Falconeria: gabbie e cappucci patrimonio dell’umanità

L'UNESCO conferma l'importanza della tradizione secolare
La 32° conferenza generale dell’UNESCO(United Nations Educational, Scientific and Cultural Organization) tenutasi a Parigi nel 2003 ha stabilito una Convenzione per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale definito all’articolo 2: «Per “patrimonio culturale immateriale” s’intendono le prassi, le rappresentazioni, le espressioni, le conoscenze, il know-how – come pure gli strumenti, gli oggetti, i manufatti e gli spazi culturali associati agli stessi – che le comunità, i gruppi e in alcuni casi gli individui riconoscono in quanto parte del loro patrimonio culturale. Questo patrimonio culturale immateriale, trasmesso di generazione in generazione, è costantemente ricreato dalle comunità e dai gruppi in risposta al loro ambiente, alla loro interazione con la natura e alla loro storia e dà loro un senso d’identità e di continuità, promuovendo in tal modo il rispetto per la diversità culturale e la creatività umana. Si precisa inoltre come tali prassi devono essere compatibili con i diritti umani, il rispetto reciproco tra le persone e lo sviluppo sostenibile (…)».

Precisazione necessaria ma non sufficiente: se del patrimonio immateriale entrano a fare parte gli animali, di che diritti e rispetto si deve parlare? Nel Dicembre 2016 è successo alla falconeria con la seguente motivazione: «La Falconeria, un Patrimonio Umano vivente: è questa la dizione con cui la candidatura transazionale presentata da 18 Paesi, tra cui l’Italia, è stata iscritta nella Lista del Patrimonio Culturale Immateriale UNESCO dal Comitato Intergovernativo riunito ad Addis Abeba dal 28 novembre al 2 dicembre 2016. Il riconoscimento dell’Unesco conferma il valore culturale di questa disciplina millenaria arrivata ai giorni nostri: le motivazioni dell’iscrizione sottolineano come in molti Paesi essa rappresenti uno dei pochi legami ancora esistenti con le antiche tradizioni locali e con l’ambiente naturale. (…)». I 18 Paesi cui si fa riferimento sono: Italia, Belgio, Francia,Spagna, Germania, Portogallo, Repubblica Ceca, Austria, Ungheria, Mongolia,Kazakistan, Pakistan, Marocco, Qatar, Emirati Arabi Uniti, Siria, Arabia Saudita eCorea.
Questa decisione dell’U.N.E.S.C.O. suscita comprensibile dissenso in chi si occupa dei diritti degli animali. I rapaci affascinano da sempre l’essere umano; sono generalmente fedeli ai luoghi di nidificazione che continuano a frequentare e utilizzare per tutta la vita; sono preziosi regolatori degli equilibri naturali, hanno adattamenti straordinari al volo e alla caccia, una vista acuta, un udito eccellente, un volo veloce. La crudeltà di cacciatori bracconieri causa, solo nel Mediterraneo, la morte annuale di centinaia di rapaci uccisi con armi da fuoco, esche avvelenate e trappole: vengono considerati competitori dei cacciatori perché si nutrono di animali che essi ritengono selvaggina, cioè prede di loro proprietà esclusiva. Come se non bastasse la presenza del cacciatore, oggi c’è un’altra figura che minaccia questi animali: il falconiere, persona che ovviamente dichiara di amare i suoi animali (d’altra parte il cacciatore dichiara di amare la natura) ma sappiamo che le forme di amore sono così tante e articolate da riempire i manuali di psicanalisi: l’amore distorto e morboso rientra tra quelle.
