"Siete co-autori del brand UPO". Le parole del Rettore al Graduation Day 2017

"Per educare e far diventare grande un figlio non basta una famiglia e una scuola; ci vuole un villaggio."
Care laureate, cari laureati!
La tradizione che ci siamo inventati quattro anni fa si è pienamente consolidata. Nel panorama italiano è una festa unica nel suo genere; possiede tratti distintivi ritagliati su misura, pensati per l’intero territorio del Piemonte Orientale, che in questa giornata si incontra collettivamente con i suoi rappresentanti istituzionali.
Inizialmente dovevamo radunarci al Castello, perché al Broletto non ci stavamo più tutti; poi i recenti fatti di Torino hanno comportato una intensificazione delle misure di sicurezza e nel primo pomeriggio di ieri abbiamo dovuto cambiare in extremis il punto di arrivo della festa e ospitarla qui in Piazza Martiri. Ringrazio la Prefettura, la Questura, le Forze dell’Ordine per averci supportato in questo delicato momento. Ma la mia più grata riconoscenza va agli Uffici comunali e soprattutto al sindaco Alessandro Canelli, che con tenacia ed efficienza in poche ore è riuscito a risolvere i problemi tecnici che questo trasferimento comportava. Vi chiedo di tributargli un grande applauso.

Per l’UPO l’anno della vostra laurea è stato l’anno dei successi: nelle classifiche, nella Valutazione della Qualità della Ricerca e nelle eccellenze. Anche in relazione alla sua giovane età l’UPO è diventata, per usare un termine economico, un brand di interesse e di prestigio nel sistema universitario italiano. Questi risultati non sono improvvisi; dopo un’adeguata preparazione li abbiamo costruiti nel periodo in cui voi avete studiato nella nostra Università. Mi piace pensare che, avendo fatto squadra con noi, siete anche voi co-autori di questo patrimonio. Fregiatevi di esso e ritenetevi ambasciatori del nostro Ateneo; credo che ne abbiate bisogno più di altri, ora che vi accingete a entrare nel mondo del lavoro.
I dati e i riscontri economici e sociali ci dicono che, seppure con lentezza, anche il nostro Paese dà segni di ripresa. La produzione, la domanda, i consumi, l’occupazione sembrerebbero uscire dalla stagnazione in cui versavano. Le loro regole di funzionamento sono tuttavia cambiate. Bisogna recuperare il tempo perduto e ciò che è stato dissipato; occorre recidere i rami secchi, allineare i ritmi con quelli che ci stanno a fianco e davanti; si deve soprattutto acquisire la consapevolezza che per assicurare il progresso bisogna saper fare e produrre ciò che gli altri non fanno ancora o non sanno ancora fare.
In questo scenario è urgente confrontarsi con le diversità (etniche, religiose, culturali) e con le disuguaglianze (generazionali, economiche, lavorative, fiscali, sanitarie). Se la disoccupazione si sta riducendo, persiste e si riproduce il lavoro precario, il tasso di insoddisfazione per posizioni non adeguate e per la remunerazione troppo scarsa in relazione al titolo di studio. L’anno scorso, proprio in questa occasione, ho detto ai vostri colleghi che mai come ora il patrimonio accumulato va riconquistato. Lo ribadisco a tutti voi ora che il sistema sembra ripartire.
Mettete a frutto ciò che avete imparato nelle aule e nei laboratori di questo Ateneo. Non rassegnatevi, accettate l’idea che la collettività e le istituzioni dello Stato non riusciranno più da sole a garantire un sistema adeguato di welfare. Abbiate la consapevolezza che da qui uscite con le competenze e i valori per far girare il mondo in modo diverso. Per questo abbiamo preteso tanto in termini di studio, di attenzione, di rispetto delle regole. Vi abbiamo anche ribadito e chiesto di combinare questo impegno con quelli analoghi compiuti dalle vostre famiglie, per assicurarvi la serenità e il tempo indispensabile per la piena permanenza nel vostro ruolo di studenti appena concluso.
Potrete così dire che nell’insieme avete ricevuto tanto. Come dice un proverbio africano, per educare e far diventare grande un figlio non basta una famiglia e una scuola; ci vuole un villaggio. Tra le vostre prerogative avete a disposizione la consapevolezza di un’appartenenza comune e il suo valore per eccellenza: la solidarietà, che in questi anni avete dimostrato nei confronti, nelle discussioni e anche nelle rivendicazioni. Non è quella volontaristica, assistenzialista, emotiva, abbondantemente colpevolizzata su cui si sono talora appoggiate le nostre generazioni, ma è  una solidarietà nuova, fatta di scambi intergenerazionali, di esperienze di tutela all’interno di reti allargate, che dovete essere voi a scoprire e ad attivare. 
Il villaggio vi chiede ora di aiutarlo a fare il salto di qualità: di scardinare i meccanismi spietati che tramandano il lavoro di generazione in generazione e bloccano la mobilità sociale; di abbattere le barriere psicologiche che convincono ad adagiarsi nello status sociale in cui fino a ora si è vissuto; di superare quella tendenza alla passività che vi è stata instillata dalle generazioni precedenti. Abbiate iniziativa, mettetevi in gioco, fatevi costruttori di futuro. Se non saltate nella corrente, non imparerete mai a nuotare; se vi buttate, troverete la libertà.
Abbiate fiducia: se aiuterete il vostro villaggio, riceverete; c’è una catena di reciprocità che collega il dare, il ricevere e il ricambiare. Quando diamo, offriamo ciò che abbiamo ricevuto dalle nostre famiglie, dai professori, dagli amici, dalla vita e riceviamo in cambio dagli altri lo stesso bagaglio. Così esploriamo e siamo nutriti, capiamo e siamo capiti, apprezziamo le nostre radici e ci rinnoviamo.
A me e ai miei colleghi Professori, che oggi vestiamo la toga ma non il tocco, perché lo abbiamo passato a voi, cercando di trasferirvi, oltre a utili conoscenze, valori ed educazione al futuro; a tutto il personale tecnico amministrativo che vi ha accolti, seguiti, e forse coccolati in questi anni, piace sperare che tutti insieme costruirete una vita lunga, professionalmente appagante e felice.
Congratulazioni, Dottoresse e Dottori! Tenete alto, con noi e con impegno, l’onore dell’UPO!










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