Sanremo: animali cantanti e cantati

Asini, cani, scarafaggi, tutti hanno avuto un ruolo nella tradizione di Sanremo
Il Festival di Sanremo 2017 ci terrà compagnia (si fa per dire…) dal 7 all’11 Febbraio. Nella macchina organizzativa, quest’anno hanno fatto capolino gli animali, attori inconsapevoli dello spot promotore del festival. Ecco apparire gallo, maiale, cavallo, oca, cane, mucca, asino cimentarsi con le note di “Non amarmi”… che non è tanto di buon auspicio per un animale.
Non è certo il massimo del rispetto approfittare dell’immagine di un animale, ovviamente inconsapevole, per farne una parodia ma questo spot è poca cosa rispetto all’oppressione che si esercita sistematicamente sugli animali, pertanto guardiamolo con un sorriso. In tanti anni di festival, gli animali hanno avuto la loro parte da protagonisti, non come soggetti ‘cantanti ma come ‘cantati‘.
I volatili, in modo particolare, hanno ispirato i pensieri e le note, fin dagli albori dell’evento canoro.

Nel 1951, alla prima edizione del festival, fa il suo esordio la cicogna nella veste di animale portatore di fecondità secondo favole e leggende. ‘La Cicogna distratta’ di Carrel, A. Valleroni e Da Rovere, cantata dal Duo Fasano, racconta di una cicogna che sbaglia casa e consegna un figlio a una coppia di vecchietti che abitano vicino alla coppia di sposi. Accortasi dell’errore, vi pone rimedio, recapitando il bimbo ai legittimi genitori. «Un bel piccino dai riccioli d’or per quei sposini in amor. Ma la cicogna, distratta, che fa? Ai due vecchietti lo vuol portar. (…) Il bel piccino dai riccioli d’or hanno gli sposi in amor. Or la cicogna felice sta là guarda, sorride e poi se ne va!».

L’anno successivo, alla seconda edizione, ‘Vola colomba’, di Cherubini e Concina, cantata da Nilla Pizzi, si aggiudica il primo posto. La canzone evoca la questione del ritorno di Trieste all’Italia dopo la guerra e la colomba bianca è virtuale messaggera d’amore tra due innamorati in quanto capace di superare i confini e le imposizioni della politica: «Dio del Ciel se fossi una colomba vorrei volar laggiù dov’è il mio amor (…) Vola colomba bianca vola diglielo tu che tornerò. Dille che non sarà più sola e che mai più la lascerò» sono le parole dell’innamorato. ‘Vola colomba’ rappresentò in quel contesto storico la canzone da far cantare al popolo italiano per suscitare l’amor di patria, distraendolo dai reali problemi del Paese uscito da una guerra devastante. Con quella bianca colomba si volle anche mandare un messaggio di serenità sociale: «Noi lasciavamo il cantiere lieti del nostro lavoro» in realtà è un verso che lascia un po’ di perplessità perché è difficile credere che a quei tempi un operaio, dopo un turno massacrante in fabbrica, lasciasse il cantiere lieto del lavoro prodotto per il padrone. Poiché le proteste e gli scioperi erano sempre in agguato, una canzone faceva la sua parte nell’edulcorare la realtà e mandare avanti la produzione senza intoppi.
A Nilla Pizzi non basta piazzare la colomba al primo posto tant’è che posiziona anche le papere. La seconda classificata è ‘Papaveri e papere‘ di N. Rastelli M. Panzeri e V. Mascheroni, una canzonetta che fece satira di costume. Gli Italiani, non potendo dire ai politici ciò che pensavano, glielo cantavano: «Su un campo di grano che dirvi non so, un dì Paperina col babbo passò e vide degli alti papaveri al sole brillar e lì s’incantò. La papera al papero chiese “Papà, pappare i papaveri, come si fa?” “Non puoi tu pappare i papaveri” disse Papà. (…) Vicino a un ruscello che dirvi non so, un giorno un papavero in acqua guardò, e vide una piccola papera bionda giocar… e lì s’incantò. Papavero disse alla mamma: “Mammà, pigliare una papera, come si fa?” “Non puoi tu pigliare una papera”, disse Mammà. (…) E un giorno di maggio che dirvi non so, avvenne poi quello che ognuno pensò. Papavero attese la Papera al chiaro lunar e poi la sposò. Ma questo romanzo ben poco durò: poi venne la falce che il grano tagliò, e un colpo di vento i papaveri in alto portò. Così Papaverino se n’è andato, lasciando Paperina impaperata».
La canzone è infatti un’allegoria in cui i papaveri alti sono i politici potenti e le papere sono le persone comuni che non possono immischiarsi nei loro affari. Quello stesso anno, la campagna elettorale del Partito Comunista Italiano creò un manifesto in cui gli alti papaveri democristiani venivano falciati dal vento rivoluzionario del comunismo e la papera impaperata era il popolo vessato: dunque, all’animale toccò questo spiacevole ruolo.

