Relatività, Angelo Marinoni

Siamo nell’epoca della velocità: unico obiettivo e mito è essere sempre più veloci attraverso treni, aeroplani, connessioni internet, processori, macchine per la produzione industriale e ogni altro esempio in cui compaia, fra i vantaggi, la parola velocità o l’aggettivo veloce.
Francamente non sono convinto che tutta questa fretta esistenziale sia utile, anzi, credo sia pure dannosa, ma il problema è che questo imperativo categorico di accelerazione, che della velocità è derivata, ha coinvolto anche la Politica in maniera disordinata e caotica.
I protagonisti del panorama politico, infatti, appaiono viaggiare a velocità diverse e si evolvono in modo tale da non integrarsi e relazionarsi adeguatamente, come se insistessero in mondi paralleli che non possono interagire, ma possono insultarsi.
Prima conseguenza è la percezione dell’elettorato di un sistema politico poco comprensibile e inaffidabile e di una diffusione di informazioni già interpretate, cosicché non giunge al cittadino giudicante l’informazione sulla quale farsi un’opinione, ma giungono diverse opinioni recepite come fatti: il cittadino, quindi, in media, si costruisce un’opinione sulle opinioni che gli vengono offerte senza avere una chiara percezione dei fatti.
Inutile osservare quanto aberrante sia questa fotografia della realtà.
Vi sono realtà italiane in cui questo fenomeno è particolarmente virulento, penso ad Alessandria dove il giudizio severo dell’elettorato alle elezioni amministrative è stato esercitato sulle opinioni assurte al ruolo di fatti (l’opinabilità del dissesto e la campagna mediatica, violenta, aleatoria e febbricitante contro Rita Rossa in tema di cave, discariche e gestione Terzo Valico per esempio).

“Le cose andate sono andate ed ho per unico rimpianto le occasioni che ho perdute” recitava un Guccini degli anni Settanta disilluso sul futuro che aveva in comune con il Cesare Pavese degli anni Quaranta una visione del quotidiano lucida e tragica, un meccanismo esistenziale che non lascia prospettiva di miglioramento.
In effetti sembra proprio che si stia vivendo una versione aggiornata agli Dieci del XXI secolo di quel meccanismo esistenziale dove al quotidiano preordinato efficiente e castrante di libertà cantato da Guccini e descritto da Pavese si sia sostituita l’opinabilità dei fatti e l’impossibilità di riportare la realtà al centro della discussione attraverso la costruzione delle opinioni in forma libera e non viziata dalle opinioni di qualcun altro con la voce più grossa o la possibilità di amplificarla.
La classe politica che si ispira ai valori riformisti e progressisti credo debba sedersi seriamente attorno a un tavolo, spogliarsi dei propri preconcetti, rivestire quei panni d’umiltà che sperava aver definitivamente chiuso in una soffitta e ripartire dalle occasioni perdute per descrivere i fatti e fornire all’elettorato la propria convinta opinione su di essi in modo che lui possa costruirsi la sua e verificare se coincide o meno: in modo da vincere o perdere perché davvero si interpreta o meno l’opinione maggioritaria nel Paese.
Ci sono stati vari tentativi di costruzione di quel tavolo, ma tutte le volte chi vi doveva sedere attorno o non lo ha fatto perché lo voleva diverso e ne ha fatto uno suo invitandovi solo chi voleva lui, o lo ha abbandonato rifiutando di spogliarsi dei propri preconcetti o non ha mai ritenuto opportuno riaprire la soffitta per riprendere quei panni d’umiltà così impolverati e considerati inadeguati al proprio ruolo.
In una omelia molto citata Papa Francesco ha detto che “l’umiltà è necessaria per la fecondità”: una frase importante perché immediatamente condivisa da quasi tutti, ma che quasi tutti, al momento di attuarla, troviamo difficile fare propria, specie in questa epoca in cui la fretta e l’ansia di velocità ci impedisce di fermarci un attimo a riflettere.
Quanto si legge della cronaca politica nazionale parrebbe rivelare, invece, l’intenzione di chiudere con ulteriore mandata le chiavi della soffitta lasciare dove è ogni umiltà e ogni tentativo di comprensione dell’altro, da un lato chi ritiene altro da se e conflittuale chiunque non la pensi esattamente come lui ascrivendo ad altri colpe che sono solo sue, e dall’altro chi ritiene di non mediare nemmeno un momento del proprio bagaglio di idee trovandosi nella posizione relativamente comoda di chi non dovendo prendere decisioni può ignorare la necessità di adeguare alla realtà i propri desiderata.
Il tutto mentre l’altra sponda del Parlamento assiste serena al suicidio del nemico.








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