Due nulla in concorrenza sono meglio di uno, Giuseppe Rinaldi

Giuseppe Rinaldi. da: http://www.cittafutura.al.it/
1. Avrei diversi rilievi da fare a proposito dell’interessante dibattito tra Boatti e Lodato circa la questione della politica culturale locale, degli “intellettuali alessandrini” e del Teatro. Mi riservo semmai di intervenire tra un po’ con uno scritto ponderato. Per ora propongo una breve nota sulla politica culturale costituita da una citazione e da una serie di osservazioni spicciole da parte mia. Mi sembra che la nota sia nel complesso davvero divertente, nel senso però che si tratta, ahimè, di ridere per non piangere.
2. Preso atto che la politica culturale della precedente amministrazione sarebbe stata criticata - come dice Boatti - da non ben precisati “intellettuali alessandrini” (Avrebbe detto Don Abbondio: “Ma chi sono costoro?”), allora mi è sembrato per lo meno il caso di andare a vedere se nel principale programma concorrente, quello della candidata Trifoglio, fossero contenuti degli spunti alternativi di politica culturale, capaci di colmare i limiti lamentati. Se Rossa ha sbagliato, e può anche darsi, allora chi l’ha contestata e si è presentato in concorrenza, dovrebbe esibire nel suo programma almeno una qualificata soluzione alternativa.

3. La citazione che propongo all’attenzione dei lettori è per l’appunto presa dal programma elettorale della candidata Trifoglio che, mi permetto di ricordarlo, nelle recenti elezioni amministrative si è presentata con il sostegno di ben tre liste e ha guadagnato una quota ragguardevole di consensi (4653 voti), in uno spazio politico che, approssimativamente, può essere definito di centro sinistra. Quasi cinquemila elettori, virtualmente di centro sinistra, evidentemente insoddisfatti dalla politica del centro sinistra, che hanno dato il loro consenso a un programma alternativo. Ricordo anche che la candidata Trifoglio, in seconda istanza, si è poi ufficialmente apparentata con la stessa candidata Rossa, avendo trovato alla fine alcune convergenze sui programmi. Ho già scritto altrove – su Città Futura – intorno agli effetti elettorali di questo apparentamento.
4. La citazione - cui, la prima volta che l’ho letta, ho apposto un vistoso punto esclamativo - è la seguente. È un po’ lunga ma vale la pena di ponderarla attentamente: «CULTURA e quindi la valorizzazione del Territorio alessandrino nelle sue diverse peculiarità. L’espansione totalizzante di ciò che chiamiamo rete; di più: la progressiva, inesorabile evoluzione degli strumenti elettronici in intelligenza artificiale è la connotazione preponderante del “liquido” presente-futuro in cui stiamo vivendo. Talvolta stacchiamo gli occhi dallo smartphone per altre attrazioni. Il cibo: abbiamo quasi un’ossessione per le ricette “di una volta” e per il “buon vino”. Il corpo: molti gli dedicano più cura di quanta gli dedicava un atleta di Olimpia. E i temi davvero importanti. La natura: quella che si chiama “paesaggio” la cui bellezza vorremmo ripristinare pienamente e, all’opposto, quella che si chiama “ambiente”, un involucro del tutto innaturale da cui ci siamo fatti avvolgere e in cui sta per mancare l’aria. La società: che abbiamo intasato con il benessere più ridondante e che oggi deve imparare a contenere tutte le razze, tutte le tradizioni, tutte le religiosità; sapendo che il bisogno di sicurezza fisica può spazzare via qualsiasi buona intenzione. Questi temi, e altri, oggi vanno sotto il titolo collettivo di CULTURA. La definizione diculturale, non la si nega più a niente; si può applicare a qualsiasi materia, a qualsiasi oggetto, a qualsiasi evento; proporre dei distinguo sarebbe inutile. Persino la travagliata antinomia fra Scienza e Cultura non interessa più, superata com’è proprio dalla percezione onnicomprensiva della “tecnologia”. La politica culturale di una pubblica amministrazione (p. es. quella che vogliamo per Alessandria) non può che muoversi fra questi temi, metterne in rapporto le competenze. Su di essi deve trovare un dialogo con l’economia privata, non soltanto per reperire finanziamenti ma, in primo luogo, per condividere obiettivi interessanti per la comunità di riferimento. Questi temi devono essere la cornice del programma di governo, nel senso che è la cornice a tenere appeso il quadro. L’assessorato-cultura deve essere la coscienza critica della vision di una Giunta, il collegamento fra le sue linee-guida».
