Recenti trasformazioni della famiglia: è vero progresso?

Recenti trasformazioni della famiglia: è vero progresso?
Mauro Fornaro
Nel corso della storia, è cosa evidente, la famiglia si è organizzata in forme disparate, inoltre le diversità risaltano al confronto tra le culture di differenti Paesi. Tuttavia dedurne che la famiglia è un mero costrutto culturale, trascurando gli elementi di invarianza storica e transculturale, è eccessivo. Negli ultimi decenni sono emerse novità,  rese possibili da tecniche di procreazione prima impensabili: le varie forme di procreazione medicalmente assistite (inseminazione omologa o eterologa, “donazione” dell’ovulo e/o dell’utero) rendono non più necessario il rapporto fisico tra una donna e un uomo. Cade così ciò che sembrava un’ovvietà nella costruzione della famiglia: la coincidenza dell’atto generativo con la relazione sessuale tra i coniugi. Pertanto nella coppia, omosessuale ma anche eterosessuale sterile, si inserisce l’enigmatica figura di un terzo, cioè il “donatore” o “donatrice”, ma anche le figure medicali (sorte di nuovi sacerdoti della procreazione). L’altra novità risulta da una straordinaria variazione di costumi nelle nostre società occidentali e (ex) cristiane: l’omosessualità è di sempre, talora accettata e talora respinta a seconda delle culture, ma non risulta, prima d’ora,  che sia mai stata legalizzata come base di un nucleo familiare. L’istituzione, poi, del “matrimonio” omosessuale in tanti Paesi ha comportato la richiesta, e talora l’ottenimento, dei medesimi diritti di cui gode il matrimonio eterosessuale: il riconoscimento della prole nata entro la coppia e la possibilità di adottare minori.

Da questi ultimi eventi consegue la formazione di “famiglie” allargate non solo a tre adulti, laddove si mantenga qualche relazione col terzo/a (cioè il genitore biologico), o a quattro, laddove la prole risulti da un accordo tra una coppia gay e una lesbica, ma pure allargate a enne persone, laddove nelle famiglie “arcobaleno” vengano coinvolti nel rapporto educativo nonni/e e zii/e, per quanto possono avere di funzione surrogatoria del genitore del sesso mancante. Collegando questi nuovi tipi di famiglia con le variegate forme di famiglia istituitesi tra soggetti eterosessuali e bisessuali (famiglie single, famiglie ricomposte da divorziati con rispettiva prole avuta nel precedente matrimonio, famiglie di ex single con prole, unioni omosessuali in cui almeno uno/a dei/delle due porta la prole avuta da pregressa relazione eterosessuale, ecc.), i sostenitori delle famiglie arcobaleno insistono per una variazione della nozione stessa di famiglia. La famiglia, cioè, viene curvata alla fin fine nella direzione di una mera “costellazione affettiva”, in cui i confini sono incerti, e comunque non predeterminati, a “geometria variabile” e per lo più fluida nel tempo. Si configura così un assetto di famiglia che, stante anche la maggior labilità delle coppie omosessuali statisticamente rilevata, presenta tratti analoghi alle comuni di sessantottesca memoria (nate a contestazione della famiglia cattolico-borghese): si sottovalutano in ambo i casi i fenomeni di gelosia nei confronti di figli e partner, per esaltare di contro l’allevamento comunitario dei figli fuori dai vincoli esclusivisti della tradizionale coppia generativo-genitoriale. Se il figlio ha il vantaggio di poter far riferimento a una figura alternativa in caso di genitore disfunzionale, solo il tempo dirà se le famiglie arcobaleno avranno maggior fortuna degli esperimenti delle comuni sessantottesche.