Nella stessa edizione del festival, il Duo Fasano proponeDue gattini‘ di T. Giacobetti, G. Kramer e Trinacria, una canzone in cui due cuccioli di gatto vengono presi a simbolo d’amore. Guardandoli nei loro gesti e nelle loro effusioni, si comprende l’essenza del vero amore. Forse, la scelta che siano la gattina bianca e il gattino nero aveva un senso nel volere mandare un messaggio antirazzista. Negli Stati Uniti la negazione dei diritti civili alla comunità degli afroamericani aveva già scatenato le prime tensioni destinate a sfociare qualche anno dopo nel caso di Rosa Parks che fu la scintilla a incendiare la prateria: «Quanti libri ho letto per cultura o per diletto sui segreti dell’amor; quanti film ho visto, voi scusatemi se insisto, tutti parlano d’amor! Poi ci sono i drammi medioeval, densi di merletti e di veleni. Oggi ho compreso finalmente da due semplici creature che cos’è l’amor! Due gattin, piccolin, son vicin nel camin e mentre la fiamma dà calore, loro si danno occhiate pien d’amor. Quei gattini son sincer lei è bianca lui è ner (…) Due gattin, due micin, lì vicin, nel camin, un grande segreto san svelarmi sanno spiegarmi alfin cos’è l’amor!». 

Nel 1953 si prosegue con i volatili. ‘Il passerotto (Lu passarielle)di E. Di Lazzaro e D. Valentini, cantata da Carla Boni – Quartetto Stars conquista il settimo posto. Un passerotto non si presenta come ogni anno in Primavera e la persona amata partita non è più tornata: una similitudine ricorrente in poesia e canto. Entrambi lasciano un vuoto incolmabile: «Ogni anno a primavera, coi mandorli di maggio e coi ciliegi in fior, sull’albero fiorito tornava al vecchio nido lu passarielle ancor. Ricordo, ogni mattina con il suo frullo d’ale, veniva al primo sole per farmi risvegliar. E tutta la mia casa di festa mi riempiva e poi s’addormentava al tramontar. Dove sta lu passarielle? Dov’è andato? (…) Ed ora è primavera! E’ ritornato maggio coi mille e più color. Sull’albero fiorito, però non è tornato lu passarielle ancor! Anche l’amore mio dal giorno ch’è partito un vuoto m’ha lasciato per farmi sospirar.»

Ancora una relazione tra amore e presenza di un uccello, stavolta un usignolo, nel 1955 con ‘Ci Ciu Cì (Cantava un usignol)‘ di E. Minoretti e S. Seracini, cantata Narciso Parigi e Radio Boys – Natalino Otto e Trio Aurora arrivata al settimo posto: «Quando baciavo te bambina mia quanta felicità e che poesia ci ciu ci, un usignol cantava allor (…) la sua canzon al nostro amor (…) Mi palpitava il cuor varcando il mare partivo e già sognavo di tornare ci ciu ci un usignol lava i dolor e quando più m’assal la nostalgia della tua bocca e della terra mia ci ciu ci un usignol torna a cantar (…)». Il canto degli uccelli è da sempre simbolo di libertà, messaggero di gioia e amore. L’usignolo incarna riferimenti simbolici e significativi, dai lirici greci come Saffo e Ibico, alla letteratura medievale dove il ‘rossignol’ era un’allegoria dominante nell’immaginario comune. Nella celebre vicenda d’amore fra Tristano e Isotta, c’è anche un episodio del ‘Tristan Rossignol’ dove Tristano imita il verso dell’uccello per cercare di avvertire Isotta della sua presenza; indimenticabile è l’usignolo immortalato dal poeta romantico John Keats in ‘Ode to a nightingale’.

