Tra cantieri e deviazioni, il viaggio senza fine sulla strada peggiore
La Orte-Ravenna
è l’altra Salerno-Reggio: 280 chilometri di buche e rattoppi. Con iniezioni
continue di fondi pubblici
Nel deserto e sotto il sole di ferragosto il
panorama dell’oblio è abitato da muletti, asfaltatrici, cumuli di sabbia, coni
stradali. Abbandonati come è giusto in un giorno di riposo collettivo, e
impeccabili nel rendere l’idea. A
memoria di cronista - che da un decennio percorre la Orte-Ravenna, indicata sui
cartelli stradali come E45 - non c’è stato un solo viaggio che non fosse
vivacizzato da un cantiere, un restringimento o cambio di carreggiata, una
deviazione lungo i saliscendi appenninici delle strade provinciali, dove si
lascia un’altra mezzora e un altro po’ di pazienza. O, più probabilmente, da
tutti questi inconvenienti insieme, tranne lunedì quando la deviazione è stata
risparmiata all’automobilista, se non vogliamo mettere nel conto una di poche
centinaia di metri nella discesa verso Sansepolcro - da Cesena verso Perugia.
Siccome la vicenda ha dell’umoristico, questa superstrada a quattro corsie con
l’ambizione e il destino di autostrada (poi vedremo perché) è stata
ribattezzata la nuova Salerno-Reggio Calabria, cioè un tratto su cui ogni
governo della Prima e della Seconda Repubblica ha speso solenni promesse e
cospicui capitali, ha inscenato festose inaugurazioni, ha finanziato
l’itinerante officina a cielo aperto in cui ormai si è trasformata.
Pochi conoscono la storia della E45. In
teoria - in una delle tante e tronfie teorie comunitarie - è parte di una più
complessiva E45, cioè dell’«asse viario» che collega Karesuvanto in Finlandia
con Gela in Sicilia transitando per Svezia, Danimarca, Germania e Austria.
Così, a occhio, sconsiglieremmo di affrontare l’intero tracciato perché già
viene l’ansia quando si vede il cartello di Orte diretti a Cesena e viceversa.
Lunedì i cantieri aperti erano una mezza dozzina, all’incirca, poiché è anche
difficile distinguere dove finisca uno e cominci l’altro, tutti concentrati
nell’ampio tratto tosco-romagnolo, in cui d’inverno, per i rilievi e la neve,
sono obbligatorie le catene. Le corsie
sono più strette del solito, i restringimenti di carreggiata impongono di
procedere rasente ai camion la cui linea di direzione è un’ipotesi; infatti
l’ulteriore caratteristica della E45 sono le buche, di dimensioni e qualità che
la traforata Roma si sogna: compaiono all’improvviso dietro una curva, ogni
qualche centinaio di metri, crateri lunari in cui la macchina imbizzarrisce e
le sospensioni crocchiano. Se qualcuno credesse che stiamo facendo mitologia,
sappia che lo scorso ottobre, all’altezza di Bivio Montegelli, quindici auto
nello spazio di un’ora hanno rotto una gomma nella medesima buca. E sappiano
che fra le decine di comitati di cittadini variamente ostili alla superstrada
ce n’è pure uno di camionisti che lamenta guasti a profusione (un paio di Tir
sono drammaticamente volati giù da un viadotto, per distrazione o stanchezza
del guidatore). Quanto sia costato questo giocattolo è un mistero perché i
rattoppi si spostano avanti e indietro di qualche chilometro e da una
carreggiata all’altra senza sosta, da decenni. L’Anas dice di avere destinato
un miliardo e seicento milioni per il prossimo quinquennio in manutenzione
ordinaria e straordinaria. Non ci sono nemmeno statistiche ufficiali sugli
incidenti, ma basta andare su Google e digitare “E45” e “morti” per avere
un’idea della carneficina. Sulla questione viene in aiuto un’inchiesta
giudiziaria che associa le procure di Forlì e Arezzo secondo la quale la strada
si rompe appena aggiustata perché in molti casi sono stati utilizzati
«materiali inadatti» e «tecniche inadatte». Dirigenti Anas sono indagati per
attentato alla sicurezza dei trasporti: fra il 2010 e il 2014 a causa delle
condizioni dell’asfalto sono stati calcolati 153 danneggiamenti alle auto, 48
soltanto nel tratto di quindici chilometri scarsi fra Cesena Nord e San Carlo,
dove gli incidenti sono stati diciannove, più di uno al chilometro. Naturalmente ci si augura che non ci fosse
dolo e vengano tutti assolti. Ma una giustificazione dovrà comunque arrivare.
Oltretutto Anas spiegherà, come sempre, e come è comprensibile, che i vertici
dell’azienda sono cambiati da poco, e che è in corso un impegnativo progetto
chiamato #bastabuche - con l’hashtag - e i cantieri di oggi sono parte del
progetto; sebbene non consoli che i cantieri di ieri fossero parte di un
progetto precedente. L’unico tipo di difesa viene dalle connessioni on line: su
Facebook c’è la pagina Vergogna E45 su cui gli utenti ci si scambiano
informazioni per il viaggio: «Uscita obbligatoria a Gubbio e rientro a
Montone»; «Il tratto San Piero-Quarto in direzione Cesena è chiuso»; «Da Pieve
Nord a Sansepolcro Sud 3 cantieri e 3 restringimenti di corsia». Così funziona
questa via progettata nel 1963, nata vecchia, inizialmente a tre corsie con
quella centrale per il sorpasso in entrambe le direzioni, inaugurata nel 1997
dal ministro Antonio Di Pietro, quando di nuovi c’erano soltanto gli ultimi
tratti e gli altri erano già entrati nel turn over della manutenzione, e che
forse evolverà in autostrada, con pedaggi e stazioni di rifornimento meno
anarchiche (a ferragosto la metà erano chiuse). Si stima che il costo di
partenza, con prolungamento fino a Civitavecchia e Mestre, sarebbe di dieci
miliardi. Prima, però, bisogna che i cantieri siano chiusi e la E45 scorra come
una rotabile scandinava. Non sembra un rischio imminente.
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