Pensioni: “Garantirle anche alle giovani generazioni”

Pensioni: “Garantirle anche alle giovani generazioni”
28 SETTEMBRE 2016
Le proposte relative alle pensioni di cui si sta parlando in questi giorni affrontano i problemi:
– di chi è già in pensione, ma ha una pensione insufficiente;
– di chi è vicino alla pensione, e vorrebbe anticipare l’uscita dal mercato del lavoro, o è nella difficoltà di non avere più un lavoro senza avere ancora maturato i requisiti per la pensione
Sono due obiettivi giusti e condivisibili. Ve ne è pero un terzo altrettanto rilevante che pare essere dimenticato. Penso alla grande questione dei giovani, a cui deve essere offerta da oggi l’opportunità di affrontare serenamente il futuro pensionistico.

I giovani si confrontano infatti con un sistema pensionistico interamente contributivo: la loro pensione dipenderà esclusivamente dai contributi che avranno versato, senza integrazioni al minimo o correttivi di altro genere.
La loro pensione sarà dignitosa solo se avranno una carriera lavorativa senza interruzioni e con salari adeguati.
Ma le carriere lavorative dei giovani sono sempre più spesso discontinue, precarie, con remunerazioni basse (anche a causa della crescente diffusione di part-time involontario, specialmente per le donne) e quindi con versamenti contributivi bassi.
In assenza di correttivi, l’attuale sistema pensionistico appare incoerente rispetto alla evoluzione del mercato del lavoro che ha caratterizzato gli ultimi due decenni.

Il problema di individuare strumenti e proposte con cui garantire una adeguata prestazione previdenziale alle giovani generazioni, anche attraverso una revisione delle regole del sistema pensionistico, non può essere considerato rimandabile. E’ un problema di oggi.
Non si deve nemmeno pensare che, a suo tempo, si interverrà con strumenti assistenziali, che prescindono dai percorsi individuali, perché sarebbe una soluzione umiliante, dopo una vita di lavoro, e perché così si creerebbero disincentivi al lavoro, specie regolare. Bisogna al contrario, rafforzare le tutele offerte dalla pensione pubblica, mantenendo il legame fra contributi individuali e pensione che si otterrà.

Per affrontare questo problema bisogna innanzitutto fare di tutto perché la contribuzione dei giovani sia sufficiente, anche a regole invariate. Il che significa non abbassare la tutela previdenziale riconosciuta alle diverse forme di lavoro: con decontribuzioni non fiscalizzate, forme retributive non coperte da prestazioni previdenziali (come i premi di produttività se goduti sotto forma di welfare aziendale), riduzioni eccessive delle aliquote contributive (come si fece a suo tempo per i lavoratori atipici, come si fa, anche se in misura minore, per le partite Iva, come si fa con l’utilizzo improprio dei voucher che garantiscono una copertura previdenziale del solo 13%).
Ma poi occorre anche cambiare alcune regole per salvaguardare uno dei pregi del contributivo: far sì che ogni contributo versato sia fruttuoso (“making contribution pay”)
Attualmente infatti non è così: se i contributi sono pochi, o la carriera è discontinua, vi è un incentivo a lavorare in nero, mettendosi in tasca subito un po’ di soldi in più, visto che comunque non si otterrà altro che l’assegno sociale.

Con il contributo di un gruppo di lavoro composto da esperti e parlamentari (Angelo Marano, Michele Raitano, Laura Pennacchi, Marialuisa Gnecchi e Maria Cecilia Guerra), abbiamo individuato due proposte.
La prima proposta, che riteniamo più praticabile, fa salvi i meccanismi di fondo del sistema contributivo, ma introduce due importanti correttivi.
a) La pensione a cui il giovane avrà diritto tiene conto non solo dei periodi in cui ha lavorato e versato contributi effettivi ma anche di quelli di disoccupazione involontaria, certificati dai servizi per l’impiego, quando cioè ha cercato attivamente lavoro ma non lo ha trovato, a cui viene fatta corrispondere una contribuzione figurativa (più contenuta rispetto a quella effettiva).
b) Viene definita una pensione contributiva di garanzia, il cui ammontare dipende dal numero di anni in cui si è stati attivi (o come lavoratori o come disoccupati involontari, ma eventualmente anche come care giver) e dall’età del ritiro (favorendo chi rimane attivo per più tempo e penalizzando chi si ritira prima). Se la pensione calcolata con le regole contributiva risulta inferiore rispetto a questa prestazione di garanzia, la pensione contributiva accumulata dal lavoratore viene integrata fino all’ammontare di quella garantita.

Con questa proposta :
– non si creano i disincentivi al lavoro – e in particolare al lavoro regolare – tipici dei meccanismi assistenziali, perché chi è attivo per più tempo e contribuisce di più prende una pensione più alta (anche qualora dovesse accedere all’integrazione);
– si elimina il rischio di pensioni troppo basse dovute a carriere precarie, bassi salari – anche a causa di part-time involontario – o aliquote ridotte.

Per potere riconoscere garanzie pensionistiche anche per anni di attività in cui non si ricevono salari né sussidi occorre un buon funzionamento dei servizi per l’impiego. Vi è quindi una interazione fra la nostra proposta e gli aspetti più positivi del Jobs Act nella parte ancora in corso di attuazione: il rafforzamento delle politiche attive del lavoro.
E’ una proposta sostenibile.
Potrebbe entrare in vigore già da oggi. Gli aggravi per il bilancio pubblico si avrebbero solo con i primi pensionamenti interamente contributivi, all’incirca dal 2040 in poi, e cioè dagli anni in cui la curva della spesa per pensioni diventa decrescente e il sistema previdenziale, essendo entrato pienamente in vigore lo schema contributivo, è finanziariamente sostenibile. La spesa per pensioni di garanzia si ridurrebbe qualora il mercato del lavoro dovesse diventare più remunerativo e meno precario (o si dovessero ulteriormente estendere gli ammortizzatori sociali). Parte della maggior spesa andrebbe poi a sostituire la spesa per assegni sociali che verrebbe comunque erogata ai pensionati più poveri.

Una proposta alternativa: introdurre, gradualmente, una cumulabilità completa fra assegno sociale e pensione.
A regime (piena cumulabilità) si avrebbe una pensione di base universalistica – un assegno sociale pagato a tutti gli anziani (soggetto eventualmente a limiti se l’anziano dispone di altre tipologie di reddito e di ricchezza) – finanziata dalla fiscalità generale, a cui si aggiunge la pensione contributiva maturata dal lavoratore con aliquote più contenute delle attuali.
In questo modo, ad ogni contributo in più che si versa corrisponde sempre un più alto livello della propria pensione, non vi sarebbe quindi più alcun incentivo a lavorare in nero.
E’ una alternativa altrettanto valida ma forse meno praticabile in questo momento, in quanto richiede una modifica molto più radicale del finanziamento del sistema (meno contributi e più fiscalità generale) con il rischio, in prospettiva, di accentuare la dipendenza del finanziamento del sistema pensionistico pubblico dalle priorità di bilancio del governo, aprendo la strada a un suo progressivo indebolimento.

28 SETTEMBRE 2016

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