L'ultima carica dei Cavalleggeri di Alessandria


LMCA: A Poloj, in Jugoslavia, va in scena l'atto finale della storia del Reggimento di cavalleria dedicato alla nostra città. Le ultime sciabole escono vincitrici dallo scontro, ma la Cavalleria chiude il suo eroico ciclo.
by Piercarlo Fabbio
Una tromba con la sua drappella d’ordinanza suonava tre squilli. Era quella del Cavalleggeri di Alessandria e segnava, a Trento liberata, la fine della prima guerra mondiale. Qui eravamo rimasti in uno straordinario racconto che ci aveva raccolti a metà dell’Ottocento e portati al 1918, in sella al Reggimento dei Cavalleggeri Alessandria tra guerre in Crimea, a Villafranca, in Africa e tra le montagne delle Venezie italiane.
E il cammino prosegue nella puntata del 17 marzo de ‘La Mia Cara Alessandria’, curata da Piercarlo Fabbio. Dopo il 1920 il Cavalleggeri di Alessandria lascia Lucca e si trasferisce a Firenze. Parteciperà alle campagne d’Africa. Negli anni Venti in Cirenaica e nel 1935-36 in Etiopia. Qui concorre a gruppi di cavalleggeri e mitraglieri, dando vita, insieme al Genova Cavalleggeri e ai Lancieri di Aosta a costituire il raggruppamento ‘Cavalieri di Neghelli’.
La Cavalleria deve però cambiare. La Seconda Guerra Mondiale vede assegnata al Cavalleggeri una
sporca zona, quella della Jugoslavia che in pochi giorni il nostro esercito conquista, ma poi rimane invischiato nei Balcani in un continuo scontro con i partigiani, i guerriglieri, i banditi titini, sulle prime mal organizzati ed episodici, poi, con il tempo, vero e proprio esercito con armamenti e organizzazione, pur potendo contare su una discreta flessibilità di intervento.
L’Alessandria lascia Firenze ed è di stanza a Palmanova. Il fronte jugoslavo durerà 2 anni, dal 1941 al 1943 e vedrà impegnati oltre trecentomila nostri militari. In questo solo settore vengono impiegate diciannove divisioni. Del resto la guerra si era messa bene, nonostante le difficoltà sui fronti greco ed albanese. In soli dodici giorni il regno jugoslavo aveva capitolato. Dal 6 al 17 aprile 1941. Intanto il Reggimento, allargatosi per l’arrivo di altri squadroni, viene inquadrato nella I Divisione Celere ‘Eugenio di Savoia’. E’ guidato dal colonnello Giovanni Lombard. Il teatro di guerra è la Croazia. I nostri cavalleggeri sono di stanza nei pressi di Karlovac, oggi città gemellata con Alessandria. È il Natale 1941. A guidare l’Alessandria è chiamato il colonnello Antonio Ajmone-Cat. Siamo ormai nell’autunno 1942.
E’ il 16 ottobre. L’ordine è raggiungere Perjasica e poi puntare in direzione sud verso Primislje. Il motto del Cavalleggeri di Alessandria è ‘In periculo surgo’ (nel pericolo mi faccio valere) e il 17 ottobre 1942 dimostrerà pienamente la sua validità. Gli scontri durano l’intero pomeriggio, ma il reggimento si attesta in posizione elevata ed è al riparo dal fuoco dei partigiani. Da lì si può pensare a come passare la notte e a riprendere la battaglia il giorno dopo, perché i cavalleggeri non combattono di notte. Ma arriva l’ordine, repentino: ripiegare verso Perjasica e gli ordini in cavalleria non si discutono. Si eseguono.
La colonna si muove a fatica. Il colonnello Ajmone Cat sa che presso la chiesetta di Poloj potrebbe celarsi l’imboscata e sa che ancora una volta la cavalleria avrà il compito di aprire la strada al resto delle truppe impegnate nella battaglia. In avanscoperta muove lo squadrone del capitano Petroni. La tromba alla mano, con incisa la frase “Il tuo ultimo squillo sarà di carica”. Lo squadrone di Petroni in avanguardia giunge a contatto con il primo sbarramento. Partono le raffiche e l’eco delle bombe si sente distintamente. Il capitano prende la tromba e questa volta gli squilli sono di carica. E la carica è la sublimazione della Cavalleria. Non servono altri segnali e passaggi di ordini. I cavalli di tutta l’Alessandria partono al galoppo. Si inseguono invece gli ordini alla voce: “sciabl-mano – Savoia!”.
