Ater, cronaca di una crisi annunciata. Tra case in cambio di voti e affari dei clan, il 51% degli affitti non viene pagato
L’azienda
regionale che gestisce le case popolari nella Capitale rischia il fallimento.
Che potrebbe sfociare in un'ondata di sfratti. Colpa del maxi debito accumulato
negli anni causa incassi mancati, canoni fermi a pochi euro al mese e tentativi
di vendita delle abitazioni falliti. Per non parlare degli interessi criminali
(nei quartieri di sud-est il cognome di oltre 40 assegnatari è Casamonica) e
degli inquilini facoltosi che sfuggono ai controlli
“Il problema di Ater? Pensa ancora di essere Iacp”.
Tradotto: una società di diritto privato – seppure a capitale totalmente
pubblico – che si comporta ancora come un istituto assistenziale del secolo
scorso. E’ probabile che questa spiegazione, ricorrente fra i sindacati degli
inquilini, possa riassumere in un colpo solo i mali endemici che hanno colpito
l’Ater di Roma, l’azienda regionale che gestisce le case popolari nella
Capitale, fino a spingerla in queste ore sull’orlo di un drammatico fallimento,
non ancora scongiurato dall’intervento straordinario di garanzia operato dal
suo socio unico, la Regione Lazio. Per i suoi 48.426 alloggi la società –
commissariata dal dicembre 2015 – incassa esattamente la metà degli affitti
dovuti (48,91% l’ultimo dato aggiornato), non riesce a vendere gli immobili che
mette all’asta (sebbene i prezzi siano anche 5 volte più bassi di quelli di
mercato) e conta una percentuale di inquilini “senza titolo” o “abusivi” pari a
circa il 60% del totale, fenomeno in cui negli anni si sono insinuate le
classiche clientele politiche e gli affari di clan criminali come i Casamonica
e gli Spada. Continua a leggere…..
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