Lorenzo Milani… 50 anni dopo! Gian Piero Armano

“Credente, innamorato della Chiesa anche se ferito, ed educatore appassionato”: con queste poche parole papa Francesco ha voluto ricordare il prete Lorenzo Milani a 50 anni dalla sua morte. Poche parole, ma che rendono giustizia ad un uomo di fede e di coraggioso impegno civile e sociale, quale è stato Lorenzo Milani, nonostante che, ancora oggi, ci sia qualcuno dentro e fuori la Chiesa che tenta di minimizzare l’ostracismo di parte della gerarchia cattolica nei suoi confronti e che tenta di edulcorare l’esilio al quale il priore è stato punito mandandolo in un paese sperduto sulle colline del Mugello, a Barbiana.
Ci sono voluti 50 anni e c’è voluta la sensibilità e la lungimiranza di un Papa venuto da lontano, per fare giustizia ad un personaggio considerato dai benpensanti come uno dei tanti “disubbidienti”, quali Davide Turoldo, Primo Mazzolari, Ernesto Balducci, Luigi Rosadoni, Bruno Borghi, ecc.
E a rendere giustizia a don Milani non ci sono soltanto le parole citate del Papa, ma ci sarà un gesto di preghiera, di pellegrinaggio, di incontro con i “ragazzi” di San Donato di Calenzano e di Barbiana, presso la tomba del loro “prete-insegnante” sulle colline del Mugello, il 20 giugno prossimo.
Il “disubbidiente” Lorenzo Milani.

1) Sì, è stato “disubbidiente” prima di tutto nei confronti della sua famiglia, la quale sperava che Lorenzo frequentasse l’università, ma lui volle dedicarsi alla pittura perchè riteneva che la sua strada fosse nell’arte. Ma quando si accorse che la pittura non era per lui, decise di farsi prete e questa scelta portò sua mamma a dicharargli: “Per noi è doloroso come se tu fossi morto in guerra”.
2) Ma, non solo, Lorenzo Milani è stato “disubbidiente” alla Chiesa perchè ebbe il coraggio di mettere in discussione la vita pastorale ecclesiastica quando pubblicò “Esperienze pastorali”, denunciando che nel popolo “la religione è solo adempimento di rito e non porta con sé impegni di vita o di ideologia; la religione è, nel suo complesso, fatto di insignificante portata: non vale quanto la piega dei pantaloni, quanto una buona dormita, quanto l’opinione degli altri su di noi, quanto il denaro o il divertimento” (p. 120).
Sono considerazioni che don Milani manifestò, certamente stimolato da un tipo di letteratura proveniente dalla Francia negli anni ’60, riscontrabile nelle opere di Henri Godin e di Yvan Daniel “France, pays de mission?” o nel romanzo di Gilbert Cesbron “Anche i santi vanno all’inferno”, letteratura che contribuì a far conoscere le vicende dei preti-operai e di un nuovo modo della Chiesa di essere presente in una parte di mondo che le stava sfuggendo.
Nelle analisi e nelle riflessioni di “Esperienze pastorali” c’era qualche cosa di profetico che non è stato colto dalla gerarchia della diocesi di Firenze, anzi, la reazione fu particolarmente dura e per nessun motivo conciliante perchè il giudizio negativo nei confronti del libro coinvolse la critica spietata di p. Perego il quale, su “Civiltà Cattolica”, cercò di stroncare il contenuto del libro dopo che fu dichiarato “inopportuno” dal decreto dell’allora Santo Uffizio.
Non valsero gli interventi di alcune pubblicazioni e giornali cattolici di allora che si schierarono a favore di “Esperienze pastorali”, così come non valsero la prefazione del vescovo di Camerino, Giuseppe D’Avack, il “nihil obstat” del revisore ecclesiastico, p. Reginaldo Santilli, o l’imprimatur del card. Elia Dalla Costa, allora arcivescovo a Firenze.
