La rivoluzione silenziosa dell’anarchico di Telegram


Cammina per le strade di Helsinki stretto in un cappotto nero. Come nero è il cappellino da baseball che tiene schiacciato sugli occhi. Il viso smunto, pallido. Lo sguardo freddo ma gentile, rivolto a terra. La testa ricurva che quasi si appoggia alle braccia che tiene conserte. Facile immaginarselo in quella posizione mentre scriveva le righe di codice di VKontakte. La sua prima azienda lanciata poco più che ventenne. Anno 2006. Il social network che lo ha reso famoso come lo Zuckerberg di Russia celebrato da una famosa copertina di Bloomberg News. E miliardario dopo un’exit fatta di cifre mai rese note e intrighi politici.
Se la sua storia non bastasse a renderlo un personaggio fuori dal comune, Pavel Durov, nato a Leningrado 30 anni fa, sa come apparire tale. Total black di ordinanza, la scelta di vivere da apolide
poco dopo aver venduto le quote rimanenti dell’azienda che ha fondato, gli aneddoti che lo raccontano come eccentrico e imprevedibile. E la sua lotta, sincera, rivoluzionaria e agiata, per le libertà individuali. «L’Occidente è meno libero oggi di quanto è abituato a essere. Siamo più vicini al 1984 di Orwell di quanto non lo fossimo nel 1984». Ha dichiarato eterna gratitudine a Edward Snowden, l’informatico statunitense che ha rivelato i programmi di sorveglianza di massa del governo americano e britannico. Oggi le sue priorità sono privacy e sicurezza nello scambio di informazioni. E’ per questo che ha lanciato nel 2014 Telegram, ed è per questo che Snowden è la sua musa ispiratrice.





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