Un paio di anni dopo, nel 1957, il celebrato uccello fa ritorno con ‘Usignolo’ di L. L. Martelli, Castellan e Concina, cantata da Claudio VillaGiorgio ConsoliniLuciano Tajoli. Stavolta la vicenda è molto triste perché presenta un usignolo racchiuso in gabbia: «Usignolo ma come sa di pianto la tua voce mi dice il cuore che non trovi pace. Mi dice il cuore che non sei felice. Usignolo la tua canzone nasce da un sospiro. L’amore che tu vivi è tanto amaro. Sei prigioniero in una gabbia d’oro. L’oro ha fermato il tuo volo e t’ha spezzato le ali nella tua voce v’è il pianto o mio usignolo». La canzone rende bene il concetto: l’uccello in gabbia non canta per amore ma per rabbia, solitudine e disperazione. La prigionia degli uccelli è tra le più tristi: nati con la prerogativa di volare, vengono chiusi in piccole bare a quadretti, frustrati e privati del loro più grande desiderio, mostrati come oggetti in macabre fiere.
Nel 1961 ci sono ancora animali alati. Sono le ‘Libelluledi A. Testa e G. Viezzoli, cantate da Joe SentieriBetty Curtis: «Leggere volano allegre volano lassù nel ciel. Libellule i sogni miei son le libellule che nei tuoi occhi si rispecchiano per me (…) i baci tuoi son le libellule che sulle labbra mi sussurrano. Amor non prendere libellule in trappola perché volano». Ancora una volta il paragone con l’amore: le libellule sono come sogni e baci tra innamorati e non di devono prendere in trappola perché hanno diritto alla libertà.
Nel 1962 arrivano i cavalli. ‘Lui andava a cavallo’, di Ravasini e Nisa, cantata da Gino BramieriAurelio FierroWanda Romanelli, presenta un uomo che «Sognava una bellissima automobile per conquistar la sua vezzosa bambola ma avendo solamente pochi spiccioli, un bel cavallo bianco si comprò. Lui andava, spavaldo, a cavallo col cilindro e una rosa all’occhiello (…) se pioveva portava l’ombrello. Per amor di una dolce fanciulla andava a cavallo per tutta la città. Tutti lo invidiavano, tutti gli dicevano: “Ormai tu sei a cavallo, per te la vita è bella, continua a cavalcar” (…) E a cavallo se ne andava dal dolce amor. (…) Hop, hop, Nina… » La canzone finisce con lo scontro della cavalla Nina contro un tram: resta da capire che fine abbia fatto la disgraziata. L’uomo a cavallo commenta l’incidente con: «Lo sapevo». Erano altri tempi in cui definire una donna «vezzosa bambola» non suscitava grandi polemiche e andare a cavallo in città non scatenava il dissenso del giorno d’oggi in cui ovunque si lotta per abolire la schiavitù delle carrozze e delle botticelle urbane.
Nel 1968 si torna a volare con ‘La farfalla impazzita’ di L. Battisti e Mogol, cantata daJohnny DorelliPaul Anka, che esprime leggerezza nel parlare dell’amore attraverso la metafora di questo animale inafferrabile: «Nel cielo vola la farfalla impazzita, sfiora sorridendo la vita, io lo so ritornerà perché lei cerca sempre il sole e ci sarà negli occhi miei».
Nel 1970 riecco la colomba con ‘L’amore è una colomba’ di G. Bigazzi cantata da Giani NazzaroMarisa Sannia. Stavolta non è messaggera d’amore ma un uccello fragile simbolo di un amore che lo è altrettanto: «L’amore è una colomba che trema già nelle mie mani». Nella stessa edizione del festival, tutti gli animali si piazzano al terzo posto su ‘L’arca di Noè‘ di S. Endrigo e L. Bacalov, cantata da Sergio EndrigoIva Zanicchi: «Un volo di gabbiani telecomandati e una spiaggia di conchiglie morte. Nella notte una stella d’acciaio confonde il marinaio. Strisce bianche nel cielo azzurro per incantare e far sognare i bambini. La luna è piena di bandiere senza vento. (…) Un toro è disteso sulla sabbia e il suo cuore perde kerosene. A ogni curva un cavallo di latta distrugge il cavaliere. Terra e mare, polvere bianca, una città si è perduta nel deserto. La casa è vuota, non aspetta più nessuno. Che fatica essere uomini! Partirà, la nave partirà, dove arriverà, questo non si sa. Sarà come l’Arca di Noè, il cane, il gatto, io e te». Sergio Endrigo affronta la questione ecologica e ambientale con parole pregnanti di significato. L’equilibrio naturale è stato infranto; i gabbiani, simbolo di purezza e di vitalità, appaiono telecomandati, governati da un principio meccanico; la spiaggia è popolata da conchiglie morte; il cielo nega al marinaio la possibilità di orientarsi; la stella è priva di luminosità; gli uomini sembrano confusi e i bambini coltivano le loro illusioni; terra e mare sono ridotti a polvere bianca e una città si è perduta nel deserto dell’indifferenza e dell’esasperazione. Nonostante la catastrofe ambientale, la nave partirà e sarà come l’Arca di Noè, simbolo di solidarietà perché su quell’arca ci sono esseri umani e non umani. O ci si salva tutti o nessuno: pensiero certamente condivisibile... Continua a leggere






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