Riporto ciò che pubblicò don Mazzolari in modo molto realistico sul quindicinale “Adesso” da lui fondato, a commento di “Esperienze pastorali”, dal titolo “L’educazione salvezza della Parrocchia”. Sono parole di un’attualità forte che dovrebbero far riflettere vescovi, preti, popolo dei credenti: “Non mancheranno i lettori scandalizzati, reclutabili facilmente tra quelli che non hanno mai fatto cura di anime e tra quelli che di solito giudicano senza leggere o con le consuete pregiudiziali verso coloro che osano scrivere senza un titolo accademico. In genere, gli scritti dei parroci rurali fanno paura per la loro poco educazione nel dire le cose che vedono. Però, se qualche volta quel mondo poco commendevole della cosiddetta cultura pastorale cattolica badasse a queste povere voci, forse il problema della ‘cura d’anime nel mondo moderno’ avrebbe camminato un po’ più verso qualche soluzione meno inconsistente e balorda” (“Adesso”, 1 luglio 1958, pp. 4-5).
L’atteggiamento di don Milani che esprime in “Esperienze pastorali” è innovativo di fronte alla pastorale tradizionale della Chiesa di allora. Cappellano a San Donato di Calenzano, manifestava la sua autocritica sui metodi, sugli atteggiamenti, sulle cause che impedivano ai sacerdoti di condividere la vita in mezzo al popolo. Cito alcune righe del suo libro che, fra l’ironico e il realistico, aiutano a comprendere la visione profetica di don Milani e che dovrebbero farci riflettere sul valore che possono avere certe manifestazioni religiose e devozionali che si compiono ancora oggi nella nostra realtà ecclesiale: “LA PROCESSIONE. Passa il Signore. Serenata di fiori, veli bianchi, festa di paese. Trionfo della fede? Ma il gruppo d’uomini che segue il Signore non è la parrocchia, è solo una chiesuola senza peso. La parrocchia si gode lo spettacolo e si tiene a dovuta distanza.
Proposto [don Daniele Pugi]: Perdonali perchè non sono qui con te.
Cappellano [don Lorenzo]: Perdonaci perchè non siamo là con loro.”.
3) Inoltre don Milani è stato “disobbediente” nei confronti dello Stato.
Senza mezzi termini, dal momento che era stato accusato di apologia di reato da un gruppo di ex combattenti, dopo un raduno degli ex cappellani militari in congedo della Regione Toscana, i quali avevano considerato l’”obiezione di coscienza” estranea al comandamento dell’amore ed espressione di viltà, il prete fiorentino – durante il dibattito processuale – farà un “processo all’obbedienza”.
Scriverà infatti con i suoi ragazzi “L’obbedienza non è più una virtù” affrontando i tempi della pace in un mondo che, siamo negli anni ’60, si trovava sull’orlo del conflitto atomico. Nel libro don Milani si schiererà per la disobbedienza civile, sosterrà con energia il valore del primato della coscienza.
Ai suoi ragazzi insegnava a rispettare le leggi, ma anche a battersi se in coscienza le ritenevano ingiuste, servendosi o del voto o dello sciopero o della disobbedienza.
Il primato della libertà di coscienza è l’eredità più importante che il priore di Barbiana ha lasciato alla società italiana. La sua polemica sull’obiezione di coscienza al servizio militare gli permise di andare oltre ad una semplice posizione antimilitarista. Il suo pensiero prevedeva che ogni cittadino ubbidisse alle leggi finchè non contrastavano la legge di Dio; altrimenti doveva battersi per modificarle, secondo il metodo democratico e non violento, anche trasgredendo le norme, consapevole di dover pagare di persona. E questo atteggiamento servì gradualmente a giungere fino al 1972, quando il Parlamento italiano varò la legge 772 sul servizio civile.
