Spartaco, by Giannunzio Visconti

Spartaco, by Giannunzio Visconti
L’uomo che aveva saputo sfidare il destino.
C’è una sorta di maledizione che ogni uomo si porta addosso, e lui, a parer del vero, ne aveva una: era sfortunato Spartaco, perché non è possibile vivere nella dannazione della sofferenza. Anche sfidando la morte ogni giorno non poté sfuggire alla vendetta del male che lo circondava.
Un destino malvagio e crudele lo perseguitava di cui non riuscì mai a liberarsi nonostante le imprese ardite compiute.
Quando si pensa alla giovinezza, ci s’immagina un mondo pieno di bellezza, di opportunità, di entusiasmo, di avventura, di una vita edonistica fatta di slanci affettivi, di passioni senza fine.
Tuttavia, la storia ci insegna che questa visione così idilliaca non sempre aderisce a questi pensieri, si conforma a queste verità. Periodi bui, cupi, tempestosi hanno segnato generazioni di giovani ferendoli mortalmente dentro il cuore, aprendo sentieri aridi, polverosi, pieni di dolore e di morte.
          E’ facile ammaliare il pensiero d’intere generazioni, attraverso la mistificazione, la diffusione di false illusioni, rendendo affascinanti azioni di pericolosa futilità.
 Anche Spartaco fu coinvolto nella speranza di costruire un mondo migliore, attraverso i combattimenti, la guerra, la lotta porta a porta, di azioni militari nelle forme più varie. Lui era un uomo mite, di giovane età, vigoroso, forte, sognatore, pieno di entusiasmo verso la vita, verso le montagne che l’avevano visto crescere. Purtroppo come spesso accade, le realtà assumono aspetti terribili rispetto a ciò che si è, a quello che si vuole essere e le atmosfere incantate hanno il fiato corto; nello spazio di attimi tutte le speranze possono naufragare nel baratro del silenzio. 
In paese era facile assistere a discorsi che parlavano di famigerate imprese compiute dai militari italiani negli spazi marini del mediterraneo. C’era un nome che risuonava maggiormente: al solo sentirlo pronunciare i giovani si inchinavano dietro l’entusiasmo arrogante e senza speranza, del potere che avvilisce i pensieri e le menti dei popoli.

          Un nome leggendario riecheggiava nelle piazze dei più remoti paesi, la gente ne parlava, ne discuteva: quello dei “Maiali”, sofisticate armi portatrici di morte, diventati l’orgoglio della nostra Marina Militare, i giovani ne restavano affascinati. Questi mostruosi siluri, erano come bare galleggianti, scortate dal rumore dello scricchiolio delle lamiere, che aumentava con la profondità marina, come a intonare una marcia funebre, presagio di una tragedia imminente. L’informazione dell’epoca narrò diffusamente di questi temibili strumenti di guerra impiegati in modo magistrale per affondare le navi da guerra nemiche ormeggiate nei porti di tutta Europa.
Tecnicamente si chiamavano “Siluri a Lenta Corsa ”, condotti al bersaglio da due incursori della Marina, che piazzavano sotto la chiglia del proprio obiettivo la carica d’esplosivo, mettendo a rischio la loro giovinezza.
Volgarmente vennero definiti “Maiali ” a causa della loro forma e dall’efficacia distruttiva che possedevano. La maggior parte delle azioni avveniva di notte e nella nebbia, che a quell’ora lentamente sale sulle onde del mare. Il nemico era colto di sorpresa, perché questi “Maiali ” erano silenziosi e poco visibili. Fu così che queste imprese guadagnarono una notorietà mondiale e per qualche breve periodo la Marina Militare Italiana, unica ad adottare quest’arma così particolare, venne dipinta come qualificata e superlativa. Questa fama non poté non affondare la sua lama anche in territori estranei alla cultura del mare, come alcuni paesi immersi nella bella montagna abruzzese. Fu anche in uno di questi borghi, che si realizzò la fascinazione delle masse. Un dramma collettivo, un attentato a intere generazioni, si trasformò anche in una sciagura individuale, quella di Spartaco. Lui era un sempliciotto, animato da una grande visione, quello di pensare di poter diventare un uomo di successo, un prode, uno di cui si sarebbe parlato a lungo, un soldato italiano destinato a divenire un emblema di coraggio e abnegazione. Questi erano pensieri che coltivava quando parlava con gli amici, con la propria donna, con i famigliari. Noi siamo qui, ma nel mondo si sta giocando una partita cui non si può non partecipare.  Per Spartaco quelli erano momenti difficili; doveva in qualche modo decidere su quali binari spingere la propria vita, se rimanere inerme o se lasciarsi sedurre dalla tentazione di partecipare in prima persona a quella partita dove si giocavano i destini del mondo. Le sue ambizioni, la sua volontà di essere un protagonista della storia, oltre alla forza fisica che sprigionava in ogni movimento che faceva, lo indussero a scendere nel campo di battaglia, nell’arena di sangue che sconvolse il mondo.