La carica al buio disorienta gli avversari, ma crea perdite immani nei cavalleggeri di Alessandria: cavalieri sbalzati, feriti, colpiti a morte; altri, come il capitano Vinaccia, si getta nella mischia e ordina ai suoi di sparare ad altezza d’uomo nonostante la sua presenza. Non sarà più trovato il suo corpo. Petroni è ferito a morte. Il suo cavallo, Volturno, ormai scosso, ritornerà con gli altri. Le briglie sono tirate dal cane Bluck, che lo riporta nei ranghi.
Si passa il primo, il secondo e il terzo sbarramento a cariche successive. C’è chi carica più volte per passare e anche i cavalli scossi, addestrati per stare in gruppo, seguono i cavalieri rimasti con i loro quadrupedi. Anche loro hanno nelle orecchie gli squilli del capitano Petroni. Ormai è notte, ma il varco è aperto e la truppa può ritirarsi a Perjasica, rispettando l’ordine. Rientrerà anche lo stendardo decorato del Cavalleggeri di Alessandria.
Il colonnello Ajmone Cat appunta, il giorno dopo sul diario di guerra: 2 ufficiali morti, 5 ufficiali feriti, 2 ufficiali dispersi, 3 sottoufficiali dispersi, 1 sottoufficiale ferito, 10 cavalleggeri morti, 52 cavalleggeri feriti, 51 cavalleggeri dispersi, 109 cavalli uccisi, 60 cavalli feriti. Quella di Poloj è l’ultima carica della cavalleria italiana. Quelle dell’Alessandria le ultime sciabole sguainate. La storia sarà più prodiga con il ricordo della carica del Cavalleggeri Savoia sul Don durante la campagna di Russia, ma in realtà quella è stata precedente. Gli ultimi a sguainare le sciabole e a buttarsi al galoppo contro il nemico saranno i Cavalleggeri di Alessandria. Alcuni appassionati alessandrini ricorderanno i loro Cavalleggeri con un’associazione storica che proprio in questi anni si è animata e potrà ricordare non solo quell’evento, non solo l’ultima carica nella notte buia di Poloj, rischiarata dall’eroismo dei nostri.
Tornano la reclame d’annata; per ‘Strà per stra’ siamo in via Giovanni Migliara (da via Vochieri a piazza Libertà, parallela, per un tratto a via dei Martiri). Si tratta di un vero protagonista della cultura pittorica di inizio Ottocento. Molto precoce, tant’è vero che si racconta che già a dodici anni disegna le facciate delle Chiese di Alessandria. A quindici anni desta ammirazione la riproduzione in due quadri dell’antica cattedrale di San Pietro. Già conosciuto in giovane età, dunque, a 25 anni era già famoso pittore. Povero, avendo contratto una malattia polmonare, dovette anche scaldarsi bruciando schizzi e disegni che sono così andati persi. Guarì e riprese la sua attività con buona lena: miniaturista, pittore d’interni, decoratore, scenografo. Molte sue opere sono raccolte nella Pinacoteca di Alessandria. Molti i disegni dei suoi viaggi in Italia, sono di proprietà del Comune, per la volontà della figlia Teodolinda di lasciare alla città natale del padre buona parte della sua opera. Qualche anno fa – nel 2011 – l’Amministrazione Comunale ha dedicato a Migliara e ai suoi viaggi romantici in Italia. Nella Sala del consiglio è collocato un mezzobusto in marmo con la semplice dizione: “A Giovanni Migliara, pittore, la patria, 1839”. Migliara era morto solo due anni prima, stroncato da una crisi cardiaca, mentre rientrava a casa. Dopo l’Almanacco del giorno prima, fatti successi tanti, tanti anni fa in Alessandria, si chiude con la playlist della settimana, dedicata al Sinatra italiano Natalino Otto: ‘Polvere di stelle’ e ‘Ho un Sassolino nella Scarpa’.

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