Per sapere qualche cosa in più di questo amore, è utile leggere che cosa scrivono gli stessi falconieri partendo proprio dal testo che fa da punto di riferimento: il trattato ‘De arte venandi cum avibus’  scritto da Federico II di Svevia nella metà del XIII secolo «La falconeria si sviluppa in Asia e viene portata poi in Europa e nella penisola arabica. Inizialmente consisteva nell’utilizzo del rapace esclusivamente per la caccia. (…) Ma è nel Medioevo che la falconeria ha la sua massima espressione. Nei secoli bui il falco diventa il simbolo dell’essere un guerriero vincente in combattimento: viene perciò associato a una classe militare (…) Nel XV secolo la falconeria guadagnò importanza in tutta Europa e diventò una delle materie di studio per la formazione dei regnanti e della nobiltà. I falchi stessi erano un segno di distinzione e, a seconda della specie, venivano riservati a persone di rango adeguato. L’azione di caccia con il rapace (…) si svolge in pochi secondi: si lancia il falco, poi si fa alzare la preda e il falco scende e uccide la preda. Un’azione che è frutto di una preparazione di mesi. La brevità dell’azione venatoria somiglia molto all’attività con cui un sovrano a capo di un impero deve fare quando assume delle decisioni. Per questo il lavorare con il falco è per Federico lo specchio della sua azione politica. Si va a caccia con il falcone per mettere alla prova la propria capacità intellettuale di governare attraverso la forza, la persuasione, la capacità di conoscenza. Ogni rapace nella visione di Federico II era il simbolo di una classe sociale. L’imperatore è simboleggiato dall’aquila e il falco è il nobile (…) veloce, rapido, indomito, difficile da prendere. Per questo la falconeria è lo specchio della nobiltà: il falco addomesticato è come il nobile addomesticato. Nell’Inghilterra del 1400, per possedere un girfalco bisognava essere re, per avere un pellegrino almeno conte, per un falco sacro cavaliere e per un falco lanario signore. Donne, giovani, preti e servi non potevano andare, rispettivamente, oltre lo smeriglio, il lodolaio, lo sparviero e il gheppio. (…) Il fascino di quest’arte oggi (…) sta nel legame che si instaura con i rapaci, la dedizione totale, il grosso impegno. Le persone sono affascinate dalla vittoria che hanno sull’animale che riescono a domare: è una grande vittoria della mente (…)».
C’è da chiedersi che mente sia quella che prova soddisfazione nell’esercitare dominio, oppressione, sottomissione su un animale. Dato che non siamo più ai tempi di Federico di Svevia, sorge la necessità di modernizzarsi e i falconieri hanno pensato a una falconeria moderna e addirittura “alternativa” «(…) È considerata l’attività venatoria con il più basso impatto ambientale e faunistico, sia per l’esiguo numero di praticanti che per l’effettivo insignificante prelievo di fauna selvatica, in considerazione del fatto che sono innumerevoli le variabili che portano ad una cattura che quasi sempre avviene come in natura a carico delle prede più deboli a vantaggio dell’ecosistema, con un particolare rispetto per l’ambiente, senza rumori e rilascio di sostanze inquinanti. Oggi la falconeria così detta alternativa, ha anche un’importante funzione di sicurezza per i cittadini, dal momento che molti aeroporti in tutto il mondo sono protetti dai falconieri che con i propri falchi tengono lontani stormi di uccelli che spesso sono causa di gravi incidenti aerei, per non parlare poi del controllo di alcune specie di volatili invadenti a carico dei centri urbani e aziende alimentari che possono arrecare gravi danni al patrimonio storico e creare problemi sanitari. Purtroppo oggi praticare vera falconeria è molto difficile perché esiste nel nostro paese una forte arretratezza legislativa in materia (…)».
E così dovremmo ringraziare i falconieri che tutelano l’ecosistema, la sicurezza negli aeroporti e il patrimonio storico. Col riconoscimento da parte dell’UNESCO c’è da scommettere che questa pratica avrà la strada spianata anche dal punto di vista legislativo, come se non bastassero le leggi a favore dei cacciatori. Per praticare la falconeria è necessario procurarsi la licenza di caccia, si deve possedere una prova di legittimità per i rapaci e di un’approvazione per la loro collocazione. L’uso della telemetria elettronica è consolidato e consiste nell’applicare sull’animale (a una zampa, sulle timoniere della coda o al collo) un trasmettitore di frequenza che, tramite un ricevitore, consente di rintracciarlo se si fosse allontanato fuori dalla vista. I rapaci usati per la falconeria subiscono un forte condizionamento poiché sono privati dei loro comportamenti naturali. Il rapporto che li lega all’essere umano non è di natura affettiva ma è basato su un meccanismo premiale legato al cibo, alla dipendenza che l’essere umano crea, piegando l’indole fiera di un uccello ridotto a schiavo, chiuso in gabbia o legato su un posatoio, spesso lasciato parecchie ore con il cappuccio, costantemente manipolato per fargli dimenticare di essere animale selvatico. I rapaci sono animali selvatici e, anche se allevati in cattività, non diventano domestici ma addestrati, condizionati e privati di ogni istinto, trasformati in meri strumenti.
