Contaminazione virtuosa per il cattolicesimo democratico, Agostino Pietrasanta

Domenicale ● Agostino Pietrasanta da: https://appuntialessandrini.wordpress.com
Uso l’espressione nel significato proprio che le viene assegnato in campo letterario. Lo faccio dopo che interventi autorevoli da parte di Bassetti (presidente della CEI) e Parolin (segretario di Stato vaticano) hanno invitato i cattolici ad un diverso e più incisivo protagonismo in politica; e lo faccio perché, anche grazie a tali inteventi, si è sviluppato in materia, un acceso dibattito promosso da gruppi impegnati a promuovere un contributo condiviso nella costruzione della città dell’uomo.
Dico subito che, pur volendo esprimere un personale e sommesso parere, sono tuttavia convinto che il compito di oggi e la misura realistica conseguente, si limiti prioritariamente al campo della formazione e non alla prova delle Istituzioni che dovrà seguire; la deriva nella rissa sia da parte dei sedicenti leader, ma anche da parte della base presente nei social network, pone con urgenza la questione di una ripresa del pensiero politico e delle sue tradizioni.
Mi pare sia il Savonarola ad aver notato che quando un’esperienza arriva ad un traguardo di possibile caduta, diventa indispensabile rivedere le motivazioni di cultura e di ideale che l’avevano determinata, “…se cadi nella fine, ritorna alli principi”; ammiratore del grande ferrarese, cercherò di introdurre una breve schematica riflessione.

Il cattolicesimo italiano, in politica ha di fatto condotto o ripreso tre componenti di cultura prevalenti, poco conosciute dal complesso dell’associazionismo e spesso, o almeno alcune, del tutto sconosciute alle parti laiche presenti nella nazione. Ricordo il cattolicesimo liberale, il popolarismo sturziano come fonte del cammino democratico dei cattolici, ed infine il cristianesimo sociale della sinistra democristiana. Ritengo che tutte queste componenti abbiano bisogno di un recupero non solo in prospettiva storica, ma anche come base di una formazione attuale di cui non è facile trovare i soggetti.
Sul cattolicesimo liberale non sarà facile; in effetti il riferimento attiene alle elite cattoliche che nel corso del XIX secolo hanno fatto tesoro della lezione cavourriana nelle sue componenti più lucide. Si tratta della lezione che ha proposto la libertà della Chiesa cattolica non solo senza il potere temporale, ma grazie all’assenza stessa di tale ingombrante “fardello”. La conferma più lucida benché parecchio tardiva di questa lezione è venuta, (vedete un po’) da papa Giovanni, quando nel discorso di apertura del Vaticano II ha accennato agli interessi preposti dal potere civile nel sostenere la Chiesa. Sturzo nel dibattito interno al PPI (Partito Popolare Italiano) ha ripreso la questione cavourriana con la maturità dei principi aconfessionali della politica. Inutile insistere sulla necessità di salvare tale tradizione, soprattutto dopo le maldestre esperienze dell’età ruiniana (Camillo Ruini).
Seconda tradizione da riproporre e sviluppare è quella del popolarismo sturziano del primato della società civile sullo Stato. Non serve richiamare le formule che surrettiziamente contrappongono Stato e mercato; si tratta invece di prendere atto che le libertà proprie di una società in campo economico, culturale e religioso non sono fondate dallo Stato, ma governate dalle Istituzioni per evitare ogni possibile degenerazione; non si tratta di stoppare le tappe della concorrenza e di promozione del merito (riprenderò prima di concludere) ma di costituire le regole perché merito e concorrenza siano a servizio di tutta la nazione. Non vorrei indurre o provocare polemica alcuna: dirò solo che quando mi è stato chiesto se ritenevo compatibile culturalmente e moralmente una qualche disparità di carattere meritocratico (il termine sarebbe improprio) ho risposto affermativamente: alla precondizione che serva alla crescita di tutti e di ciascuno.
Terza tradizione quella del cristianesimo sociale della sinistra DC. Dirò che su questo punto si raccoglie il risultato negativo di un insuccesso e che si pone quanto mai l’esigenza del recupero di una tradizione virtuosa per quanto “fallimentare”. A ben vedere l’elaborazione più cospicua ed il contributo più easigente fu quello di Giuseppe Dossetti che operò significative convergenze anche con le sinistre “storiche” nell’accettare la formazione istituzionale della democrazia progressiva; di una democrazia che grazie alla crescita di tutti si rendesse possibile la presenza dei cittadini nella gestione delle Istituzione. Significava presenza dei partiti politici come mezzo e capacità, consapevolezza e maturità di tutti all’interno del potere, e dunque capacità come fine. Diventa chiaro che, ciò posto il merito viene promosso per tutti ed a servizio di tutti: non meritocrazia, ma promozione della persona.
Peraltro, e mi si permetta un’aggiunta parentetica, storicamente, solo la promozione del merito ha scardinato i blocchi burocratici del privilegio ed ha promosso uno sviluppo inedito; squlibrato, ma inedito. Ovviamente solo lo Stato potrebbe ovviare allo squilibrio.
Si pone un problema. Chi potrebbe riproporre un dibattito diffuso e che ricuperi queste tradizioni in una sintesi o contaminazione virtuosa : i partiti non ci sono, l’associazionismo cattolico latita, almeno sullo specifico, il movimentismo si è spesso incartocciato sulle formule più deteriori del potere fine a se stesso. A fronte di tale evidente disastro, quale intervento? Certo i gruppi di cui accennavo introducendo sono quasi sempre valorosi e preparati, ma almeno per ora, poco incisivi. Altra volta lo aveva tentato la Chiesa nelle sedi locali; se si dovesse ritentare sono da tener presenti due presupposti: limitarsi alla formazione, ma non accontentarsi della prospettiva storica. Non credo che una mano di supporto morale e di organizzazione formativa senza ritorni di potere e, giova ripetere, per esclusiva formazione, possa ritenersi un tentativo di temporalismo. Tuttavia serve trovare le strade perché le tradizioni puntino ad un’ attualizzazione feconda.




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