Il sostegno che diede don Milani agli obiettori di coscienza gli costò incomprensioni, critiche, giudizi settari e insulti volgari e, purtroppo, anche dure reprimende da parte della gerarchia cattolica.
Don Milani ribelle, disobbediente, ma anche “obbedientissimo” all’Evangelo: per questo motivo si crearono dolorosi scontri con le autorità religiose (in particolare con il card. Florit) che lo relegarono nell’esilio di Barbiana. L’obbedienza assoluta all’Evangelo lo mise in conflitto con la sua Chiesa ogni volta che nella prassi pastorale dimostrò incoerenza con i valori e i principi annunciati e testimoniati da Gesù Cristo.
L’obbedienza vera per don Milani è quando suscita nella coscienza un processo critico nell’assumersi delle responsabilità, restando liberi da qualsiasi compromesso.
La “Lettera ai cappellani militari” e la “La lettera ai giudici” fanno emergere la sua visione sulla obiezione di coscienza che si basa su un concetto di democrazia non violenta e partecipata. E senza peli sulla lingua nella “Lettera ai cappellani militari” scriverà: “Non potete pronunciarvi sulla storia di ieri se volete essere, come dovete essere, le guide morali dei nostri soldati. Oltre tutto la Patria, cioè noi, vi paghiamo o vi abbiamo pagato anche per questo (…) E allora (esperienza della storia alla mano) urgeva più che educaste i nostri soldati all’obiezione che alla obbedienza. L’obiezione in questi 100 anni di storia l’hanno conosciuta troppo poco. L’obbedienza, per disgrazia loro e del mondo, l’hanno conosciuta anche troppo”.
Per questo, oggi, il “disobbediente” don Milani ci aiuta a riflettere sul significato dell’obbedienza e del valore della coscienza, ma anche della solidarietà e degli atti di giustizia per coloro ai quali sono negati: “Dovevo ben insegnare – scrive nella “Lettera ai giudici” – come il cittadino reagisce all’ingiustizia. Come ha libertà di parola e di stampa. Come il cristiano reagisce anche al sacerdote e perfino al vescovo che erra. Come ognuno deve sentirsi responsabile di tutto”.
La sua testimonianza è stata di alta moralità sia dal punto di vista educativo che dal punto di vista sacerdotale; una testimonianza sulla disobbedienza civile che può mettere con le spalle al muro il potere che si permette di giudicare e condannare coloro che si impegnano per avere leggi giuste.
Nella Costituzione Italiana abbiamo l’articolo 11 che usa il verbo “ripudiare” quasi come un grido profetico per l’Italia a ritenere ingiustificabili ogni guerra, ogni compromissione con il commercio delle armi per assumere atteggiamenti di dialogo, di aiuto, di pace, di rifiuto di tutte le “guerre umanitarie”. Oggi come oggi è un grido strozzato perchè troppi sono i compromessi che cinquanta anni fa’ don Milani mise sotto accusa, pagando di persona il “dovere di non obbedire”.
La sua testimonianza evangelica è stata essenzialmente profetica, una testimonianza “sine glossa”: da qui emerge la grandezza spirituale della sua proposta e della sua testimonianza, ma anche il limite di essere stato un testimone irritante e paradossale del mistero del prete, perchè portava con sé un contrasto che conciliava a prezzo della sua vita la fedeltà a Dio e la fedeltà all’uomo, segno di contraddizione, ma nello stesso tempo pietra angolare, presenza provocatrice, profeta irriducibile vissuto nella più radicale fedeltà alla Chiesa, anche quando lo ha abbandonato e lo ha esiliato.
P.S. – Informo i lettori e coloro che fossero interessati a conoscere in profondità il messaggio di don Milani, che nella collana dei Meridiani di Mondadori, diretta da Alberto Melloni, è stata pubblicata l’opera omnia del prete fiorentino, con la collaborazione di Anna Carfora, Valentino Orlando, Federico Ruozzi e Sergio Tanzarella.






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