Reddito di cittadinanza e dignità della persona

Domenicale ● Agostino Pietrasanta
Premetto, ad evitar polemiche sterili e strumentali, che se avessi una qualsiasi possibilità di decisione non mi metterei certo di traverso per frenare sul reddito di cittadinanza; coi tempi di miseria generalizzata che si stanno vivendo sarebbe da irresponsabili. Aggiungo anche che, se avessi una qualche influenza nell’indirizzare l’opinione pubblica, non farei dell’argomento un motivo di conflitto ideologico. Tuttavia, l’erogazione di una somma di denaro al cittadino, senza alcun ritorno di impegno costituirebbe indubbiamente, a semplice constatazione, e non solo perché l’ha detto papa Francesco, una svalutazione del lavoro ed un’offesa alla dignità personale ed una presa d’atto della disoccupazione, come piaga inevitabile. Aggiungerei anche tutti i rischi legati al fattore consenso elettorale per le forze politiche che ne sostengono la congruità sociale; peraltro è ben individuata una classe sedicente politica che invece di programmare, pensa solo al potere senza fini di governabilità e senza idee di progetto politico.

Certo il discorso è complesso; rischia anche di cadere in non poche contraddizioni, ma la logica potrebbe suggerire una qualche osservazione. Ricordo un articolo del 1950 scritto da Giorgio La Pira e pubblicato su Cronache Sociali, la rivista del gruppo dossettiano ( “L’attesa della povera gente”): in quello scritto si parlava della disoccupazione come piaga sociale e morale, come peccato strutturale dei poteri forti indifferenti al lavoro come strumento di dignità. Come si vede i precedenti sono compatibili col pensiero del cattolicesimo democratico; ed ora con l’autorevolezza del magistero ordinario interviene il papa, un papa che certamente non ha vissuto la propria formazione in rapporto e nel contesto delle idee più cospicue del cattolicesimo politico italiano: cosa, fra l’altro, di tempi morti e sepolti.
Ora prendendo spunto dal pensiero della tradizione e tenendo presente il quadro delle affermazioni di Francesco mi permetto poche considerazioni.
La Pira affermava che, a fronte della disoccupazione che colpisce al cuore la produzione e fa della persona umana una mantenuta senza dignità, l’intevento dello Stato si fa inevitabile e urgente; e indicava il percorso nell’intervento finanziario per favorire le grandi opere infrastrutturali. Ovviamente sussiste l’obiezione delle compatibilità di spesa; si trattarebbe però di un’obiezione sospetta, a fronte di un’evasione fiscale che, per il 2012 è stata calcolata, per l’Italia, in centoventi miliardi di Euro, tali di azzerare in sedici anni la voragine del debito pubblico. Inutile aggiungere che gran parte di quell’evasione potrebbe essere assolutamente aggredita: basterebbe la volontà con conseguente risorsa per le opere che sarebbero necessarie per la crescita, il lavoro e lo sviluppo dei consumi. Insomma, per uscire dalla crisi.
Lo snodo affronterebbe almeno altre tre variabili preoccupanti qualora il reddito di cittadinanza sostituisse le politiche del lavoro.
Prima variabile. Se è vero che nel nostro simpatico Paese, un numero crescente di cittadini non lavora, non studia e non cerca lavoro perché sfiduciata, figuriamoci se tali numeri sono riducibili di entità ,quando fosse assicurata una rendita senza alcun riscontro di impegno.
Ancora. Se piaga non marginale dei rapporti di lavoro viene individuata nell’attività “in nero” non vi sembrerebbe comodo percepire l’erogazione di cittadinanza e poi aggiustarsi all’italiana in varie attività redditizie e non fiscalizzate?
Terza variabile. Con una classe politica solo preoccupata del tornaconto elettorale, non sussiste il pericolo di orientare il consenso elettorale fondandolo sulla temperie creata dai fannulloni anziché dai lavoratori e responsabili?
Sia chiaro, nessuna guerra al “reddito di cittadinanza” magari anche con risorse da recupero dell’evasione fiscale, ma non assistenzialismo, bensì riscontro d’impegno da parte dei titolati al beneficio che ne deriverebbe. Le cose da fare non mancano.




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