Quale che sia la valutazione di questi recenti assetti di famiglia, nel caso specifico della famiglia costruita su base omosessuale sorge frequente la questione se essa sia funzionale in ordine alla sana educazione e al sano sviluppo psico-sociale della prole. Specie esponenti di gruppi LGBT (acronimo di lesbiche, gay, bisessuali e transessuali) per lo più nei paesi di lingua inglese hanno prodotto una valanga di studi sulle caratteristiche psicologiche della prole cresciuta entro coppie omosessuali, comparata con la prole di coppie eterosessuali. Queste ricerche mostrano in gran prevalenza che né l’ugual sesso dei due genitori – quello biologico e quello “sociale” –  né l’assenza dell’altro genitore biologico pregiudicano di per sé un adeguato sviluppo della prole. Anzi taluni studi rilevano il maggior successo di figli/e di lesbiche rispetto alla media degli eterogenitoriali (l’omogenitorialità lesbica, ben più frequente di quella gay, risulta di conseguenza  più studiata).  Certo, a seguito di queste ricerche dovrebbe cadere il pregiudizio di una totale e generalizzata inaffidabilità genitoriale delle coppie omosessuali. Tuttavia i risultati vanno presi con cautela: molte di queste ricerche, per lo più di impianto statistico e condotte spesso con test autovalutativi, sono criticate per i vari limiti metodologici che presentano (tra gli altri: poca rappresentatività del campione, disomogeneità interne allo stesso e rispetto al gruppo eterosessuale di controllo,  scarsità di studi longitudinali che arrivino fino all’età adulta dei figli, ecc.). Inoltre non mi risulta che i team di ricercatori, in una materia tanto scottante e soggetta a pregiudizi di parte (i quali interferiscono consapevolmente o inconsapevolmente nella valutazione dei risultati) fossero composti scientemente da favorevoli e da contrari alla omogenitorialità, a servizio di un sano contraddittorio. Infine, comparando la prole omogenitoriale con quella eterogenitoriale spesso si trascura l’ovvietà che i nati entro coppie omogenitoriali sono oggetto del forte desiderio da parte di genitori che devono superare molti ostacoli, perciò essi sono oggetto di particolari attenzioni e cure, più di quanto non accada, a parità di altre condizioni, nelle coppie eterosessuali, in cui la prole non sempre è desiderata e anzi talora trascurata.
A sostegno poi della plausibilità della genitorialità omosessuale, gli esponenti di gruppi LGBT insistono – contro rigide differenziazioni psico-comportamentali tra donne e uomini istituite sulla base del sesso biologico – sul fatto che in ciascuno sono presenti in qualche misura pure tratti tipici dell’altro sesso. Si arriva al limite di asserire che le differenze psico-comportamentali tra donne e uomini sono puro frutto di stereotipi culturali. Ebbene queste tesi, che vengono esposte a superamento della classica obiezione che un bimbo abbisogna di una mamma e di un papà, giustificherebbero come entro la coppia omosessuale uno dei due partner possa assumere ruoli di tipo paterno, l’altro di tipo materno in base alle rispettive caratteristiche di personalità. In ciò v’è del vero; però è certo che quando i diversi ruoli (paterno e materno) sono impersonati da sessi diversi, a parità di altre condizioni viene facilitata nella prole la percezione di differenziate figure di riferimento, importanti per lo sviluppo.  D’altra parte, per quanto le suddette ricerche empiriche si sforzino di attestare come l’omosessualità dei genitori non pregiudichi né l’orientamento sessuale né l’identità di genere della prole, resta difficile capire come la prole di sesso diverso rispetto a quello dei genitori possa acquisire identità e ruolo di genere coerenti col proprio sesso, se non attingendoli al di fuori dalla coppia omoparentale (segnando così un limite all’autosufficienza della coppia medesima, che deve nella fattispecie rimandare a parenti dell’altro sesso).
Va da sé poi che i medesimi esponenti insistano sulla dissociabilità di genitorialità affettiva e genitorialità biologica: l’affetto e la protezione genitoriali, la qualità della cura e le capacità empatiche dei genitori sarebbero condizioni sufficienti, e non solo necessarie, al buon sviluppo psichico e sociale della prole. In ciò v’è del vero, alla luce del fatto che tanti bambini, abbandonati in tenerissima età da ragazze madri, sono cresciuti normalmente grazie all’affettuosa e competente famiglia adottiva. Tuttavia un conto è far di necessità virtù, altro conto è programmare quella dissociazione, come fosse cosa normale e aproblematica. Da questa dissociazione infatti  consegue che è secondario, per la stessa prole, chi sia l’altro genitore biologico e inoltre pressoché indifferente sapere quale fisicità e personalità egli abbia. Ma in tal modo si dà per scontata l’idea di una sostanziale indifferenza del corpo e dei legami genetici in ordine alla formazione dei caratteri psichici della prole: rieditando il vetusto dualismo di psiche e corpo, ai fini dello sviluppo psichico conterebbero solo ambiente e cultura, cosa per lo più rifiutata dalla psicologia dello sviluppo. Si dà pure per scontato che il legame biologico tra genitore e figlio sia tutto sommato indifferente in ordine alla costituzione e ai modi della stessa affettività del genitore, come se non avesse alcun rilievo il fatto di vedere nel figlio biologico, a differenza di quanto accade nel co-genitore sociale, i propri tratti somatici e caratteriali.
