La partnership nelle secche di Saint-Nazaire

TEODORO CHIARELLI
C’è un qualcosa di incomprensibile, o di inconfessabile, nell’ostinata determinazione del presidente francese, Emmanuel Macron, di affondare prima ancora di salpare le ancore l’«Airbus del mare», il nuovo campione europeo della cantieristica navale. L’italiana Fincantieri ha rilevato il 66,66% di Stx France, che controlla i cantieri di Saint-Nazaire, nell’ambito di una procedura concorsuale in corso a Seul. L’allora governo francese in carica sotto la presidenza di François Hollande ha chiesto a Fincantieri di interessarsi della Stx che i coreani non erano più in grado di gestire e Fincantieri lo ha fatto proponendo un progetto industriale ben definito, che prevede una chiara governance a guida italiana, ma con ampie garanzie a tutela dell’occupazione.  
Un piano che parte dalla costruzione di navi da crociera e si allarga al settore militare, dove Italia e Francia già collaborano da tempo, come nel caso del programma Fremm. 

Fincantieri aveva accettato di diluire per alcuni anni la propria quota scendendo al 48%, con un 6% in mano alla Fondazione Cassa di Risparmio di Trieste. Hollande ha dato il via libera, ma non è bastato. Il neopresidente Macron, con una giravolta degna di una étoile dell’Opera, ha rimesso tutto in discussione, sconfessando platealmente il suo predecessore e gli impegni sottoscritti dal governo francese. Italiani benvenuti, ma al 50%, con una governance «fifty-fifty» che qualsiasi manuale di management boccerebbe senza appello. 


Ma quello che appare francamente inaccettabile è che i francesi considerano accettabile che una società coreana detenga il 66,66% di una società francese, mentre rifiutano che una società italiana ne controlli il 51 %. E si spingono al punto da minacciare la nazionalizzazione dell’impresa al solo fine di impedire l’arrivo di les italiens. Macron ritiene che questo sia negli interessi della Francia (per motivi elettorali e politici, per sciovinismo o malinteso senso di grandeur, non importa) e va avanti per la sua strada. Incurante dell’evidente stridore rispetto al proclamato impegno francese in favore di una maggiore integrazione europea. 

Ma già si è visto, a proposito della chiusura dei porti francesi ai migranti o nella ricerca di accordi commerciali diretti con gli Usa di Donald Trump, la differenza che a Parigi passa fra idea e azione. 

Del resto anche dalle parti di Bruxelles non si occupano della questione, neanche a livello di moral suasion, nonostante che appaia fuori di dubbio devastante per gli equilibri e gli assetti di un’Unione sempre più traballante. Ma di fronte alla Francia forse è meglio attenersi al rigido rispetto formale della normativa che in questa fase non prevede alcun tipo di intervento della Commissione. 

A questo punto, però, non è forse più il caso di appellarsi all’europeismo e ai valori liberali. È evidente che lasciano il tempo che trovano. Così come è evidente che l’atteggiamento conciliante e collaborativo del nostro Paese non sta dando i frutti auspicati. Non è producente essere timidi quando il tuo interlocutore usa la clava. E di fronte alla discesa in campo del numero uno per definizione dello Stato francese, il presidente Macron, non bastano i pur puntuti commenti dei solerti ministri Pier Carlo Padoan e Carlo Calenda. Serve l’intervento diretto, deciso e risoluto del presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni. L’interesse nazionale vale solo per la Francia o si può invocare anche per un’impresa italiana che opera nei mercati internazionali e si confronta ad armi pari con la concorrenza mondiale? 








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