5. A parte la lingua italiana, a parte la liquida citazione del liquido Bauman, a parte la complicità con le debolezze umane (“talvolta stacchiamo gli occhi dallo smartphone”), l’estensore del documento ci informa che varie cose decisamente eterogenee come rete, cibo, corpo, natura, società, sicurezza, vanno ormai tutte sotto il titolo collettivo di cultura. E poi ci spiega, in un passaggio davvero forte e innovativo: «La definizione di culturale, non la si nega più a niente; si può applicare a qualsiasi materia, a qualsiasi oggetto, a qualsiasi evento; proporre dei distinguo sarebbe inutile». Si poteva pensare che la banalizzazione della nozione di cultura fosse la denuncia di una situazione di degrado. Invece no. Proprio questo principio banalizzato all inclusive di cultura viene posto come carattere di fondo della nuova politica culturale. Opporsi sarebbe inutile.
Se poi, colti da qualche mania filologica, riflettiamo bene sul passaggio citato, le perplessità s’ingigantiscono. Non si capisce se la «qualsiasi materia» a cui ci si riferisce è quella di cui parla la fisica o sono le materie scolastiche; del resto poi anche le espressioni «qualsiasi oggetto» e «qualsiasi evento» sono decisamente ambigue. È imbarazzante dover ricordare che ci sono cose che esistono indipendentemente dalla cultura e invece ci sono delle cose che esistono perché sono dei costrutti culturali. È imbarazzante anche dover ricordare che c’è una differenza tra C1 (cultura in senso antropologico – dove anche le latrine e i tagliatori di teste sono cultura) e C2 (cultura nel senso di civilizzazione – dove invece contano i valori e allora si devono fare delle scelte, si può e si deve mettere qualche gerarchia tra le salamelle, i centri estetici, i tagliatori di teste e cose come la ricerca scientifica, Kant o la Nouvelle Vague).

6. Così mi pare proprio che d’un botto siano stati accontentati quegli “intellettuali alessandrini” – citati da Boatti e che io non conosco - che si lamentavano del fatto che «Il Comune non ha una politica culturale». Qui siamo in presenza di una proposta di politica culturale veramente alternativa. Non avevate capito che oggi tutto è cultura? Quelli che avrebbero dovuto andare oltre a una inesistente politica culturale e proporre finalmente una autentica politica culturale hanno scovato la magica soluzione: una politica culturale proprio non ha da esserci! Siccome tutto è cultura, allora tutto va bene, anything goes come diceva Feyerabend. Dalla rete al buon vino, alla cura del corpo, alla sicurezza. Non c’è più differenza tra le salamelle, la sicurezza fisica e l’opera lirica. Noi che continuavamo a credere il contrario non avevamo capito niente. Gli è chenon eravamo ancora abbastanza liquidi.
7. Proseguendo nella lettura del testo, ahimè non abbiamo proprio capito in cosa consista la «travagliata antinomia fra Scienza e Cultura» che sarebbe ormai scaduta e che «non interessa più». Un’antinomia tra Scienza e Cultura (con le maiuscole) suggerisce che la Scienza sia qualcosa di estraneo alla Cultura. Forse qui si voleva alludere alla cultura umanistica ma non è del tutto chiaro. Si alludeva forse alla questione delledue culture come posta da C.P. Snow? Ma lì le culture erano due ed erano culture nel senso C2. Forse si voleva sostenere che la nuova cultura liquida all inclusive, che sembra piacere alquanto agli estensori, rende ormai superata la questione posta da Snow. Ma, in effetti, non è stato detto. Insomma, siamo ancora in presenza di preoccupanti e diffuse incertezze sulla stessa nozione di cultura, in un programma che dovrebbe trattare di politica culturale.
8. Non essendo chiaro in cosa consista l’antinomia tra Scienza e Cultura, è ancor meno chiaro come questa (l’antinomia, che «non interessa più») venga superata dalla «percezione onnicomprensiva della tecnologia». La tecnologia è una questione di percezione? Forse anche i termini dell’antinomia erano, allora, una percezione? Forse il «“liquido” presente-futuro in cui stiamo vivendo» è approdato nel mondo diMatrix? Il sospetto che ci ha colto è che possa trattarsi di un’altra espressione sbrigativa à la Bauman. Possiamo intendere, in camera caritatis, che la Scienza e la Cultura (umanistica) siano state snaturate e uniformate dalla tecnica. Il filosofo polacco, com’è noto, è stato sostenitore di una discutibile teoria secondo la quale non saremmo noi a fabbricare la tecnica ma sarebbe la tecnica, intesa come potenza demoniaca, a fabbricare noi stessi e la società, asservendoci a nostra insaputa. Ma anche così non funziona del tutto, perché per Bauman la scienza e la tecnica sono esattamente la stessa cosa, cioè espressione della modernità e della ragione illuministica.
