L’inarrestabile ondata in Europa, i populisti sono il terzo partito

Uno studio fotografa l’ascesa delle forze anti sistema: superati anche i liberali. E prevede un aumento: il loro numero crescerà dopo il voto in Italia e Austria
AFP
Marine Le Pen ha ottenuto dieci milioni di voti alle ultime presidenziali
Pubblicato il 20/07/2017
MARCO BRESOLIN INVIATO A BRUXELLES
Più di 1300 seggi parlamentari, un piede (a volte anche due) in nove governi in carica e un quinto degli elettori sotto le proprie bandiere. L’onda populista - o anti sistema, ma la definizione del fenomeno con un solo termine rischia di essere riduttiva - ha raggiunto il suo apice in Europa. Per il momento. Perché nessuno studio è in grado di prevedere se la parabola è destinata a diventare discendente o ascendente.   
Chi considera la questione chiusa con le elezioni in Francia e Olanda è meglio che cambi idea. Vero, i partiti «anti» sono stati spazzati via dalle vittorie dei liberali Emmanuel Macron e Mark Rutte. Ma non andrebbe sottovalutato il fatto che forze come il Front National e il Partito della Libertà di Geert Wilders hanno subìto un’impennata nei consensi rispetto alle precedenti elezioni. «Non ci sono segnali che il sostegno per questi partiti possa diminuire a breve termine» si legge nel report del centro studi Epicenter, che per il secondo anno ha realizzato uno studio che misura l’indice del «populismo autoritario» in Europa. Anzi, si legge nel report, «è probabile che il numero di partiti populisti al governo aumenti nel prossimo futuro, visto che Paesi come Austria e Italia andranno presto al voto». 


L’analisi parte da lontano, dal 1980 ai giorni nostri. E negli anni questa «famiglia politica» ha scalato posizioni fino a diventare la terza forza a livello continentale, alle spalle dei conservatori-cristianodemocratici e dei socialdemocratici, superando i liberali. L’Indice di Epicenter ha misurato i voti reali ottenuti nelle recenti elezioni da questi movimenti in 33 Paesi (i 28 dell’Ue più Islanda, Montenegro, Serbia, Norvegia e Svizzera) e il conteggio ha toccato quota 55,8 milioni. L’esplosione del fenomeno è recentissima, basti pensare che tra il 1980 e il 2000 il loro sostegno era cresciuto solo dell’1%. Negli ultimi dieci anni, invece, è praticamente raddoppiato. Il vero salto è iniziato dopo il 2009: «La crisi economica e quella dei rifugiati - sottolinea il report - hanno aiutato questi movimenti a guadagnare il “momentum”».  

Ma c’è anche un altro fattore che non andrebbe sottovalutato e a cui l’istituto parigino Jeacques Delors ha dedicato un recente studio: il rapporto con i social network, la cui evoluzione ha seguito la stessa linea temporale. Oggi «il 50% degli adulti ha un profilo Facebook e il 50% degli under 35 lo usa per informarsi». Si sta trasformando, dicono gli esperti, in una «piattaforma per un dibattito politico anarchico». Anonimato, mancanza di oggettività, scarsità di regole e poca attenzione da parte dei «lettori» sono gli ingredienti che trasformano l’agorà digitale in terreno fertile per il consenso verso questi movimenti. Il pericolo, secondo lo studio, è che «le forme di dibattito democratico istituzionale, il processo decisionale e di supervisione democratica ne escano indeboliti».  

Quando si parla di «populismo-autoritario» (questa la definizione oggetto dello studio di Epicenter) bisogna però considerare che si ha a che fare con un universo molto vasto. Si tratta di movimenti estremamente diversi tra di loro. Gli studiosi dell’Epicenter hanno provato a definire così ciò che li lega: «Sfidano il cosiddetto consenso europeo che ha dominato le politiche del continente dalla fine della Seconda Guerra Mondiale». I nemici dello «status quo», per usare un’altra espressione, dovrebbero riconoscersi almeno in uno dei seguenti punti: lotta anti-casta, promozione della democrazia diretta, insofferenza verso lo Stato di diritto, uso di «un linguaggio rivoluzionario che promette cambiamenti drammatici», richiesta di uno Stato e di un esercito più forti, spinta per la nazionalizzazione delle banche e delle grandi imprese, scetticismo verso l’Ue, l’immigrazione, la Nato, la globalizzazione e il commercio libero. 

A sua volta, il «calderone» potrebbe essere spaccato in due grandi sottocategorie: il populismo di estrema destra e quello di estrema sinistra. Che hanno registrato notevoli differenze nell’evoluzione del loro consenso. La sinistra radicale nel 1980 era al 10%, poi il declino che l’ha portata al minimo storico del 3,7% nel 2010. Negli ultimi sette anni, però, il trend è in salita: ora vale il 6.3%. Grecia, Cipro e Spagna sono gli Stati in cui è più forte, tre Paesi fortemente colpiti dalla crisi economica. Totalmente diverso il trend dell’estrema destra, che nel 1982 valeva l’1% a livello europeo e oggi è oltre il 12%. Con punte del 64-65% in alcuni Paesi post-sovietici come Polonia e Ungheria, dove le svolte autoritarie dei rispettivi governi stanno diventando un problema europeo. 









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