 Come tanti altri giovani facili prede di illusioni avventuristiche, anche lui, giovane uomo, forgiato nella montagna, per certi versi ricordava i tratti somatici dei leoni della savana africana, si arruolò volontario nelle truppe scelte della Marina Militare. Ci sono momenti in cui arrivano le scelte di vita che non consentono di tornare indietro. Lui di questo era cosciente, sapeva che un percorso esistenziale esclude un altro. Non ci sono mezze verità quando si percorre una via, si scommette sul proprio tempo. Saranno state quelle divise da marinaio, attraenti ed esteticamente sconosciute per quei luoghi pieni di neve, saranno state le forti energie che vibravano nel suo corpo che lo indussero a scegliere i fronti di battaglia più critici. La sua coscienza gli suggeriva che maggiori rischi si assumeva, maggiore poteva essere la sua fama di guerriero e sentirsi il patriota che aveva osato sfidare i giganti del mare. 
      Reconditi pensieri lo accompagnavano quando era in azione a condurre quei temibili “siluri a lenta corsa”, per spargere il panico nella flotta nemica, per affondare bersagli ritenuti invincibili, quando si soffermava ad osservare le onde alzarsi in modo minaccioso, quasi a testimoniare quel tempo così crudele ed anche la sicurezza che un giorno sarebbe stato ripagato per quegli sforzi immani che compiva nel cuore della notte. 
Nessuno in paese avrebbe mai potuto immaginare che Spartaco, un ragazzo così sensibile, sognatore di un mondo più bello, solitario come quelli che credono nel riscatto sociale attraverso la volontà sarebbe divenuto uno dei misteriosi “pilota di maiali ”, uno degli “uomini gamma ” (nuotatori che percorrendo lunghe distanze andavano a porre sotto le chiglie nemiche cariche esplosive), un leone marino, una furia scatenata, un fuoco che ardeva anche nelle acque più fredde degli abissi. Ignari di queste imprese anche per ragioni di sicurezza personale e segretezza militare, i suoi concittadini erano all’oscuro di dove fosse e di ciò che facesse quel figlio di quella terra generosa e cordiale. In qualche occasione qualcuno parlava di lui in modo disincantato, quasi a volerlo considerare un perdente, uno che ha preso la via dello smarrimento, uno che non ha più futuro. L’invidia del paese si alzò verso Spartaco e a poco a poco ne divorò l’immagine, la memoria, il ricordo. Succede questo quando si è alla presenza di persone che alzano il tiro verso bersagli troppo alti da essere sconosciuti ai più, che spezzano le catene della paura e diventano esseri liberi nella mente e nel corpo, a prescindere dalla bandiera che si sono messi a difendere. Le speranze di Spartaco di diventare un uomo noto e rispettato cominciavano ad appassire, non che non lo fosse, ma semplicemente per il fatto che, varcando la soglia del pensiero del tempo, e difficile trovare le approvazioni e le riconoscenze del popolo comune, quello che non riesce a guardare al di là del proprio narcisistico egoismo. Esempi di strategia militare sono narrati nei libri di storia, nelle pagine di scrittori, di giornalisti di fama mondiale, nei documenti ufficiali degli eserciti in campo. Tra questi sono descritte a più riprese quelle operazioni belliche selettive in cui i nostri “Maiali” s’infilavano tra le fila nemiche, facendo serpeggiare nell’odore acre della notte, l’orrore, la paura di essere inghiottiti in quelle gelide acque, dove il confine tra la vita e la morte si annullava completamente. Non bisogna pensare che questo confine fosse una semplice avventura; lì si giocava la scomparsa delle parole, dei pensieri, dei ricordi.
       Si passava davanti a un giudice silenzioso che arbitrariamente indicava con le dita della sua mano chi in quel giorno sarebbe dovuto soccombere, sarebbe scomparso per sempre e in alcuni casi senza sapere neanche il perché. 
