Giuseppe Borsalino e la novità magica dei cappelli

by Piercarlo Fabbio 7 luglio 2015
Ultima puntata de ‘La Mia Cara Alessandria’ condotta e curata da Piercarlo Fabbio sulle frequenze di Radio Bbsi, disponibile nelle sezioni podcast sui siti www.fabbio.it e www.ritrattidall’alba.it, prima della pausa estiva o, meglio, dell’appuntamento con ‘Il Meglio’ che riproporrà una rivisitazione degli argomenti affrontati da settembre a oggi. 
Siamo alla terza fase di una storia di migranti partita da Valenza, i suoi preziosi, l’azione pionieristica di Vincenzo Melchiorre
Ora raggiungiamo Pecetto, qualche chilometro e nulla più. Anche a metà dell’Ottocento è un viaggio che non dà molti problemi. Si può andare a piedi e godere il panorama delle colline che digradano verso la pianura alessandrina, l’arco delle Alpi in una giornata tersa, tra boschi, sentieri tortuosi e frasche generose che difendono il viaggiatore dal freddo e dal caldo. Siamo proprio sotto la rocca e anche da qui il panorama è mozzafiato. Ci sono una casa e una signora attempata, con una lunga veste da contadina, che sta rimproverando il proprio figliolo scapestrato. “Devi metterti a fare il cappellaio, così saprai almeno dove hai la testa!” Il giovane si chiama Giuseppe ed è nato nel 1834, terzo di cinque figli. La madre saggia e appassionata è Rosa Veglio, il padre - Giuseppe Renzo - è fuori casa perché lavora come inserviente in Comune. Il suo cognome è Borsalino. 
Scorcio sulla facciata della fabbrica Borsalino di Alessandria, 
Domenico Sartorio, gelatina bromuro d’argento/vetro. 
Per gentile concessione della Fototeca Civica di Alessandria
Giuseppe è quasi pronto per lasciare Pecetto, ma intanto la sua indole lo porta a farne di tutti i colori. E’ un monello, poco amante della scuola, ma molto intelligente. E’ già stato a bottega da un falegname del paese. Impara in fretta, ma hai visto mai che il consiglio di mamma Rosa non sia da seguire? Tra i dodici e i tredici anni se ne va e si impiega ad Alessandria nel laboratorio di Sebastiano Camagna, guarda caso uno degli artigiani cappellai più apprezzati della città. 
La lavorazione del cappello di feltro si faceva quasi completamente a mano, incominciando appunto a ricavare il pelo dalla pelle del coniglio: la cosiddetta spuntatura. Poi le altre operazioni: l’archetto, il tavolo, il ferro da stiro, le forme. Tutta qua l’attrezzatura tecnologica, e quindi è abbastanza naturale che uno spirito curioso e libero come quello di Giuseppe anelasse a raggiungere quelle fabbriche ove aveva sentito dire da altri cappellai di ritorno che le prime macchine avevano affinato non poco la produzione. Ancora una volta la meta agognata è la Francia. Del resto il Paese d’oltralpe è simbolo di moda, eleganza, fashion. E il cappello, che tutti portano, uomini e donne, è un accessorio indispensabile. Un'altra ragione di tale scelta è che in quel periodo è assai più facile, per un piemontese, raggiungere la Francia che passare indenne tra stati e staterelli che contraddistinguono il futuro territorio italiano. In più i Giuseppe Borsalino, i Vincenzo Melchiorre e - inseriamolo pure a pieno titolo - Luigi Cavezzale, fondatore ad
Alessandria dell’argenteria Cesa, emigrano per carpire i segreti del mestiere. Lasciano le proprie zone d’origine consapevoli di ritornarvici per mutare il loro status: da operai a imprenditori. La loro, più che una migrazione per integrare guadagni che in patria non potevano avere, è formazione professionale post qualifica. Perché quando si muovono già sanno il mestiere ma vogliono però trovare qualcosa di nuovo: hanno sentito vagamente che c’è e si tuffano anima e cuore nel viaggio e nell’avventura per riuscire a incrementare conoscenze e saperi.
Marsiglia, Aix en Provence, Bordeaux, Parigi le tappe. Il soggiorno nella capitale sarà particolarmente efficace. Borsalino si impiega nella cappelleria ‘Berteuil’ in rue du Temp, fabbricatrice di copricapo di lusso in pelo di castoro. Esiste anche il feltro di lana, ma “da Berteuil non lo si considerava neppure”. 
Le conoscenze acquisite permettono a Giuseppe di conseguire il ‘certificato di mestiere’ rilasciato dai cappellifici francesi, necessario per aprire una propria bottega. 
L’8 dicembre 1856 Giuseppe Borsalino rientra in Italia. Ancora una volta dobbiamo tirare in ballo l’arte perché più che di tecniche industriali - di cui Giuseppe aveva sentito parlare - il giovane alessandrino si era impadronito di una vera e propria arte, visto che anche in Francia, come in Alessandria, il cappello veniva fatto sostanzialmente a mano. 
