Si riparte!, Carlo Baviera

Carlo Baviera. Alessandria
Qualche settimana fa leggevo un post dell’amico ex parlamentare Giorgio Merlo in cui comunicava che “Sto per finire un libro, rapido e snello, dove pongo sostanzialmente una domanda. E cioe’, sino a quando i cattolici democratici si sentiranno politicamente orfani? Cioè senza una “casa politica”? Sono curioso di vedere che reazioni innescherà quella domanda. Ovviamente in quel “mondo” culturale, sociale e politico”. Conoscendo Giorgio immagino che il suo desiderio non sia tanto di ripristinare un contenitore unico per i cattolici democratici in politica (il termine, si è già ripetuto tante volte, lo usiamo per definire una cultura e una presenza che si è storicamente realizzata in passato, e non perché il cattolicesimo, la fede, la Chiesa debbano vedersi applicati aggettivi riferiti alla politica), quanto sollecitare coloro che ne hanno le capacità e la forza a riprendere una iniziativa significativa sia culturalmente che anche dal punto di vista mediatico, che possa essere utile al bene comune e a sottrarre ai guardiani del pensiero unico le proposte e le azioni dei riformisti in modo da costruire una nuova stagione di socialità nella libertà.

Infatti sul giornale on line “il Domani d’Italia” sempre Giorgio Merlo a proposito della presenza politica dei cattolici, precisa: “Ora, per essere chiari, nessuno vuole riproporre esperienze, gloriose o meno che siano, del passato. E quindi ne’ una sorta di Dc bonsai e ne’ una riedizione aggiornata e corretta del Ppi. Ma un fatto è indubbio. Dopo il fallimento del bipolarismo all’italiana e il potenziale ritorno, piaccia o non piaccia, del sistema proporzionale, è un fatto oggettivo che le vecchie o le nuove identità riprendano il sopravvento rispetto agli agglomerati elettorali indistinti e un po’ anomali”. C’è da capire quale sarà il sistema elettorale su cui convergerà la maggioranza delle forze politiche, ma l’affermazione mantiene il proprio rilievo comunque.
La riflessione continua con una ulteriore importante precisazione: “è proprio in questo contesto che ritorna il tema della presenza politica dei cattolici. Ovviamente, una presenza politica laica, aconfessionale, cristianamente ispirata e caratterizzata, comunque sia, da un “programma”. Come recitava, oltre un secolo fa, lo stesso Luigi Sturzo, fondatore del Partito Popolare Italiano. E i cattolici democratici, e tutti coloro che bene o male si riconoscono in quel patrimonio culturale e storico, manifestano tutta la loro inadeguatezza a riconoscersi in partiti ormai privi di cultura politica che si sono ridotti progressivamente ad identificarsi con il capo indiscusso di turno”.
Concludendo con l’indicazione di 3 strade per un rinnovato impegno politico e pubblico: quello dell’adeguamento al nuovo corso dei partiti personali rinunciando a qualsiasi ruolo politico e qualunque valenza culturale; oppure riservarsi un ruolo pre politico; o “scendere in campo” riaffermando laicamente nello scacchiere politico le proprie ragioni, la propria cultura e il proprio progetto. “Ecco, al di là di ogni ipotesi, tutte legittime perché’ tutte opinabili, resta il fatto che la presenza politica dei cattolici in questi ultimi anni si è, di fatto, colpevolmente eclissata”.
Gli risponde, con una battuta rapida, Savino Pezzotta “Non è che i cattolici democratici sono diventati insignificanti ma che forse non hanno più ragione di esistere in quanto tali dopo la fine del Movimento Cattolico e del cattolicesimo politico. In questi anni abbiamo fatto tante esperienze, ci siamo, erroneamente anche se in buona fede, accasati un poco ovunque, ma ora è arrivato il tempo di scegliere nuovi modi e forme per testimoniare l’ispirazione cristiana in politica. I paradigmi su cui abbiamo impostato il nostro impegno sociale e politico sono diventati obsoleti e inservibili, ma non abbiamo fatto lo sforzo culturale per inventarne dei nuovi”.
Mi permetto di commentare che questa discussione mi ha sorpreso favorevolmente; perché finalmente comincia a prendere forma, anche con le affermazioni di Pezzotta, la possibilità di dedicarsi a pensieri, percorsi, e anche strumenti nuovi. I quali, senza rinnegare il passato – anzi avendo quei valori quegli ideali e quelle radici come riferimento – richiedono nuove elaborazioni, e modalità di riannodare iniziative e presenze a partire dall’esigenza di creare spazi di partecipazione, di rianimare territori periferici svuotati di servizi, lavoro, cultura popolare, di rilanciare il bene comune ripartendo dalle comunità (creando quindi anche spirito di comunità), offrire risposte di solidarietà e condivisione per le povertà, per una nuova visione di lavoro, per difendere l’ambiente, dare una visione di speranza anche e soprattutto per l’Europa (che va ricostruita nello spirito e nelle istituzioni) e per una cultura di pace, nonviolenza, cooperazione internazionale in un mondo sempre più in balia delle bombe, del terrorismo, delle guerre, delle malattie.
Si vada avanti. Si allarghi la riflessione e il confronto a persone, riviste ed ambienti (oggi collocati in partiti, movimenti e situazioni diverse) disposti a stare nel campo del cambiamento, di un <labourismo cristiano>, di un umanesimo solidale, di un popolarismo comunitario, di una laicità che non esclude le sensibilità dello spirito e dell’etica, contrari al moderatismo, distanti da un centrismo sempre in bilico e tentato dal centrodestra. Si dia vita ad un coordinamento e a qualche incontro distribuito sul territorio.
Constato che anche l’ultimo Segretario del PPI, Castagnetti, esponente importante del cattolicesimo politico, afferma (in questo caso parla del PD post primarie) che si deve: “andare dove la gente partecipa. Dove si associa. Dove si discute di principi, di valori, di forme di solidarietà. Dove i cittadini riescono a uscire dalla loro dimensione individuale. Andare lì a imparare le nuove forme di partecipazione civica” e mettere “ogni energia e ogni risorsa sul lavoro. Il lavoro deve essere il pilastro dell’azione, anzi delle azioni. La sfida è finalizzare tutte le politiche a questo obiettivo: le politiche fiscali, le politiche formative.[..] Lavoro prima di tutto. Perchè tutto è legato al lavoro: il tema dei migranti, il tema della crisi demografica”.
Si riparte, allora? No, troppo semplice; ci vuole ancora molta pazienza, serve che gli ambienti e le personalità interessate e qualificate riprendano a parlarsi, occorre rimettere – con le modalità e la delicatezza necessarie – alcuni obiettivi e proposte al centro del dibattito senza inseguire le agende imposte da altri. A quel punto sarà matura una iniziativa utile a tutta la nazione.











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