Quelli utilizzati in spettacoli, rievocazioni medievali e fiere sono assimilabili agli animali da circo ma purtroppo contro la falconeria il dissenso è debole e ciò fa sì che il fenomeno sia in crescita con un giro d’affari milionario e con un commercio, legale e clandestino, sempre più rilevante. Così la falconeria diventa patrimonio dell’umanità nell’indifferenza generale, senza che si comprenda la sofferenza inferta a questi animali tenuti prigionieri, forzando il loro modus vivendi. La falconeria, valendosi del solito alibi della tradizione e della storia, è in realtà è una delle innumerevoli forme di sfruttamento animale, mascherato da amore per gli animali stessi. Nessun animale dovrebbe essere sfruttato in nome di nessuna tradizione, cultura e storia.

Dietro la falconeria c’è un consistente commercio di rapaci nati in cattività ma che derivano da uccelli predatori selvatici, considerati protetti dalla Legge 157/92 e inseriti nella Direttiva 2009/147/CE. I rapaci necessitano di una particolare protezione, di misure speciali di conservazione per garantirne la sopravvivenza e la riproduzione. Molti animali usati dai falconieri sono stati sottratti illegalmente dai nidi, compromettendo così il buon esito della riproduzione e di conseguenza la sopravvivenza della popolazione selvatica.

Il prelievo di esemplari catturati in natura e poi fatti riprodurre incrociandoli tra specie affini è una pratica inconcepibile in un’ottica protezionista di queste specie a rischio. Sono gli stessi falconieri a inneggiare alla cattura: «(…) Le catture sono fondamentali per la Falconeria; magari controllate, regolate, autorizzate, ma pur sempre fondamentali. Noi vogliamo falchi per “cacciare il selvatico nel suo ambiente naturale”; e cosa c’è di più geneticamente perfetto a compiere questo atto se non un “selvatico”? Pensate veramente che la soluzione sia la continua ibridazione di falchi nati in cattività? Pensate veramente che tra 5, 10, 20 anni i falchi manterranno ancora quelle peculiarità che li rendono così magnificamente perfetti? La morte della Falconeria saranno i falchi “domestici”; mostri senza grazia, e senza anima. (…) Catturare è sbagliato solo se lo si fa nel modo scorretto e per fini spregevoli; Sarebbe meglio focalizzare l’attenzione sul concetto di catture “Illegali”, piuttosto che generalizzare sull’idea di cattura-azione ignobile (…)».
E poi c’è la didattica. I falconieri giocano la carta della didattica, come se fosse un dono e un piacere offerto alla comunità, mostrando da vicino la bellezza di animali da sempre inarrivabili ora rinchiusi e sottomessi. In realtà, nulla di ciò che viene mostrato di quegli animali è simile alla loro vera natura che è quella di animali schivi e timorosi verso l’essere umano. I falconieri non permettono di conoscere la vera natura di quegli animali proprio perché ne offrono un’immagine artificiosa. Feste e sagre offrono spettacoli di falconeria quando sarebbe doveroso promuovere e sostenere iniziative in cui viene ridata la libertà a rapaci recuperati da gabbie o da ferite d’arma da fuoco, curati e riabituati al volo e all’ambiente naturale. I falconieri fanno esibire i propri animali in ambienti rumorosi, in mezzo a folle vocianti, sotto luci abbaglianti. Non vi è alcun valore didattico nell’insegnare al pubblico, specie a bambini e ragazzi, che è giusto tenere prigionieri animali a scopo ludico o venatorio: bisogna insegnare il rispetto per gli animali, non la prevaricazione su di loro tramite un addestramento che non è certo una passeggiata: sono gli stessi falconieri arivelarlo.