Questo giudice così malvagio era la sorte, la sfortuna, il destino: quando ti piovono addosso, non puoi scappare, non ci sono vie che puoi percorrere, non ci sono più speranze. Questo era il teatro in cui Spartaco si dibatteva ogni ora, ogni notte; viveva nel terrore e aveva il coraggio di farlo: immaginate un corpo che si muove lungo queste direzioni così intrise di dolore e di malvagità come si deve sentire, quali pensieri attraversano il cervello di quegli esseri abbandonati lungo le rotte del mare, quali frustrazioni profonde, quali desideri riescono a sopravvivere nelle loro menti, quali sensazioni se non quelle di sentire l’odore della morte che ad ogni respiro li accompagnava. Perseguire la pace, coltivare fino in fondo un desiderio di arginare il male, di sconfiggere la cattiveria, erano pensieri che scuotevano la mente di Spartaco, mentre con il suo “maiale” si staccava dal sommergibile che lo teneva in armamento in dotazione (erano quattro siluri a lenta corsa agganciati ai lati del sottomarino, alimentati a batteria o ad aria compressa), per entrare nel territorio nemico, dove aleggiava la paura di un uomo nelle nebbie, capace d’imprese a quel tempo ancora sconosciute alle intelligenze delle armate Anglo – Americane. 
Il suo motto era: Quello che importa è dimostrare al nemico che vi sono degli italiani capaci di morire gettandosi con il suo carico di esplosivo contro le fiancate del naviglio avversario.
Gli equipaggi delle navi alleate vivevano nella paura, sapevano che quella forza della natura avrebbe potuto colpire in ogni momento della notte. Una sfiducia, una malinconia aggrediva questi militari super addestrati a pericoli di ogni sorta: in questo caso quella minaccia era quasi invisibile, impalpabile. Un’ostilità oscura, incomprensibile agli occhi degli stessi, una sola parola risuonava su quelle navi: la maledizione, la sciagura si è abbattuta su di noi, la sfortuna non ci lascerà mai.
L’inquietudine, il turbamento, la disperazione, avevano ridotto allo stremo quegli indomiti marinai abituati a combattere a viso aperto in tutte le situazioni più pericolose, ma questo caso era diverso: loro non sapevano chi fosse la minaccia né quando avrebbe colpito; di certo c’era che le navi saltavano in aria come coriandoli con tutto il carico di morte che si portavano a fondo, dentro il mare, nel ventre del mare. Si facevano le ipotesi più fantasiose su questi inspiegabili affondamenti, fino a quando non si seppe dell’esistenza dei famigerati siluri a lenta corsa di fabbricazione italiana e fu proprio allora che si incominciò a pensare all’uomo che li guidava. Spartaco, fu il nome dato al Sergente italiano che li comandava, perché ricordava l’uomo che osò sfidare da solo un impero. Era diventato uno spettro, un volto invisibile, sconosciuto, capace d’essere presente in più luoghi contemporaneamente nello stesso giorno. Gli equipaggi vivevano in preda all’angoscia di essere inghiottiti all’improvviso senza poter organizzare nessuna difesa. Fu la più grande minaccia che le flotte Anglo – Americane, subirono in quegli anni, in cui i battiti dei cuori si erano fermati, in cui il frumento sapeva di polvere da sparo, in cui l’innocenza di giovani creature era calpestata. Gli Stati Maggiori Alleati, riuscivano a malapena a ricostruire solo le rotte di queste armi subdole e perniciose, senza poter fare alcunché per fermarli. 
       Più sommergibili dal colore nero si muovevano simultaneamente dai loro porti segreti, avanzando lentamente nelle acque profonde, ognuno di essi portava nel grembo quattro destrieri di ferro, destinati a creare l’inferno sotto il mare.
Non si conoscevano bene le rotte dove avrebbero colpito, una tortura psicologica che durò per anni e che mai i nemici riuscirono in qualche modo ad attenuare. Fu così che Spartaco divenne un mito, una leggenda di uomo del terrore, assetato di sangue, inafferrabile e invisibile. 
Immaginate quei neri sottomarini che leggeri e indomiti solcavano quelle acque sporche di sangue alla ricerca dello spargimento di altro sangue, alla diffusione di altro male, un male dentro un male. La persona umana era diventata una belva tra le più feroci delle fiere esistente in natura, non aveva più la dimensione della speranza, si nutriva di odio e di vendetta crudele. 
               Come dei carri funebri, dello stesso colore nero erano i sommergibili, anticipatori di un oscurità assoluta, di dolori impossibili da lenire. Nello stesso modo questi mezzi d’acciaio scuro, fabbricavano un destino che nessuno vorrebbe mai provare, quello di condannare degli uomini senza colpe, dei propri simili, a lasciare la vita terrena nell’umiliazione e nella paura. 