Sempre a dire della rilevanza, non esagerabile ma nemmeno trascurabile, del momento biologico in ordine alla costituzione della psichicità, va ricordato, a svantaggio della paternità gay, quanto attestano recenti ricerche: l’interazione tra il feto e la gestante, che pur “prestando”  l’utero non è mai mera incubatrice, ha effetti pure sullo sviluppo neurologico e psicologico del feto. Inoltre importante è il ruolo svolto dagli ormoni femminili ossitocina e prolattina nel favorire la cura e la comunicazione empatica nella neo-mamma; infine nella mamma si nota nel rapporto col  piccolo la preminente attivazione di aree limbiche del cervello, che sono legate all’intuitiva emozionalità viscerale, mentre nei padri prevale l’attivazione delle più “fredde” aree corticali. Insomma, l’eccesso di culturalismo e di costruzionismo sociale, presente in tutte le teorizzazioni di esponenti LGBT, dimentica l’ineludibile base animale e mammifera di homo sapiens, facendo erroneamente leva sulla tesi che ciò che è “naturale” non è che definito entro il linguaggio dato e la cultura data (quasi che la realtà naturale si esaurisca nelle cangianti interpretazioni culturali!).
In conclusione, solo in un più lungo lasso di tempo, che veda lo sviluppo di almeno un paio di generazioni di famiglie a matrice omosessuale, e quando clamori rivendicativi di una parte e animosità omofobiche dell’altra parte si saranno placati, potremo avere risposte definitive a proposito della funzionalità delle famiglie omogenitoriali. Ma per quanto possa esser adeguato lo sviluppo della prole nata e/o cresciuta entro coppie omogenitoriali, non v’è dubbio che la continuità tra generazione biologica e genitorialità affettiva presenta maggiori facilitazioni ovvero minori problemi che non la discontinuità. Ciò che non è nocivo o anche buono, non per questo è ottimale; per chiarire questo concetto, valga un semplice esempio in tema: se tanti bimbi allattati artificialmente sono cresciuti sani, importanti studi però attestano la preferibilità dell’allattamento al seno ai fini dello sviluppo affettivo e cognitivo.  D’altra parte va osservato che la clinica psicoterapica rileva taluni turbamenti tipici della famiglia omogenitoriale (per taluni versi simili a quelli della coppia eterosessuale che sia ricorsa alla procreazione eterologa): indipendenti dai nefasti influssi di contesti omofobici, sono riconosciuti dai più onesti tra gli psicologi fautori dei movimenti LGBT. Nella coppia omogenitoriale, ad esempio, ricorrente è la difficoltà di gestire il fantasma del terzo, che pur sempre si ritrova nelle fattezze somatiche e psichiche della prole: a volte è sentito come presenza persecutoria; frequente inoltre nelle coppie lesbiche è la gelosia del co-genitore sociale nei confronti del genitore biologico. Insomma, c’è nuovo lavoro per lo psicoterapeuta. Nella prole, poi, a partire dall’adolescenza, inesausta è la domanda su chi sia “l’altro mio genitore” biologico (cosa per altro oggettivamente rilevante volendo sapere di eventuali malattie ereditarie); inoltre, conosciutolo o no, inquietante è l’interrogativo sul perché “non mi ha voluto”.  In effetti per quanta importanza si attribuisca alla relazione affettiva, la questione genealogica non è trascurabile,: nella costruzione di una solida identità personale concorre pure il fatto di riconoscersi entro un lignaggio, entro una storia generazionale.





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