Il vino della solitudine, di Irene Nemirovsky


by Maria Cristina Pesce
Avevo letto di Irene Nemirovsky, tempo fa “I doni della vita” e lo splendido romanzo ‘sociale’,“Suite Francese”, la straordinaria scrittrice, morta a soli 39 anni nel campo di concentramento di Auschwitz ci ha lasciato romanzi che sono autentici gioielli della narrativa.
Mi aveva affascinato della scrittrice ucraina la potente capacità di raccontare personaggi, di scandagliare l’animo umano con i suoi pregi e meschinità e di descrivere con minuzia ambienti e atmosfere con una scrittura fluida, che incanta.
I suoi libri sono intensi, profondi, lucidi nella descrizione, così è il “Il vino della solitudine”, denso ed evocativo, dalla narrazione pungente, cruda, spietata, colma di quella crudeltà reattiva ad un lacerante dolore affettivo. Un affresco di tipologie umane, di sentimenti, autobiografico, dalle superbe descrizioni ambientali che riflettono gli stati d’animo dei personaggi, spesso cupe, in un’Europa dei primi decenni del ‘900 travolta da tragici avvenimenti storici.
Sfondi storici che rimangono volutamente in secondo piano per dare spazio e risonanza ai paesaggi dell’anima, alle urgenze interiori, alle dinamiche relazionali.
“Il vino della solitudine” si dipana attorno ad una relazione-non relazione tra madre e figlia, l’io narrante, ambientato prima in Ucraina, poi a Parigi, allo scoppio della guerra a San Pietroburgo, in
seguito al confine della Finlandia per concludersi nel la Ville Lumière.
Pagine colme di profonda malinconia e solitudine, intrise della sofferenza di una bambina e della rabbia di un’adolescente, lacerata dall’indifferenza affettiva materna, attenta spettatrice dell’immaturità e dell’aridità della madre, donna ossessionata dalla bellezza, narcisista, concentrata sui suoi amori extraconiugali. .Una carenza affettiva che segnerà profondamente Hélène e che tenterà di compensare con l’amore della tata francese anche se un destino crudele se la porterà  presto via.
Già nell’incipit che dipinge il ritratto di un interno di famiglia nelle ore serali si coglie disarmonia affettiva, mondi vicini ma lontani, la madre, Bella Karol, con “un’espressione annoiata e stanca”, la figlia “ Quando vedeva accanto a sé quelle carni nivee, quelle mani bianche e inoperose, Helène provava una sensazione strana, molto simile alla ripugnanza”., il padre,“...aveva occhi e carezze solo per la moglie, che allontanava la sua mano con un’aria seccata e capricciosa”. “
Un padre assente, debole, soggiogato dalla seduttività della moglie, ciecamente vigliacco, pur avendo sotto agli occhi le continue infedeltà della compagna di vita, un arricchito che frequenta “uomini d’affari febbrili, inquieti, dallo sguardo impaziente, le mani tese e avide come gli artigli”, e nasconde il suo vuoto affettivo e la rassegnazione dietro agli affari e al gioco.
Con la cruda impietosità dell’infanzia e dell’adolescenza che rivendica come innegabile il diritto di essere amati “il cuore pesante e colmo di un dolore complicato, strano e indecifrabile” “Sarei meno infelice in collegio”, Hélène registrerà emotivamente ogni critica e indifferenza della madre nei suoi confronti. Invidierà l’atmosfera, il calore della famiglia di una conoscente e piano piano coverà propositi di omicidio e di vendetta verso Bella.
Scorrerà la sua infanzia e adolescenza chiusa nel suo dolore, soffocando il suo legittimo bisogno d’amore, bevendo boccali di solitudine, profondamente intimista, “mi sento come una valigia dimenticata al deposito bagagli”,.
Ma la ‘brutta anatroccola”, si trasformerà nel tempo in una giovane e bella donna  consapevole del suo potere attrattivo, dei suoi diciotto anni e della bellezza ormai sfiorita della madre. Finalmente è arrivato il momento che per tanto tempo nella sua mente lucidamente ha agognato, punire Bella “Ti farò piangere come tu hai fatto piangere me”, seducendo il suo giovane amante.
Ma il sapore della vendetta non è sempre così dolce tanto più se si rischia di diventare il clone di una madre tanto odiata ed Hélène ha ormai un carattere forte, gli anni passati sono stati "Terribilmente duri, è vero, ma che mi hanno temprata, hanno rafforzato il mio coraggio e il mio orgoglio. E questo mi appartiene, è la mia ricchezza inalienabile. Sono sola, ma la mia solitudine è aspra e inebriante”.
Per questo sceglierà alla morte del padre, di allontanarsi dalla sua casa, per cancellare quel passato greve che tanto l’ha plasmata, per guardarsi avanti, consapevole di avere ancora una vita tutta da giocarsi "non si può essere infelici quando si ha questo: l'odore del mare, la sabbia sotto le dita... l'aria, il vento..."
Un romanzo del 1935 ma assolutamente contemporaneo nel dipingere un mondo di parvenus, la finanza con le sue ciniche speculazioni, donne attente solo ad inseguire il mito della bellezza eterna e i figli vissuti come accessori sociali. Vi suggerisco di leggerlo, impossibile non esserne catturati!

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