale; meglio: il populismo rimane dentro le istituzioni democratiche, ma per svuotarle dall’interno. E quando parlo di diverse e disparate caratteristiche sottolineo che, nonostante si identifichino in prevalenza in precise formazioni e movimenti, di alcuni aspetti nessun partito politico di oggi sembra esserne del tutto esente.
Per non complicarmi e complicarvi la vita o la lettura in troppe e complesse osservazioni, cercherò di proporre una sintesi, necessariamente incompleta dei processi che sembrano far vivere e prosperare la degenerazione che, sullo specifico, si va delineando.
La principale e forse la più decisiva tendenza dei populismi consiste nel disconoscimento valoriale del pluralismo politico che, in soldoni, significa delegittimazione delle minoranze e, sul piano istituzionale, delle opposizioni. La trionfale, quanto rozza espressione, “lo sconfitto vada a casa” ne costituisce la componente più accreditata e più diffusa anche nelle formazioni politiche che si dichiarano esenti da ogni tentazione populista.

Ovviamente tutto questo presuppone che il populista vinca sul piano elettorale perché se dovesse perdere (e siamo ad una seconda componente) allora gli eletti risulterebbero delegittimati per varie e diverse ragioni che sarebbe impossibile anche solo elencare; fondamentale però sarebbe la condizione indotta dai media tradizionali che, gestiti dai poteri forti ed evidentemente corrotti agisce nella formazione dell’opinione pubblica e delle scelte elettorali. Cosa che spesso succede, ma che non può essere invocata al punto da rimuovere l’attività della stampa e della informazione nonché la relativa libertà.
Ne deriva una terza caratteristica; non sono le elite, ma gli interpreti della volontà autentica del popolo, senza alcune intermediazione, che darebbero legittimazione alle democrazie. Qualcuno ha ricordato una famosa espressione del presidente equadoregno degli anni intercorsi tra la fine del quaranta e l’inizio del settanta dello scorso secolo, Velasco Ibarra, “…datemi un balcone e diventerò presidente”; si potrebbe pensare che, visitando Roma, si sia fermato in Piazza Venezia.
Ancora. La mancanza della intermediazione (e siamo al quarto elemento costitutivo dei populismi) e dunque del criterio della rappresentanza popolare, colpisce al cuore i sistemi democratici noti, realizzati ed oggi in crisi. Colpisce al cuore proprio la tradizione del cattolicesimo democratico, ma anche di altre forze riformiste che fanno delle istituzioni intermedie il luogo di formazione alla vita politica e di individuazione dei protagonisti. Per questo l’opinione controllata ed omologata dai social network finisce per trionfare sulle ipotesi delle elite di governo. Tali elite sarebbero sempre corrotte e contrapposte ad un’ assurda (per certi aspetti un po’ illuministica) purezza della volontà popolare, rischiando di riproporre una strana idea o un impraticabile mito del buon selvaggio, superata dai drammi più che dalle tappe della storia degli ultimi due secoli. Mi sembrerebbe opportuno precisare che le elite non possono essere ridotte al ruolo delle forze oligarchiche; purtroppo una simile confusione, nei mesi scorsi, è stata accettata e descritta da un noto esponente della cultura politica odierna, ma un conto sono le oligarchie che rimuovono del tutto la volontà popolare, un conto sono le elite che interpretano le domande popolari descrivendone la genesi e la praticabilità istituzionale: Le elite sono risultato della promozione del merito che, in un sistema fisiologicamente democratico, si pone a servizio della nazione per raggiungere il massimo possibile di partecipazione popolare alle decisioni indispensabili per il bene comune:
Siamo qui all’ultima carattersistica che vorrei richiamare (altre sarebbero ancora individuabili): se i populismi invocano la presenza del popolo, indipendentemente dalla sua formazione politica, le democrazie fanno della formazione il nodo costitutivo delle istituzioni. Se non temessi di essere frainteso direi che sono stati responsabili di populismo tutti coloro che hanno rimosso il problema della formazione.
Non so se sia possibile un’inversione di rotta; tuttavia se fosse possibile lo sarebbe almeno (ma non solo) attraverso due interventi: un nuovo e diverso impegno sulla formazione, grazie sì alla scuola, ma anche soprattutto al reimpianto degli enti intermedi (partiti, sindacato, associazioni…) agli impegni delle Chiese e delle più diverse leadership religiose; e con una politica della crescita affiancata da interventi di equa distribuzione dei relativi processi positivi.
E non mi si dica che mancano le risorse: parlando di evasione fiscale, di corruzione più volte abbiano ritenute valide indicazioni che sono anche state riforzate dalle osservazioni ed aggiunte dei nostri lettori; ovviamente di quelli che non si sono nascosti dietro l’anonimato.









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