Per rendere ancora più evidente quale fosse il terrore che imperava in quei luoghi dove la morte la faceva da padrona, si può ricordare di come questi “Uomini Gamma” agivano, la loro tattica era quella di muoversi in gruppi, come un branco di lupi famelici assetati di vendetta e allorché individuavano un obiettivo, per questo, non vi era nessuna possibilità di sfuggire a quella sorte avversa di essere presi nel grembo del mare. 
Gli anni della guerra sembravano interminabili e quei giorni di follia e disperazione lasciarono dietro di sé cumuli di macerie mai rimosse. Spartaco era stato un valoroso, i nemici gli riconoscevano un coraggio incommensurabile, non l’avevano mai visto in volto, “L’uomo Gamma” era rimasto il fantasma dei mari del sud, una leggenda, un mistero. 
I Ministeri della Guerra degli Alleati, non accettavano l’idea di non poter sapere, di non poter conoscere chi fosse realmente questo italiano capace di mettere in scacco le marine più potenti al mondo. Fu così che incaricarono i loro servizi segreti di accertare l’identità e il paese d’origine dell’uomo che diede duri colpi all’onore e al prestigio degli arroganti eserciti alleati, e soprattutto che fece di quei marinai così addestrati delle pecorelle smarrite. Arrivò il giorno in cui la guerra finì e Spartaco fu congedato con il grado di Sergente Maggiore. Così come un semplice soldato, come uno qualunque tornò al suo paese in terra d’Appennino, in realtà lui non voleva lasciare la Marina Militare, voleva restare in quel mondo che l’aveva visto vincitore, temibile e rispettato. Ma il Comando non si sa per quale arcano mistero non accolse la volontà dell’eroe, allontanandolo per sempre da quello che era stato il suo mondo, pericoloso e affascinante. Per lui fu un colpo durissimo che mai avrebbe potuto immaginare, per tutti era il più temerario, la spada di Damocle per i nemici, ma per lo Stato Maggiore Italiano inspiegabilmente non valeva più niente. 
Triste, silenzioso e assente ritornò a casa dei genitori, nello sconforto e nella disperazione. Dato che le mansioni che aveva svolto in guerra erano coperte dal segreto militare, nessuno al paese seppe di Spartaco, tutti lo conoscevano come Vincenzo. Non narrò mai ai suoi concittadini delle sue imprese, si limitò a dire solo che aveva combattuto in Marina, senza mai descrivere i particolari. Si aspettava riconoscenze e onori, ma si ritrovò in estrema difficoltà economica e morale. Ma come tutte le più grandi persone, anche Spartaco non si perse d’animo, reagì e ricominciò a sperare in quello che aveva sempre cercato, la pace e l’armonia interiore. Lui pensò, meditò a lungo, per molti giorni affacciato sul balcone della sua casa, si mise a fissare la grande montagna prospiciente, non si spostava mai, anche la notte assorto nei suoi pensieri immobili, volava con i ricordi a quello che aveva vissuto. Gli abitanti del Paese pensavano che Spartaco fosse impazzito, anzi si diceva che una scheggia gli avesse leso il cervello, che non sarebbe più tornato quello di prima. In realtà le riflessioni di Spartaco erano penetranti fino a raggiungere le parti più remote della sua mente, della sua intelligenza. Un pensiero gli consentì di ricominciare a vivere, quello di sapere che la mancata riconoscenza per quello che aveva saputo fare, era sì un’ingiustizia grande come la luna piena, ma non valeva la sua vita che in ogni modo continuava, nonostante fosse stata spezzata nella dignità. Così tornò alla vita normale degli uomini liberi, coltivando sempre la speranza che le sue gesta sarebbero state riconosciute.
Non fu facile l’inserimento nella vita sociale ed economica del paese, per lui era indispensabile in primo luogo trovare un lavoro che gli consentisse di sopravvivere e questo compito dopo sei anni di assenza si rivelò alquanto difficile.
Profuse tutte le sue energie fisiche e psichiche per raggiungere questo scopo. Dopo molte vicende, riuscì a trovare un’occupazione umile e molto lontana da quella che fu la sua attività nella Marina Militare. Infatti, fu incaricato dal Municipio di svolgere il lavoro di: Netturbino a tempo determinato, in attesa del concorso che non fu mai fatto.
Per questo Spartaco accusò una grande sofferenza interiore, ma non si perse d’animo e affrontò quell’occupazione con scrupolo e dedizione. Questo lavoro gli consentì di ristabilire relazioni d’amicizia con i cittadini che lo avevano accolto con freddezza e distacco, non conoscendo quello che lui era stato e quello che aveva fatto. Ci furono momenti in cui Spartaco ebbe la tentazione di rivelare ai suoi amici le sue missioni da soldato, ma non ne aveva il coraggio, perché pensava che mai l’avrebbero creduto.
