Cattolici per il lavoro, by, Agostino Pietrasanta

Domenicale ● Agostino Pietrasanta
A Cagliari, sullo scorcio del mese di ottobre, si celebra la 48° settimana sociale dei cattolici italiani, sul tema tanto interessante quanto, dati i tempi, provocatorio, “Il lavoro che vogliamo”; per contentino di provocazione, un sottotitolo anche più interessante, “…libero, creativo, partecipativo e solidale”. In preparazione parecchie Chiese locali ne hanno discusso; dispiace che non manchino quelle che non si sono neppure accorte dell’evento.
Il titolo però conferma il registro di intervento di questo glorioso “istituto” della Chiesa che è in Italia. Le settimane sociali, giunte alla loro quarantottesima tappa, sono nate nel 1907; hanno costituito un tentativo non privo di cospicui risultati, di rispondere alle difficoltà indotte dalla soppressione dell ‘“Opera dei Congressi”, con un dibattito sui problemi di rilevanza politica e sociale della presenza cattolica nella società italiana. Basti citare qualche argomento affrontato per capire. L’idea di Stato nel pensiero cattolico, la rilevanza dei diritti della persona, la famiglia e la scuola sono questioni ripetutamente dibattute fino all’avvento del regime totalitario. Benché dalla prima metà degli anni trenta si sia tentato di trattare questioni apparentemente neutre sul piano politico (esempio, la carità nel 1934) l’iniziativa fu sospesa fino al secondo dopo/guerra: Mussolini pretendeva che i cattolici si limitassero alle devozioni ed al rosario.

Nel secondo dopo/guerra si ricominciò con un autentico “botto”, “Costituzione e Costituente” (autunno 1945) e si rimise in marcia una gloriosa “macchina” di interventi fino a che Paolo VI, nel 1970, preoccupato della contestazione intraecclesiale e politica tra cattolici, ne sospese la continuità delle celebrazioni, in quel momento sotto la presidenza autorevole, quanto rigorosa ed accentratrice di Giuseppe Siri.
Va precisato che la continuità sia pure accidentata delle varie tappe era stata condotta dall’iniziativa ed in nome della S. Sede e la ragione o, se si vuole, l’ispirazione di fondo consisteva nel produrre un dibattito di idee che rendesse noto ai cattolici ed agli Italiani il pensiero della Chiesa/Istituzione sui vari argomenti trattati; in altre parole, un dibattito eterodiretto.
Alla fine degli anni ottanta, anche su sollecitazione del Papa Giovanni Paolo II, si pensò alla ripresa in un diverso contesto e con una mutata ecclesiologia, per la quale era il popolo cristiano a ricoprire una responsabilità nuova; non solo, ma in presenza di un impulso diverso ed autorevole della CEI (Conferenza Episcopale Italiana) l’iniziativa veniva affidata alle Chiese italiane ed alla loro rappresentanza. Si trattava non solo di una ripresa, ma di un capovolgimento di autentica “rivoluzione copernicana”: non la S. Sede, ma il popolo delle Chiese italiane attraverso i vescovi (CEI), non dibattito suggerito da un pensiero di vertice, ma, pur tenendolo presente, ricerca dal basso di possibili soluzioni ai problemi di una politica alta: costruzione della città dell’uomo. E la responsabilità fu affidata a Fernando Charrier, vescovo di Alessandria (la nostra, non quella d’Egitto!) e presidente del “Comitato scientifico programmatore della settimana”.
Charrier riuscì a riprendere il cammino; difficile dire se sia riuscito ad imprimere alle settimane il registro di innovazione voluto, ma a lui ben presente. Nonostante la rimozione, persino nel ricordo dei protagonisti, del ruolo svolto dall’allora vescovo di Alessandria, le celebrazioni continuarono dal 1991 fino ad oggi con otto tappe significative. Anche qui, mi basta la citazione di alcuni argomenti affrontati. “I cattolici e la nuova giovinezza dell’Europa” (una voluta provocazione); “Identità nazionale, democrazia e bene comune” (questo mentre si faceva strada nella storiografia la crisi della nazione); “La famiglia speranza futura per la società italiana” (mentre la crisi della famiglia è dato di fatto, il richiamo appare quanto mai opportuno). E via di seguito.
Ora, mentre si parla e non senza ragione del lavoro che manca si apre una discussione che avrebbe dovuto coinvolgere, nella preparazione tutte le Chiese locali, sulla dignità del lavoro. Probabilmente si riprenderà la questione di un’attività che va oltre la risposta alle possibilità di un vivere dignitoso, si affronteranno i temi della persona umana resa interprete del proprio destino nel creato, si riproporrà la natura creativa dell’uomo; saranno questioni di prima grandezza: resta inteso che parlare di lavoro libero quando bene spesso si lavora, quando si è fortunati, in condizioni di dipendenza e sfruttamento, parlare di lavoro solidale quando si dipana un eccesso di conflitto, si rischia di cadere nelle maglie della retorica, se non si scuoteranno le coscienze dei possibili protagonisti di una ripresa della politica e se non si sensibilizzeranno le nostre Chiese ad un impegno del Cristianesimo nella storia e nei suoi cammini.
Vanno bene le devozioni, purché si capisca che il Cristianesimo è nato non grazie ad una fuga, ma ad un’Incarnazione.



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