«L’addestramento dei rapaci diurni può essere classificato in diverse tipologie a seconda del tipo di falconeria che si vuole praticare: addestramento alla caccia (falconeria classica), al logoro (falconeria alternativa), professionale al Bird-control, per spettacoli. (…) Obiettivi: A) Ammansimento e conoscenza del pugno B) Condizionamento al pugno C) Condizionamento al fischio D) Addestramento al logoro E) Fitness, muscolatura e preparazione tecnica del rapace. (…) In linea generale comunque l’addestramento di un rapace si basa su alcuni principi etologici e fisiologici (…): 1) Imprintig (…) 2) Assuefazione (…) Questo processo di adattamento agisce esponendo il rapace a stimoli così continui e costanti che l’animale cessa di rispondere a essi. 3) Condizionamento: Il condizionamento psicologico è lo strumento più potente che il falconiere solitamente utilizza per addestrare un rapace. Il principio del condizionamento si basa sul concetto di “premio” e di “collegamento”. (…) 4) Fisiologia alimentare: il fulcro su cui lavora il falconiere per incitare il rapace a saltare sul pugno o a ritornare quando viene richiamato ma anche ad attaccare una preda (vera o simulata) durante i voli liberi è la fame. (…) Per incoraggiare il rapace ad eseguire gli esercizi di salto sul pugno si sfrutta il momento in cui esso ha fame (…) L’addestramento di un rapace avviene dunque in maniera graduale: per prima cosa bisogna ammansire il rapace, abituandolo a stare sul pugno, mangiare sul pugno, farsi incappucciare e toccare e non avere paura del falconiere. Successivamente, usando la gestione della fame e il condizionamento si insegna al rapace a saltare sul pugno, da distanze via via maggiori in un ambiente chiuso e contemporaneamente lo si condiziona anche al fischietto (…)».
Dunque la fame, istinto primordiale da soddisfare, è la carta vincente, il ricatto sublime di questi addestratori incoronati dall’UNESCO. Il falconiere è davvero affascinato dalla bellezza dell’animale, dal sentimento di possesso verso tale disgraziato soggetto del quale manipolano la psiche indebolita dalla prigionia. La ‘Sindrome di Stoccolma‘ è un «Particolare stato psicologico che può interessare le vittime di un sequestro o di un abuso ripetuto, i quali, in maniera apparentemente paradossale, cominciano a nutrire sentimenti positivi verso il proprio aguzzino che possono andare dalla solidarietà all’innamoramento.» Nella mente dell’animale prigioniero, indebolita dalla disperazione di non poter più sfuggire, compare uno spiraglio di luce quando l’essere umano gli tende la mano per offrirgli cibo o un gesto d’affetto. Si crea così l’illusione di attaccamento alla persona magnanima che è però la stessa ad avergli tolto la libertà. Infatti, una volta liberi, gli uccelli si sentono sperduti perché incapaci di immaginarsi una vita all’esterno quindi tenderanno a far ritorno sul braccio dell’aguzzino, poiché non immaginano come potrebbero altrimenti avere cibo e riparo.
Il termine ‘patrimonio’ deriva dall’unione di due lemmi latini ‘pater’ (padre) e ‘munus’ (dono, regalo, dovere, tributo); letteralmente il patrimonio è il “regalo del padre” o forse il “dovere del padre”, rappresentando tutto ciò che appartiene al padre e che viene lasciato ai figli. Questo “regalo” è davvero ben accetto? Il padre ha davvero il “dovere” di farlo? Bisogna avere il buon senso di capire quando certi beni materiali o immateriali debbano essere disintegrati in modo che non ne resti più traccia se non nei libri di storia. Catene, cappucci e gabbie non sono un patrimonio ma una vergogna di cui liberarsi.

La differenza tra gabbia e cielo è evidente anche in un bambino di età prescolare e sorprende che non sia evidente all’U.N.E.S.C.O.: la gabbia è il carcere, il cielo è la libertà. I rapaci vivono come carcerati ai quali si regala l’ora d’aria per restare in allenamento e servire meglio il carceriere. Il punto non è quanto sia grande una gabbia ma la gabbia stessa.
In ricordo di un uomo che mi ha cambiato la visione del mondo e che ha lasciato questo mondo qualche giorno fa: «Dobbiamo svuotare le gabbie, non renderle più grandi.», Tom Regan (1938-2017), in “Gabbie vuote“.





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