Poiché – diamolo per buono a questo punto - siamo nell’epoca della “percezione onnicomprensiva della tecnologia” e poiché di conseguenza tutto è percepito dal pubblico sotto il profilo della tecnologia – comprese le salamelle e la danza classica – si ricava allora finalmente quali significative implicazioni se ne debbano trarre per una politica culturale a livello locale, e cioè: «muoversi fra questi temi», «mettere in rapporto le competenze», «trovare un dialogo con l’economia privata» e poi «condividere obiettivi interessanti per la comunità». Tutto qui? Diceva una nota macchietta di Nanni Moretti: «Mi muovo, faccio delle cose, … vedo gente».
9. Ma come può concretizzarsi questa visione rivoluzionaria? Nel programma ci sono diverse proposte pratiche, alcune delle quali assolutamente convenzionali e del tutto condivisibili. Ma la proposta che più si confà a questa nuova vision è quella a proposito della destinazione della sala grande del Teatro. Citiamo alla lettera: «Una proposta concreta: con un intervento economico sostenibile si può trasformare il deserto attuale di sala grande e palcoscenico in uno spazio artistico unico, una sorta di atelier aperto al pubblico, “nudo” come una moto senza carenatura, una “pedana” per la recitazione, la danza, la musica, il circo, le mostre, le performances più diverse: l’essenza delle discipline dello spettacolo dal vivo. Una nudità che viene dai classici ed è perfetta come strumento della contemporaneità. Un luogo per scoprire linguaggi». Come si vede, mancano solo le salamelle. Già che ci siamo, perché non un quartiere fieristico? Qui prende il sopravvento una vera e propria estetica del vuoto, una celebrazione del non luogo eretto a istituzione, senza farci mancare anche un romantico fascino delle rovine. Sottolineiamo che questa orrenda cosa prospettata sarebbe, secondo gli estensori, «perfetta come strumento della contemporaneità». Se è così, noi siamo decisamente pronti a regredire.
10. Ricapitoliamo quel che abbiamo capito. Stiamo vivendo in un «“liquido” presente - futuro». Nel mondo liquido/ tecnico ineluttabilmente tutto è cultura, dalle salamelle a Kant, dai centri estetici alla gravità quantistica. Proporre dei distinguo sarebbe inutile. Sono trasformazioni ineluttabili – epocali come si dice volentieri - di cui non possiamo che prendere atto. Meglio allora diventare flessibili, muoversi, scivolare un po’ di qua e un po’ di là, aggirare gli ostacoli come fanno i fluidi. In sostanza farsi liquidi nel mondo liquido.  Come diceva il già ricordato Feyerabend, “Anything goes!”.
Questa prospettiva di una cultura finalmente  all inclusive - dall’aria così popolare,  innocente, accattivante, permissiva e libertaria – sembra costituire però, nonostante la sua esibita vattimiana “debolezza”, un vero e proprio programma forte di politica culturale. Tanto forte che dovrebbe, sempre secondo gli estensori, non solo governare la politica culturale locale ma fungere anche da quadro politico unificante. Dovrebbe essere cioè «la cornice del programma di governo», nel senso beninteso – ed è sempre bene specificarlo - che «è la cornice a tenere appeso il quadro» (sic!).
11. Ma c’è di più. Affermano gli estensori  sempre nello spirito della cornice che una siffatta politica culturale dovrebbe costituire «la coscienza critica della vision di una Giunta, il collegamento fra le sue linee-guida». Ci risulta davvero difficile capire come, in un quadro postmoderno dove anything goes, ci possa ancora essere una qualche coscienza critica o comunque ci possano essere delle linee-guida. Feyerabend era più serio: dopo avere sostenuto che nella ricerca “tutto va bene” aveva anche ammesso, di conseguenza, che i risultati non possono che essere dovuti al caso.
12. Insomma, mentre gli “intellettuali alessandrini” citati da Boatti accusano la Giunta precedente di non avere avuto una politica culturale, qui, in alternativa, si enuncia per esteso un’elaborata teoria filosoficaper cui proprio non si può più avere una politica culturale e – posto che questa debba fare da quadro alla politica - neanche una politica tout court. Evidentemente, nell’epoca liquida della tecnica e del suo tramonto, a un nulla di fatto sarebbe da preferire un nulla alternativo ben teoricamente fondato. E poi - vuoi mettere la soddisfazione? - due nulla in concorrenza sono meglio di uno!
Giuseppe Rinaldi
18/07/2017 

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