       Mi avrebbero preso per pazzo rifletteva, se solo avessi osato fare anche un minimo accenno a quei fatti di guerra, non potevano credere ad un uomo che si ritrovava con una scopa in mano a pulire le strade del paese, che credibilità avrebbe potuto avere dinanzi ai loro occhi. 
Così decise di tenersi per sé quella verità che lo avrebbe portato agli onori e alla gloria di tutto un popolo. Ma come spesso accade, i grandi uomini non ottengono quasi mai in vita la giusta considerazione per le dimensioni geniali che possiedono, nel mentre uomini mediocri vivono al di sopra delle loro qualità, delle loro capacità e dei loro meriti.          Tuttavia quest’ingiustizia, questa discriminazione, questa mancata valorizzazione dei migliori è una costante della storia umana. Cosciente di ciò era Spartaco, ma lo stesso sapeva anche che laddove si gioca per la vittoria o per la morte, le qualità fanno la differenza, lì la giustizia riprende il suo corso e tutti partono dalle stesse opportunità, tutti si giocano le stesse carte. Spartaco aveva dimostrato che in questo teatro era stato vincente, era stato il migliore, aveva raggiunto momenti di gloria. Questo ricordo gli dava la forza di lottare ancora, per quello che in quel momento era la cosa più importante, sopravvivere nonostante l’asprezza dei toni in cui veniva trattato dai politici del luogo e da qualche benpensante scampato alla vita militare per codardia o per privilegio.
            La vita di Spartaco continuò a svolgersi nell’umiltà, nella povertà, nell’abbandono, nei ricordi e in una frivola speranza di non perdere quel lavoro che riusciva a sostenerlo in quello stato di precarietà.
In un giorno di primavera degli strani individui giunsero in paese diretti al Comando Stazione dei Carabinieri. La voce corse come il vento, si diffuse l’inquietudine, la curiosità su chi fossero questi uomini vestiti di nero, capelli biondi, di statura alta, mai visti in paese, sembravano dei bounty killer alla ricerca dell’uomo da abbattere.
Fu così che i suoi concittadini, vedendo Spartaco dirigersi con passo veloce verso la caserma dei Carabinieri, pensarono che l’uomo ricercato fosse proprio lui, lo raffigurarono come un bandito, un ricercato, un delinquente, uno da arrestare. In realtà le cose stavano diversamente, l’ora della verità stava finalmente per giungere, una luce strana si diffuse dalla montagna ed illuminò tutta la vallata che ospitava le case coloniche dei contadini, forse quando il bene trionfa sul male c’è qualcuno sopra di noi che ci ricorda che perseguire la rettitudine vale sempre la pena. Spartaco si recò dinanzi a quelle Autorità spaurito, sorpreso, sconcertato, pensando che ancora una volta la sfortuna si potesse accanire contro di lui. Ma in questo caso ci fu un fatto sorprendente e inaspettato. Quegli uomini erano alti Ufficiali tedeschi venuti esclusivamente per rintracciare “l’Uomo Gamma per eccellenza ”, l’eroe dei “Siluri a lenta corsa”, il terrore dei soldati Anglo - Americani. 
            Appena lo videro, lo salutarono come si ossequia un Ammiraglio, quei militari tedeschi commossi, stettero nella posizione dell’Alza Bandiera per alcuni interminabili secondi. 
Poi finalmente rivelarono a Spartaco la loro identità, 
siamo venuti per rendere a lei l’onore delle armi, e conferirle la medaglia d’oro al valor militare ”, questo è il dispaccio che il nostro Comando ci ha incaricato di consegnarle signor Vincenzo Masselli, nome di battaglia Spartaco.
Per ricevere l’onorificenza è invitato nel nostro palazzo di governo a Bonn in Germania, presenzierà alla cerimonia in suo onore l’Ammiraglio capo di Stato Maggiore Hans Otto Scheer, Comandante di U-Boot della Kriegsmarine in servizio sul Mar Baltico, durante il conflitto Mondiale. 

Finalmente la verità trionfò in quel giorno di primavera, i paesani sconcertati, increduli, avviliti, per il trattamento riservato al loro eroe, vissero momenti di vergogna e di miseria umana. Anche la stessa immagine degli amministratori comunale né uscì malamente sconfitta, per non aver saputo tributare dei giusti riconoscimenti, fu un altro paese a fare giustizia e a ristabilire l’ordine naturale delle cose. 

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