Dunque viaggio a vuoto? Tutt’altro. Essendo rudimentali, le tecnologie appena introdotte consentivano l’accesso a basso costo e avviare un’attività in proprio non era così costoso. Bisognava piuttosto sapere scegliere le pelli, il resto era formazione di manodopera. Solo alla fine dell’Ottocento sia la meccanica che la chimica daranno un risvolto veramente industriale alla produzione dei cappelli. Borsalino è lì, pronto ad accogliere le novità. Del resto è appena ritornato ad Alessandria, che già filosofeggia. I parenti lo guardano un po’ straniti, ma lui afferma sicuro le sue convinzioni. “Cara cugina – afferma convulsamente nella povera abitazione della parente, cappello in mano - le fortune non si trovano fatte, ma bisogna conquistarle! Io non ho portato a casa alcun quattrino – sospira, continua determinato - ma cognizioni che mi serviranno presto e bene”. 
Qualche giorno dopo è a casa della sorella a Pecetto che gli vuole restituire il fazzoletto di seta dimenticato prima di partire per la Francia. “Tienilo, lo darai fra cento anni ai miei nipoti che ricordino la data del mio arrivo da Parigi – ribatte, superandosi in preveggenza - Perché io ho deciso di cominciare a fare adesso una cosa che fra 100 anni ci sarà ancora”. 
Puntualmente, nel 1957 – centenario della fondazione - i discendenti di Giuseppe Borsalino ricevono il foulard del centenario da Arturo Ricaldone, pronipote del ‘siur Pipen’. Con questo nome, infatti, Giuseppe era conosciuto dalla decina di lavoranti che costituivano il primo nucleo di operai nel modesto laboratorio di via Schiavina, affittato con il fratello Lazzaro da un certo ‘Sistulòn’. 
Secondo le cronache il primo cappello di feltro ‘Borsalino’ vede la luce il 4 aprile 1857; la produzione giornaliera è di 35-40 pezzi. Il numero cresce gradualmente e la fabbrica deve trovare altri locali. Li affitterà in piazza Santa Lucia angolo via Milano: un opificio di due piani, dove la ‘Borsalino’ può superare quota 120. 
“Le indagini condotte annualmente dalla Camera di Commercio di Alessandria – annota Guido Barberis nel suo corposo e dettagliato tomo sulla fabbrica - segnalavano già nei primi anni Settanta dell’Ottocento la supremazia della ‘Borsalino’ nel ramo delle fabbriche di cappelli e berretti (“i fratelli Borsalino, producendo ottima e copiosa merce, attivando un commercio vivissimo con l’estero”), seguita a distanza dalle ditte di Sebastiano Camagna, maestro di Giuseppe Borsalino, Francesco Valizzone, Teresio Germano e altri minori”. 
Nel 1871 l’azienda occupava 130 operai con una produzione di circa 300 cappelli al giorno. Si trasferì nuovamente all’angolo tra via Tripoli e via XXIV Maggio, nel cantone della ‘Carrarola’, accanto al canale Carlo Alberto. Occupava ormai 3500 metri quadrati. Per certi versi la crescita era impetuosa. Mentre continua l’espansione, la ‘Borsalino’ incomincia a mietere premi anche per la qualità insuperabile dei propri cappelli. Dopo varie medaglie d’oro, il 1900 portò il mitico ‘Grand Prix’ all’Esposizione Universale di Parigi, ma anche la scomparsa di Giuseppe, che comunque era riuscito a superare in fama i suoi stessi maestri, usando la testa che mamma Rosa gli ricordava sempre di avere. Magari sotto un cappello segnalatore! 
La rubrica ‘Reclame d’annata… però’ propone, da ‘Noi e il Mondo, del primo gennaio 1913’, la ‘Società anglo romana’ e ‘Ferro-china-Bisleri’. Con ‘Strà per strà’ facciamo quattro passi in via Giorgio Solero, da via Marengo a largo Bistolfi, parallela a via Mazzoni. Vissuto attorno al 1500, di questo pittore non si conoscono né la data di nascita, né quella della morte, ma solo alcuni episodi della sua esistenza. La sua fama presto uscì dai confini della penisola. Nel 1581 Filippo II lo vuole a Madrid, dove dipinge la chiesa di San Lorenzo; tra le committenze dei reali anche una serie di quadri della famiglia dello stesso Filippo II. Terminata quest’esperienza ritornò in Alessandria, ricchissimo e tra gli onori tributatigli dai concittadini. Ma in breve spese tutte le sue sostanze e per sopravvivere fu costretto a vendere il ricco privilegio ricevuto dal re: l’esclusività di dipingere, in ogni provincia iberica, le armi riunite di Spagna e Portogallo. 

‘L’almanacco del giorno prima, fatti successi tanti, tanti anni fa in Alessandria’ celebra la memoria di San Savino, vescovo patrono di Ivrea; la playlist musicale chiude la puntata con un fenomeno internazionale: Caterina Valente.

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